La bufala di regime: il soprintendente Pagano e il cimitero degli elefanti (di Edoardo Maria Galli)

di Edoardo Maria Galli

L’ineffabile soprintendente archeologo Mario Pagano, il solerte cercatore insieme ad Occhiuto del tesoro di Alarico, il cementificatore di Punta Scifo a Crotone, lo spianatore dell’antica Kroton a favore dello stadio Ezio Scida, lo gnorri che ha fatto finta di non vedere le demolizioni dei palazzi antichi di Cosenza vecchia da parte di Occhiuto, il facilitatore della costruzione di decine di pale eoliche in prossimità del parco archeologico di Saepinum (Campobasso), il più volte rimosso dal suo incarico di Soprintendente archeologo, aveva fatto una scoperta sensazionale!

Una scoperta, a leggere i giornali del tempo, che avrebbe potuto mettere in ombra, persino, il rinvenimento dei Bronzi di Riace! 

Aveva scoperto, nientepopodimeno che, una strada romana, una fucina di armi longobarde e, udite udite!, un elephas antiquus risalente a 700.000 anni or sono, anzi 75.000, anzi 40.000, anzi… La scoperta archeologica rivestiva un significato straordinariamente importante, altro che tesoro di Alarico!, perché era avvenuta in Sila, sulle rive rinsecchite del lago artificiale Cecita, vicino alle località “Forge di Cecita” e “Forgitelle” e “Campo San Lorenzo”.

Invito i lettori a ricordare i toponimi perché hanno un significato che spiegherò meglio più avanti. Sembrerebbero scoperte straordinarie, mai fatte prima d’ora, ma, invece, ad una analisi approfondita delle prime dichiarazioni e già delle prime immagini di cui disponevamo, ci si presentavano diversi dubbi ed alcune certezze.

Iniziamo con il dire che queste non sono le prime ricerche archeologiche effettuate sull’Altopiano silano perché già dal 2005 erano stati praticati diversi saggi di scavo archeologico stratigrafico condotti, proprio in un’area contermine, dall’allora funzionario del Soprintendenza archeologica, Domenico Marino, e dal professor Armando Taliano Grasso dell’Unical.

I saggi stratigrafici avevano datato il sito tra il 3.600 ed il 3.350 a.C. (Eneolitico iniziale), ma alcuni reperti ne testimoniano tuttavia una frequentazione più antica, tra il 3.800 ed il 3.600 a.C. (Neolitico finale), un’epoca già documentata in Calabria da resti di villaggi o singole fattorie. L’insediamento del Cecita, come descritto in diverse pubblicazioni scientifiche, era posto lungo una delle principali vie di transito fra Jonio e Tirreno, aperta al traffico di ossidiana proveniente dalle Eolie, e forse anche dei metalli estratti in area silana, soprattutto nel territorio di Longobucco.

La scoperta colse di sorpresa i ricercatori convinti da sempre che in epoche remote la Sila fosse disabitata, mentre, alla luce di quei rinvenimenti, andava rivelando un’intensa frequentazione, soprattutto in corrispondenza delle grandi vallate fluviali. Si è aperta così una nuova stagione di ricerche estese a tutta l’area silana. L’ambito cronologico dei rinvenimenti si è ampliato nel 2007, quando Domenico Marino, in collaborazione con Armando Taliano Grasso effettuarono nuovi ritrovamenti presso i terrazzi dei laghi Cecita e Arvo, esplorati con ricognizioni sistematiche. Emersero tracce di diversi altri insediamenti riferibili ad un arco temporale che va dal Paleolitico antico (700.000 a.C.) alla tarda età imperiale (V secolo d.C.). Il Paleolitico inferiore risulta documentato dalle industrie su ciottolo (700.000-500.000 anni fa), rinvenute oltre che sulla riva sud-occidentale del Lago Cecita (a Campo San Lorenzo, dove un’équipe dell’Università di Roma, guidata dal prof. Umberto Nicosia, individuò paleosuoli con impronte fossili di animali), anche nella vallata del Lago Arvo in un arco di circa 3 km lungo la riva nord-orientale e attestanti una presenza attiva dell’Homo erectus. Per il Paleolitico medio e superiore le industrie litiche raccolte in diverse località mostrano una frequentazione già da parte dell’uomo di Neanderthal, poi sostituito dall’Homo sapiens.

Indagini stratigrafiche nel grande abitato preistorico di Piano di Cecita (IV millennio a.C.), hanno invece portato alla luce i resti di alcune capanne a pianta absidata e numerosi vasi integri. Il ritrovamento di porzioni di campi con tracce di aratura e di numerosi pesi litici, testimoniano, inoltre, come le comunità preistoriche dell’area del Cecita praticassero l’agricoltura e la pesca con la rete. Sul terrazzo di “Campo San Lorenzo” fu individuata, anche, una fattoria di età imperiale romana, mentre sull’estrema propaggine settentrionale del terrazzo di “Forge di Cecita”, è stato localizzato un eccezionale complesso monumentale sacro di età greca (VI-III secolo a.C.).

L’indagine stratigrafica sull’area del santuario ne ha mostrato la delimitazione tramite un lungo muro oltre il quale sono emersi i resti di un edificio in pietra a pianta rettangolare. I saggi di scavo hanno rivelato deposizioni di armi in ferro, punte di lancia, giavellotti ed asce, oltre a statuette fittili di divinità in trono, diversi vasi, di produzione coloniale e di importazione, nonché monete magno-greche e siceliote.

Sempre sul terrazzo di “Forge di Cecita” sono state poi individuate ampie aree di un abitato di epoca romana. Una ricognizione sistematica ha permesso di raccogliere, in superficie, molto materiale archeologico dal quale si è evinta una frequentazione continua dell’area dall’età repubblicana al periodo tardo imperiale. E’ seguito lo scavo in estensione, già pubblicato su riviste scientifiche, di un grande edificio di età repubblicana, attivo già dal III sec. a.C., articolato in più ambienti con annesse strutture per la produzione della pece, una resina tipicamente silana, studiata da A. Battista Sangineto, che serviva, fra le altre cose, a impermeabilizzare le navi e le anfore. Dopo aver elencato le ricerche scientifiche, quelle serie, passiamo, invece, all’analisi delle mirabolanti scoperte dell’ineffabile soprintendente. Iniziamo dalla strada romana: dov’è, di quali materiali è composta, quali fonti letterarie ne parlano, quali località congiungeva? Ma, soprattutto, come avrà fatto a scoprirla se ha effettuato solo una ripulitura dell’area e non un vero e proprio scavo archeologico?  L’elephas antiquus come è stato datato? E’ stato, forse, rinvenuto in uno strato archeologico? E’ stato datato solo sulla base delle caratteristiche morfologiche dello scheletro? A quando, di grazia, lo data il distruttore di Punta Scifo? Al 700.000, al 75.000 o al 40.000 a.C.?Ce lo faccia sapere, prima o poi, perché stiamo in pensiero, altrimenti.

La scoperta più notevole era, senza alcun dubbio, lo scramasax (un arnese da taglio) longobardo che, insieme al ritrovamento di diversi pani di concotto ferroso nell’area, hanno fatto dichiarare al Nostro che siamo in presenza, nientemeno, di una fucina di epoca longobarda, anzi, più precisamente, di una fucina di armi del 731 d.C. Accidenti, direte voi, che precisione cronologica è capace di sfoderare questo novello Indiana Jones! In realtà l’oggetto in questione altro non è che un pezzo di ferraccio indatabile, con il codolo (l’impugnatura) forse ritoccato durante il restauro, eseguito in Soprintendenza, per farlo assomigliare ad un’arma.Si trattava, era evidente a tutti gli studiosi, di un pezzo di ferro non contestualizzato (perché non rinvenuto in uno strato databile), ma attribuibile, invece, alle attività moderne di forgiatura che, fino agli anni ’50 del secolo scorso, erano ancora in vita in questi stessi luoghi, come dimostrano i toponimi “Forgitelle” e “Forge di Cecita” citati all’inizio.  Complimenti vivissimi, infaticabile cercatore di tesori Pagano, ha trovato il modo di farsi ridere dietro ancora! Non le sono bastati la caccia al tesoro di Alarico, la devastazione di Punta Scifo, la costruzione dello stadio sui resti di Crotone antica? Vedrà che le Iene torneranno ad inseguirla per sbeffeggiarla.

Una mezza bufala, una piccola cosa per quello che riguarda l’elefante, una bufala totale per lo scramasax, la fucina longobarda e la strada romana. Un modo di rifarsi dopo tutte le brutte figure che ha fatto. Non lo rimuovono perché non sanno dove metterlo e non lo vogliono nel cimitero degli elefanti che è la direzione generale a Roma… mai metafora fu più azzeccata.

Un cenno a parte meritava l’acritico entusiasmo dell’allora presidente Oliverio che, fino a quel momento, non si era accorto delle importanti ricerche già effettuate in Sila, ma, quando ha visto che c’erano il Mammut e la spada longobarda, faceva outing sulla straordinarietà della Sila e sulla unicità dell’Altopiano che, a seguito di questa strabiliante scoperta (altro che i Bronzi di Riace!), bisognava mettere, subito, fra i siti dell’Unesco!