Catanzaro, la (masso)mafia non spara: fa affari con la sanità e veste l’abito talare

«Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi rimane unito a me, ed io a lui, produce molti frutti. Senza di me, invece, non potete far nulla. Se uno si separa da me, verrà gettato via come un tralcio, si seccherà e poi sarà raccolto e gettato nel fuoco a bruciare». (Giovanni 15:5-6)

Abbiamo rotto un fronte, abbiamo aperto una strada. Siamo entrati attraverso una piccola crepa nel muro del “silenzio” della Chiesa calabrese ed alle latitudini della curia di Catanzaro, quella costruita e plasmata secondo il verbo dell’ex vescovo massomafioso Vincenzo Bertolone. Siamo diventati “osservatori” scoprendo davanti ai nostri occhi come gli altari nascondevano crimini inenarrabili e complicità tossiche nel decennio di permanenza dei demoni educati. Abbiamo varcato un confine segreto scoprendo che esisteva ed ancora esiste una città, quella del sistema Catanzaro, che vive sottoterra nascosta agli occhi della giustizia e della denuncia civile, da sempre un’arma spuntata per la connivenza dettata dal denaro con organi di informazione troppo morbidi e assimilati al metodo.

A Catanzaro la mafia non spara. Diventa imprenditrice spesso a vocazione sanitaria e veste l’abito talare.

Lo scandalo della curia catanzarese, la fuga dell’ex vescovo Vincenzo Bertolone ed il tentativo di nascondere l’attività del panzer Sekretar don Francesco Candia, ridotto allo stato laicale per volontà di Papa Francesco, ci conferma il grado di complicità diffuso nella Chiesa di Calabria, la “tana dei vescovi” abituati ad una narrazione parziale ma in particolare all’oscurazione delle notizie e dei fatti. E’ evidente che solo una fuga di notizie, che noi abbiamo intercettato per primi e da soli coraggiosamente denunciato ha imposto alla diocesi di Cassano allo Jonio di pubblicare in data 16 maggio il dispositivo della Congregazione del Clero che risolveva drasticamente la storia dell’ex segretario del vescovo Bertolone, l’ormai comune cittadino Francesco Candia, una sentenza comunicata dal Vaticano in data 5 maggio 2022… E’ la storia di sempre, della “curia” dalla grande lingua, quella catanzarese che diventa nuovamente protagonista e la vicenda le impone di pubblicare sul sito dell’Arcidiocesi la scelta inappellabile di Papa Francesco, che spegne al suolo la storia di Bertolone e della sua cerchia di avvoltoi e di traffichini professionisti.

La città di Catanzaro non conoscerà mai la verità sull’affaire Bertolone per una sua indolenza storica e per una sua sudditanza colpevole ai “misteri” criminali. Le porte esterne e quelle interne della città restano sempre chiuse alla verità e tutto lascia intendere che nulla è cambiato, che il “nuovo” corso arrivato nella città di Catanzaro con il suo bagaglio impegnativo di storia e di chiacchere non sia per niente nuovo, ma solo e soltanto la riproposizione in termini simili di una Chiesa sporca fino al midollo che si replica all’infinito. Questo mons. Claudio Maniago, il nuovo Arcivescovo di Catanzaro-Squillace lo sa bene, tanto da usare il suo personale paso doble, fatto di silenzi imbarazzanti e di cancellazioni repentine. Basterà aver cancellato dal sito della curia, con un colpo di spugna la storia controversa? Basterà questo modesto maquillage per restituire dignità alla Chiesa di Catanzaro ed alla città?

Il tempo restituirà verità alla verità, facendo capire che l’ex vescovo massomafioso Vincenzo Bertolone ed i suoi “complici” sacrati della spada e sussurrati all’orecchio non sono un incidente occasionale ma il ventre molle della curia di Catanzaro, dove il segretario spretato don Francesco Candia e la setta del Movimento Apostolico non sono fenomeni di una crisi diplomatica temporanea messa in piedi da abusivi.

La conferma è scritta nel dispositivo della Congregazione del Clero, quello del 5 maggio 2022 che sancisce la fine inappellabile del presbitero Francesco Candia, la cui accusa “ha riguardato imputazioni penali previste dal Codice di Diritto Canonico, non inerenti persone minori, e concernenti aspetti fondamentali della vita sacerdotale”. Si certifica che una parte del clero che contava a Catanzaro è soltanto feccia e che la storia non è affatto conclusa, se la riduzione allo stato laicale è un provvedimento che si adotta, generalmente, per preti colpevoli di crimini sessuali, per aver attentato al matrimonio altrui o per aver dichiarato apostasia. Tutto resta nel solco del dubbio e del silenzio, se la colpa di don Francesco Candia e dell’apparato che rappresentava resta a metà fra l’illecito legato al Cattolicesimo tradizionale ed a quello rilevante per il Codice Penale della Repubblica Italiana. Anche questo mons. Claudio Maniago lo conosce bene visto che continua a circondarsi degli altri responsabili “a piede libero” complici di Bertolone e Candia, avvoltoi e ladri conclamati del bottino di guerra consumato sulle morti innocenti e sul denaro della Caritas diocesana.

Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?».  Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.  Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto» (Giovanni 14:5-7)

C’è una realtà che diventa obiettivamente incontestabile perché figlia di un crocevia di interessi ad alta tossicità della Chiesa in Calabria, la narrazione di storie di fango e soldi, quelle che non si possono eludere mettendo in campo la cosiddetta “consolazione dei bottegai”.  La soddisfazione marginale di una Chiesa che si accontenta del suono di un rutto (che ormai fa tendenza… anche in Rai) immaginandolo come un manifesto di legalità e di moralità, solo perché frutto di un suono sgraziato ma rumoroso e non già figlio di quella verità che rende il cristiano un uomo libero.

E’ questa la verità e la bugia che caratterizza l’ultimo capitolo della storia della Chiesa in Calabria e più specificatamente quella della curia di Catanzaro, passando per i grandi silenzi delle curie di Cassano allo Jonio e quella di Rossano – Cariati. Siamo nel solco di una credibilità frazionata dove uscite estemporanee e forse ad orologeria come quella di mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio sia pure rivolte contro una Chiesa, incapace di gridare e da sempre confinata in un silenzio complice ed ostile, non rappresentano una svolta nel mistero delle connivenze e degli attentati interni, troppe volte perdonati o forse meglio coperti. Le stesse mancanze, quelli che comunemente si chiamano reati e che restano ascritti al titolare della cattedra di Rossano-Cariati, quel mons. Maurizio Aloise, il protetto di Bertolone e titolare del cagotto di Fondazione Betania, la fossa comune della malasanità a trazione ecclesiastica, diventata ormai il peccato originale e continuo della curia catanzarese.

Al centro resta sempre la città di Catanzaro, il regno della massomafia anche curiale, il suo futuro e la sua dignità calpestata, mentre la Chiesa e la politica complice e sodale del crimine si avvicina alle elezioni amministrative del prossimo 12 giugno 2022. Siamo ritornati nel gioco dei “soci” di fatto della massomafia che ormai da troppi anni aleggia sul cielo della città capoluogo di regione dove le infiltrazioni ecumeniche, quelle degli esaltati del Movimento Apostolico e della curia che ingrassa i figli prediletti a santini e cappucci, ritornano ai blocchi di partenza, così come si rintraccia nelle diverse composizioni di quanti partecipano al grande concorsone delle urne.

E’ quella città che ha conosciuto il vescovo in “dune buggy”, l’ultima manifestazione scenografica degli esaltati del clero locale, quelli che erano adusi a miscelare l’incenso con il valium, per addormentare le coscienze e le menti, mentre consumavano il furto. Il sonno indotto dei giusti, vittime inconsapevoli di un crimine articolato con la politica, che per anni, ha fatto piedino all’ex vescovo massomafioso Bertolone ed al suo segretario don Candia, estimatori e precursori del polonio che hanno sparso a mani basse sul culo della città, nascondendolo agli occhi del popolo sotto le sacre sottane.

Tutto avviene nel silenzio diffuso di quella politica che ha consolidato la sua complicità storica e criminale con la Chiesa di Bertolone & company, che oggi non proferisce parola, non si smarca, non accusa e non fa nemmeno ammenda dei suoi errori. E’ la politica che si ricicla che al pari della curia ha cresciuto i suoi figliocci a “pane e tallini”, che contraddice la convinzione di Francesco Di Lieto: “che vede una città che ha piegato la schiena a modelli che vengono da fuori…”, quando nei fatti il modello è tutto autoctono, prodotto made in Catanzaro. Sullo sfondo resta un altro pezzo di città armata ormai solo di fionda, che ancora aspetta un sussulto di Nicola Gratteri, quello che ormai ha scoperto di essere stato vittima di agguati di palazzo, incluso quello dei Marescialli. Ma in particolare vittima di colui che aveva chiesto il lasciapassare diplomatico per l’ex vescovo Bertolone, l’attuale presidente del Tribunale della Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Pignatone, l’ex procuratore capo della Repubblica di Roma, così come ha svelato il “pentito” Renzi.