Catanzaro. Giustizia e mazzette: l’analisi del Ros sulle accuse agli avvocati. I verbali di Stilo e i pentiti

Un giro vorticoso di mazzette che sarebbero passate da alcuni studi legali per finire tra le mani di giudici del distretto di Catanzaro se non addirittura della Corte di Cassazione. A puntare il dito contro alcuni dei suoi stessi colleghi di Catanzaro e Vibo Valentia è l’avvocato Francesco Stilo in attesa di giudizio nell’ambito del maxi processo Scott Rinascita. Da mesi il legale ha raccontato di rapporti opachi, accordi inconfessabili, illeciti che sarebbero stati compiuti dai professionisti della toga. Le tante dichiarazioni rilasciate da Stilo alle autorità giudiziarie di Salerno e Catanzaro non sempre hanno trovato riscontro negli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria. Anche le accuse rivolte ai colleghi avvocati sono state raccolte e vagliate. Nei giorni scorsi infatti nell’ambito del maxi processo è stata depositata una informativa del Ros (datata maggio 2021) in cui si è proceduto a identificare gli avvocati individuati da Stilo, consultando l’albo professionale, ma soprattutto intrecciando i verbali dell’avvocato con quanto dichiarato anche dai collaboratori di giustizia Andrea Mantella, Raffaele Moscato ed Emanuele Mancuso nella versione degli atti omissati e acquisiti agli atti del processo. La nota integrativa del Ros a firma del maggiore Fabio Vincelli, risponde a una delega di indagine rilasciata dalla Dda di Catanzaro e che ha portato all’apertura di un fascicolo di indagine a modello 45, relativo quindi a fatti che, almeno per il momento, non costituiscono reato.

Soldi per sentenze

Stilo racconta che un esponente di spicco della criminalità organizzata gli avrebbe confessato di aver consegnato 200 mila euro a due avvocati per “comprare” la sentenza in un processo di primo grado per omicidio. Invece una coppia di avvocati, stando sempre al racconto di Stilo, avrebbe potuto garantire il successo nei ricorsi in Cassazione. In particolare “riusciva a corrompere i giudici di alcune sezioni della Suprema Corte. Questo – aggiunge Stilo – era chiaro a tutti, anche a me quando avvenivano le consegne di denaro alle quali ho assistito”. Ben 250 mila euro sarebbe costata la dichiarazione di incompetenza con cui un processo fu trasferito al Tribunale di Roma. I boss avrebbero “regalato” anche macchine e yacht per ottenere detenzioni ai domicilari.

LE TALPE

Stilo punta il dito anche sui rapporti tra determinati avvocati e alcuni amministrativi degli uffici giudiziari del distretto. Racconta per esempio che un suo collega si sarebbe fatto carico delle rate di un pignoramento che gravava su un dipendente del Tribunale per ottenere in cambio informazioni. Un boss suo cliente gli avrebbe riferito che un avvocato riceveva delle informazioni da un cancelliere che lo “informava subito se c’era un arresto, un sequestro o un’operazione imminente”. Nella nota integrativa del Ros si fa riferimento ad almeno tre avvocati che a Catanzaro riuscivano a sapere in anticipo indagini coperte da segreto. Si fa riferimento anche a una importante inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza, i cui nomi erano venuti a conoscenza di un avvocato grazie “ad un commesso che lavorava all’interno della cancelleria della Dda di Catanzaro”. Infine Stilo racconta di un avvocato che venendo a conoscenza dell’imminente arresto di un suo assistito si sarebbe messo “a fare estorsioni… andando a recuperare crediti per suo conto”.

IL PERSONAGGIO

Al momento non risulta che le dichiarazioni di Stilo abbiano portato all’iscrizione degli avvocati chiamati in causa nel registro degli indagati. Chi è invece sotto processo è proprio Stilo. Al professionista, nello specifico, viene contestato di “avere concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta”, operante nel Vibonese e in altre zone d’Italia ed estere. Secondo l’accusa avrebbe instaurato con le cosche (Mancuso, Lo Bianco-Barba, Pardea-Ranisi, Fiarè.-Razionale-Gasparro e Accorinti) uno “stabile rapporto di tipo collusivo, mettendo a disposizione le possibilità offerte dall’esercizio della sua attività di avvocato” consentendo “all’organizzazione di eludere le investigazioni delle autorità, acquisire notizie riservate, mettendo a disposizione dell’organizzazione informazioni su indagini in corso, ottenute attraverso appoggi e contatti con soggetti istituzionali”. Inoltre, sempre secondo l’accusa, il penalista indagato avrebbe creato “un ponte tra l’articolazione dell’organizzazione formatasi all’interno della casa circondariale di Vibo capeggiata da Giuseppe Antonio Accorinti e gli associati in libertà”. Fonte: Gazzetta del Sud