di Francesca Canino
Stravolta dai lavori. La città dei Bruzi ha mutato il suo aspetto negli ultimi anni a causa degli innumerevoli interventi edilizi subiti: dai cosiddetti rifacimenti alle opere ex novo, dalla realizzazione di inutili piazze alla chiusura di strade importanti. E poi cantieri in ogni dove, disagi provocati ai cittadini per la chiusura delle strade e dei marciapiedi interessati ai lavori, abbattimenti di alberi, interventi devastanti sui fiumi e milioni e milioni di euro sperperati.
A Cosenza sono state modificate intere zone della parte nuova, quella definita ‘al di là dei fiumi’, senza alcun rispetto per la storia recente, per i ricordi, per i più anziani che hanno perso i loro riferimenti. Uno scempio non solo fisico compiuto in nome del dio cemento, che numerosi appalti assegna alle ditte amiche per lavori, spesso, di nessuna utilità e bellezza.
Viatico elettorale, do ut des o solo desiderio – poco credibile – di una ‘città bella’, i lavori pubblici sono l’anima, molte volte nera, degli enti locali, disposti a tutto pur di mettervi le mani sopra. Accade, dunque, che la bramosia degli amministratori sia incontrollabile al punto da far ‘dimenticare’ di richiedere certe autorizzazioni quando si interviene su piazze, strade e manufatti realizzati da almeno settant’anni.Â
Il riferimento è ai lavori di rifacimento dell’ultimo tratto di corso Mazzini, che comprende anche viale Trieste, corso Umberto e piazza XX Settembre. Pur volendo tralasciare in questa sede il costo esorbitante dell’opera, non si può non valutare il contesto di appartenenza: l’area è interessata da elementi relativi sia alla tutela storico-artistico-architettonico-archeologica, sia a quella paesaggistica. Ma, mentre per l’aspetto paesaggistico si configura un vincolo generico, per quello storico-artistico-architettonico-archeologico devono considerarsi gli aspetti legati alla conservazione del restauro e delle specifiche discipline nei settori di competenza. La giurisprudenza amministrativa e costituzionale riconduce le piazze, le vie, le strade e gli spazi urbani e pubblici realizzati da oltre 70 anni alla categoria dei beni culturali, indipendentemente dall’avvio del procedimento di verifica e dalla specifica dichiarazione di interesse culturale prevista dall’articolo 13 del D. Lgs. 42/2004.Â
È bene ricordare che l’area interessata dai lavori in questione è contrassegnata dalla presenza di architetture e opere d’arte significative, espressione di un periodo compreso nell’arco temporale che va dal 1800 ai primi del ‘900 ed è rappresentato in particolare dalla Fontana di Giugno (l’Etè di Mathurin Moreau, opera della Fonderia artistica industriale Francesco De Luca di Napoli,1889, fusione in ghisa che in precedenza fu presentata come struttura in marmo nell’Esposizione universale di Parigi nel 1855); la chiesa del Carmine e l’annesso convento seicentesco (appartenuto ai Carmelitani dell’antica osservanza, giunti in Calabria nel 1582, fu abbandonato dai frati a causa dei gravi danni provocati dal terremoto del 1783; fu soppresso nel 1809 e divenne sede della Guardia Provinciale, poi caserma dei Carabinieri Paolo Grippo); gli arredi urbani vegetativi e l’arte decorativa del secolo scorso,rappresentata dalle opere di giardinaggio e arredo urbano da recuperare e restaurare. Non si deve tralasciare la circostanza che nel sottosuolo dell’adiacente piazza Matteotti sono stati rinvenuti resti di tombe brettie e romane. Non sembra che sia stato designato un archeologo che segua i lavori, in considerazione del fatto che ogni movimentazione di terra, specialmente in una regione come la Calabria notoriamente definita museo a cielo aperto, deve essere fatta sotto lo sguardo vigile di un archeologo che, in caso di ritrovamenti fortuiti, saprebbe come comportarsi.
Tutti questi aspetti non risultano essere stati considerati, né, pare, siano disponibili i seguenti atti progettuali per il Restauro della Fontana: rilievo metrico delle componenti figurative dell’opera, analisi dei materiali costruttivi e dell’impianto architettonico in essere, analisi del degrado, intervento di restauro in tutte le parti costituenti l’opera. Per gli interventi nello spazio architettonico si richiedeva: rilievo topografico, analisi delle fasi storiche, analisi della rete infrastrutturale storica delle eventuali reti tecnologiche, planimetria delle nuove reti tecnologiche premette ed elementi proposti, planimetria dello stato di fatto e rilievo delle componenti spaziali nell’ambito storico, rilievo vegetazionale, studio dell’arredo urbano e proposte di sistemazione motivate, planimetria del sistema del Verde, studio dei percorsi con particolare attenzione a quello dei diversamente abili, studio dei materiali confacenti alla presenza di monumenti significativi, progettazione impiantistica con particolari esecutivi soprattutto in prossimità dei palinsesti storico artistici architettonici, esecutivi architettori e particolari tecnici della proposta accompagnata dalle relazioni esplicative.
Pare anche che la Provincia abbia eluso gli interessi primari di tutela demandati alla Soprintendenza, valutando una semplice ‘pavimentazione’. Inoltre, dalla relazione di accompagno della pratica viene introdotta la realizzazione di una linea tranviaria, che non sembra avere le autorizzazioni di legge. Si tratta della cosiddetta metropolitana leggera.
In conclusione: i lavori dell’ultimo tratto di corso Mazzini sono iniziati senza chiedere le dovute autorizzazioni alla Soprintendenza, considerato che vie, piazza e complessi interessati ai lavori risalgono ad oltre 70 anni fa e sono, dunque, soggetti al vincolo monumentale (come lo è buona parte di corso Mazzini, su cui ogni modifica, rifacimento e altro – vedi paletti di metallo – è stato effettuato senza mai considerare il vincolo in questione). La Provincia ha dato una valutazione troppo semplicistica ai lavori e il passaggio di un binario della famigerata metro, previsto davanti alla caserma, non avrebbe le autorizzazioni. Però i lavori sono iniziati e proseguono.