Cosenza, le clientele sfacciate di Spagnuolo e Tridico

Giampaolo Calabrese è stato l’uomo del giorno per diversi mesi nella città dei Bruzi. Non era mai capitato, almeno qui a Cosenza, che un organizzatore di concerti salito poi alla ribalta di “gestore-padrone” di un monumento pubblico come il Castello, diventasse addirittura dirigente comunale, poi nientepopodimenoche responsabile dell’Ufficio Stampa senza neanche essere giornalista e adesso elemento “indispensabile” della cricca di faccendieri della ormai defunta presidente della Regione Jole Santelli, che era particolarmente sensibile al fascino dei raccomandati, specie da chi ha parentele molto in alto come il parassita sociale di cui sopra. Che adesso è pronto a riciclarsi nella Film Commission con il ruolo di direttore amministrativo, sperando ovviamente che alle prossime elezioni di febbraio vinca o il centrodestra o il centrosinistra, che come tutti sanno sono la stessa cosa.

E’ chiaro come il sole che il “figlio di mammà” di cui parliamo ha santi in paradiso molto importanti. E Calabrese, che della trasversalità e dell’ambiguità ha sempre fatto i suoi cavalli di battaglia, sapeva dove voleva andare a parare, stuzzicato anche da quel buffone di Mario Occhiuto.

La mamma di Calabrese (che Dio l’abbia sempre in gloria) si chiama di cognome Ippolito, esattamente come la signora Edvige, sua sorella, la first lady del Tribunale di Cosenza ovvero la moglie del procuratore Mario Spagnuolo, meglio conosciuto ormai come Il Gattopardo, che per tornare a Cosenza (nonostante tutti i disastri che ha combinato all’epoca di Franco Pino e dei pentiti) ha fatto carte false. Figuratevi la faccia di quel cazzaro di Occhiuto appena ha saputo della parentela…

Ma il buon Calabrese ha anche parentele importanti da parte del padre, visto che siamo nel ramo dell’avvocato penalista Sergio Calabrese, tra i “baroni” indiscussi del foro di Cosenza, uno tra quei veterani che dopo la morte (violenta) di Silvio Sesti ha conquistato fama e potere. Insomma, Giampaolo, da qualsiasi parte si vuole guardare, era un predestinato alla… raccomandazione e ai favori degli amici degli amici con cappuccio e grmbiulino.

Spagnuolo è un uomo (?!?) che ci tiene parecchio alla famiglia e oltre a piazzare il nipote al Comune da Occhiuto prima e dalla Santelli poi, ha fatto di tutto per far uscire indenne dall’inchiesta dei furbetti del cartellino suo fratello Ippolito (come il cognome della moglie da signorina, pensate un po’), la pecora nera della famiglia. Esattamente lo stesso soggetto diventato alla fine degli anni Ottanta magicamente capo dell’Ufficio Vaccinazioni dopo l’intervento dell’allora presidente dell’Usl Pino Tursi Prato, che aveva “patteggiato” con lo stesso Spagnuolo (in questo caso nella qualità di “fratello”) un processo insidioso riguardante tangenti.

Tornando invece al processo di Ippolito “fratello mio”, beh quel procedimento era affidato al suo uomo (?!?) migliore ovvero Antonio Bruno Tridico. Poi – visto che se ne sono accorti tutti – ha optato per fargli prendere una condanna mite per evitare chiacchiericci pericolosi. E nel contempo ha salvato il deretano ad altri 5 soggetti “raccomandati”. Una classica truffa alla porto delle nebbie.

Il pm Tridico

Tridico non si muove per amor di Giustizia, ma solo per insabbiare, ricattare ed usare il materiale probatorio come merce di scambio per favorire il suo mammasantissima ovvero Occhiuto.

Altro non è che un esecutore degli ordini del sindaco che da tempo sta acquisendo materiale giudiziario a carico dei suoi nemici da utilizzare come contropartita per appattarsi i tanti procedimenti penali che ha in corso. Nel senso che se tutta la classe politica, di ogni schieramento, è collusa con la mafia e la massoneria deviata, così come buona parte della procura, questo può voler dire solo una cosa: che sono tutti colpevoli. Quindi la conclusione, come nella migliore tradizione calabrese, non può che essere questa: tutti colpevoli, nessun colpevole.

Ma Tridico, oltre che fare gli interessi di Occhiuto, fa anche i suoi. Il sostituto anziano della procura di Cosenza – come spesso si dice- si trova in una relazione complicata. Sì, certo, sono affari privati e non dovremmo parlarne ma se la compagna di Tridico (ad un certo punto si erano lasciati ma adesso sono tornati insieme) occupa prima un posto precario addirittura dentro il Tribunale e poi viene assunta al Centro Residenziale dell’Università della Calabria ci dev’essere qualcosa che non va. Specie se il suo compagno è stato il protagonista di un’inchiesta-barzelletta su presunti falsi esami proprio all’Unical. Proprio ieri il magistrato più ridicolo d’Italia ha incassato le sue condanne per i poveri studenti che sono caduti nelle sue grinfie. Al contrario dei “pezzi grossi” dell’operazione ovvero Pino Nano e Daniele Gambarara che non solo sono stati assolti nel corso del dibattimento ma ai quali il magistrato senzapalle di cui parliamo ha dovuto anche chiedere scusa con tanto di “risarcimento” e con tanto di richiesta di assoluzione proprio da parte sua. Sì, avete capito bene: Tridico prima ha indagato Nano e Gambarara con tanto di “titoloni” sui media di regime e poi è stato sconfessato dai fatti ed è stato costretto addirittura a chiedere l’assoluzione. Della serie: forte con i deboli e debole con i forti. Un fascista perfetto con tanto di moschetto, che fa anche rima!

Il Centro Residenziale dell’Unical

Lei, la sventurata che si è messa con ‘sto buffone con la toga, si chiama Paola Mannavola e magicamente dal Tribunale si è spostata ad Arcavacata, Centro Residenziale, secondo piano. Fa la collaboratrice informatica, una dicitura che equivale a dire che non fa un bel niente: riscalda la sedia e le pagano uno stipendio grazie alle inchieste-farsa del suo compagno che di mestiere fa il magistrato corrotto.

Paola la conoscono in molti: ha frequentato il Liceo Classico ma non era certo una cima, ha avuto scarsa fortuna nel prosieguo degli studi e poi, finalmente, ha fatto centro legandosi a Tridico, che bene o male qualche lavoro gliel’ha rimediato. E noi dovremmo rispettare la privacy di questi signori quando loro – senza provare alcuna vergogna – ci vengono a sequestrare i computer perché cercano… droga? No, non rispettiamo nessuna privacy esattamente come loro non rispettano la nostra.

Ciao Paola e – mi raccomando – salutami il pm prima di uscire dalla vostra casetta di via Miceli per andare a… lavorare (si fa per dire, ovviamente).