Cosenza, e ora Occhiuto torna ad atteggiarsi a “malandrino”

Da sinistra: Cannizzaro, il questore Anzalone, Occhiuto e Potestio

Fino a che gli conveniva fingere comprensione e collaborazione con i cittadini – per dare l’immagine di se di bravo e attento amministratore, quando ancora sperava di sedere sulla poltrona di governatore – non esitava a travestirsi da agnello, oggi che il suo sogno è svanito e la sua anima “sciacallesca” è stata messa a nudo, la comprensione e la collaborazione, seppur solo e sempre enunciate, non fanno più parte del suo savoir-faire.

È passato dalla finta gentilezza alla maleducazione, alla sgarbataggine in men che non si dica e solo quando la “necessità” di voti, dopo la sua esclusione dalla politica, è venuta meno. Fingere non serve a niente ora che non deve più affrontare “campagne elettorali”. Fare buon viso a cattivo gioco non produce più nulla, anche perché oramai alle sue chiacchiere e al suo finto perbenismo non crede più nessuno, e per far fronte alle nude e crude domande dei cittadini in maniera adeguata, è stato costretto a tirare fuori la sua vera natura: prepotente, arrogante, altezzoso, maleducato, bugiardo. Le qualità nascoste di Mario Occhiuto. Quello vero, non quello finto.

Del resto in che modo rispondere a 180 famiglie che rischiano di finire per strada- causa la sua sciagurata gestione delle finanze comunali – quando, sfiancate di false promesse, i toni si accendono? A tono adeguato, ha detto Mario. Che senza farsi scrupoli ha usato un linguaggio, nei confronti delle famiglie in emergenza abitativa, indecoroso per un sindaco.

Un modo sbrigativo per dire alla gente che per i bisogni dei cittadini non ci sono più soldi e siccome le buone parole non gli servono più perché non ha bisogno poi di chiedere il voto ai “manifestanti”, e di tenerseli buoni non gliene frega niente, un bel vaffa diretto e risoluto è la miglior risposta per indurre tutti al silenzio e a rientrare nei ranghi.

Il ricorso alla sboccataggine per Occhiuto è l’unico strumento oggi in un suo possesso per “dialogare” con una città in ginocchio che non gli dedica certo poesie. Pensa inoltre che rispondere malandrinamente ai cittadini possa in qualche modo elevarlo, nell’immaginario collettivo, a boss e come tale essere rispettato e temuto.

Atteggiarsi a “malavita” è l’unica difesa che gli rimane, minacciare mafiosamente i cittadini è l’unico modo che gli rimane per fermare i contestatori che ogni giorno diventano sempre di più e determinati.

Il tempo delle mele è finito e con esso quello dell’educazione, i nodi sono venuti al pettine, e i problemi destinati a crescere ogni giorno di più. Soluzioni non ce ne sono. E le speranze stanno a zero. Il ricorso alla malandrineria per arginare il dissenso e le proteste sono l’ultimo atto di un personaggio che nonostante i tanti “giri infiniti” che lo hanno visto protagonista nel bene e nel male, alla fine si ritrova al punto di partenza e costretto a dover indossare di nuovo gli abiti di un tempo che pensava avere dismesso: queli del malandrino. Che poi a dirla tutta gli calzano a pennello!