Calabria 2020/21, gli impresentabili. L’impero dei Morrone: malapolitica, cliniche e famiglia

“Tu c’hai idea di quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga mi rende molto meno”. La frase dell’ormai celeberrimo Buzzi sintetizza uno dei più grandi business dello stato parallelo che ha sguazzato e sguazza ancora indisturbato nell’Italia di Mafia Capitale.

La chiusura del Centro di accoglienza dei migranti a Spineto di Aprigliano è solo la punta dell’iceberg di un sistema organizzato di lucro sulla pelle dei profughi. Un sistema la cui peculiarità è soprattutto la scarsa trasparenza. Non esiste nessuna associazione del terzo settore che pubblica i bilanci. Questo vuol dire che molto spesso quei 35-40 euro al giorno che dovrebbero andare a ogni profugo in realtà potrebbero andare a finire nelle tasche delle associazioni.

I progetti Sprar e i cosiddetti “Progetti Emergenza” sul territorio provinciale cosentino sono cresciuti a dismisura. Tra i più importanti ci sono certamente quelli di Acquaformosa, di Rogliano e quello cosentino de La Kasbah. I sindaci in particolare hanno visto in questo dramma un’opportunità per costruire clientele sul territorio. E’ capitato molto spesso che associazioni amiche abbiano avuto l’affidamento di progetti che non hanno mai prodotto integrazione se non quella enunciata nei convegni di cui l’associazionismo si nutre ma che purtroppo sono fini a se stessi. Questi progetti a loro volta ne generano altri satelliti che muovono complessivamente milioni e milioni di euro, anche se per la scarsa trasparenza che dilaga, non è possibile quantificare l’esatta misura del business.

LA COOPERATIVA SANT’ANNA

In questo affare quella vecchia volpe di Ennio Morrone ha inserito uno dei suoi rampolli, Marco, attraverso la Cooperativa Sant’Anna, che gestiva il Centro di Spineto chiuso dalla procura di Cosenza. Il figlio di Morrone è uno dei soci ed è chiaro che per il cognome che porta tutto sia riconducibile a lui e alla sua famiglia. Anche se quello che ci mette la faccia è l’assessore pedacese Carmelo Rota, maldestro prestanome.

E’ uno scandalo in piena regola, che va denunciato in tutta la sua gravità. I sessanta profughi trattati in maniera disumana e tenuti in un ex ristorante diventato lager gridano vendetta. E il fatto che dentro la matassa ci sia sempre la malapolitica non fa altro che aggiungere amarezza nella constatazione di un sistema di potere che non si ferma davanti a nulla.

La Cooperativa Sant’Anna è un’impresa poliedrica. Non si occupa solo di migranti. Nelle sue corde c’è anche il settore agroalimentare, il catering per essere più precisi. Sì, percché Luca Morrone, ex presidente del consiglio comunale di Cosenza e ora candidato alla Regione con Fratelli d’Italia, gestisce attraverso prestanome il locale di piazza Santa Teresa “Primadi”. La circostanza non è da sottovalutare perché è quasi scontato che la Cooperativa Sant’Anna si servisse dei suoi stessi prodotti per il servizio di mensa ai migranti. E questo avrà fatto certamente crescere il business della famiglia Morrone in questa sciagurata vicenda.

ENNIO MORRONE

Andiamo a scoprire a questo punto i tasselli dell’impero della famiglia Morrone, tutto costruito sulla sua furbizia e sul suo equilibrismo politico. Qualità che gli hanno reso parecchi quattrini.

Ennio Morrone, politico di lungo corso che ha attraversato le tre repubbliche senza fare molta distinzione tra centrodestra e centrosinistra, è un ingegnere civile e si è laureato nel 1971. La sua attività principale è stata per molto tempo la Geocal, un laboratorio di analisi che, tra le altre cose, ha anche il compito di attestare la scarsa qualità dei materiali utilizzati dalle ditte vincitrici degli appalti pubblici.

Lavora a pieno regime col potere politico, di conseguenza. E Pino Gentile lo lancia in politica sotto le insegne del Psi. Fra il 1987 e il 1989 è stato vicesindaco con diverse giunte Dc-Psi ma prima ancora presidente della Quinta circoscrizione e assessore ai lavori pubblici, alle politiche sociali e alla cultura.

Alla fine degli anni Ottanta finisce in difficoltà per una storia di “balletti rosa” ovvero fondi eccessivi per spettacoli, che è stata un cavallo di battaglia di Ciccio Dinapoli, all’epoca in cui era il deus ex machina di Cam Teletre.

Poi parte il difficile rapporto con Giacomo Mancini, che nel 1994, dopo le defezioni di Stefania Frasca e Gilda De Caro, lo fa entrare in giunta ma gli toglie le deleghe poco tempo dopo. Al “vecchio” non piacevano i suoi metodi, non lo sopportava più. E lo tiene fuori da tutto.

Nel 2000 viene eletto consigliere regionale per I Democratici. E’ il momento decisivo per la carriera politica di Morrone, che entra definitivamente nei meccanismi del sistema più prolifico d’Italia.

Nel 2003 finisce indagato nella maxinchiesta della Dda di Catanzaro sulla penetrazione della ndrangheta nei lavori della Salerno-Reggio Calabria, che ha portato all’arresto di 37 persone tra cui funzionari dell’Anas presunti affiliati alle cosche malavitose. Ennio se la cava e l’inchiesta finisce in una bolla di sapone.

Ormai è un big della politica calabrese. Nel frattempo, ha virato, ma di poco, sull’asse dell’Udeur del potentissimo Clemente Mastella. Viene riconfermato consigliere nel 2005 e nominato assessore regionale al personale nella giunta Loiero e vicepresidente della I Commissione di Politica istituzionale.

Per Ennio Morrone la “famiglia” è molto importante. Ma più ancora della famiglia, le relazioni. Sì, proprio quelle pericolose, o se preferite spregiudicate, quelle trasversali, che sono sempre state il suo forte. E lo mettono in prima fila tra i potenti della città.

Morrone ha una figlia che si chiama Manuela ed è stata avviata agli studi giuridici, che in famiglia un avvocato o (magari!) un giudice serve sempre. E Manuela ha rispettato in pieno le speranze paterne. E’ stata per anni giudice del Tribunale penale di Cosenza. La donna giusta al posto giusto, non c’è che dire. E visto che doveva trovare marito, prima o poi, pensate alla felicità di papà Ennio quando ha appreso chi era il fidanzato di Manuela, il poliziotto Stefano Dodaro.

Nel 2005 il giudice Eugenio Facciolla, nel corso di una famosa ispezione che tutti conoscono, parla a lungo su alcuni profili di possibile incompatibilità e su asseriti legami tra magistrati, avvocati, poliziotti e indagati.

“Voglio finalmente aggiungere che una ulteriore situazione di rapporti suscettibili di valutazione ai fini dell’incompatibilità è quello che lega la dottoressa Manuela Morrone, giudice del Tribunale penale di Cosenza, con il dottor Stefano Dodaro, marito della stessa e (all’epoca, ndr) capo della squadra mobile di Cosenza e figlia di Ennio Morrone, imprenditore e politico… In forza di questi legami familiari la dottoressa Morrone è attratta dalla sfera di influenza dell’avvocato Sergio Calabrese, il che è ancora più preoccupante laddove si consideri che Ennio Morrone è a sua volta imputato o indagato in due procedimenti per reati legati alla sua attività di amministratore ed è difeso dallo stesso Calabrese, e da altri avvocati della sunnominata conventicola…”.

C’è poco da fare: sono sempre le relazioni pericolose a fare la differenza. E se Facciolla chiama “conventicola” questo intreccio di interessi, forse qualche motivo ce l’avrà.

E così, alle elezioni politiche del 2006, Morrone viene eletto deputato per la lista dei Popolari-Udeur in Calabria. Sono anni indimenticabili: deputato, assessore regionale e persino vicesindaco della giunta Perugini a Cosenza con il fratello Giancarlo. Una specie di “asso pigliatutto”.

Se al buon Morrone non avessero chiesto espressamente di dimettersi dalla Regione, lui sarebbe andato avanti chissà per quanto tempo e a dire il vero ci ha anche provato a fare l’indiano.

LA DISAVVENTURA: L’ALTRA FACCIA DELLA GIUSTIZIA

Ad agosto 2006 Ennio Morrone piomba alla ribalta delle cronache nazionali. Forse si sarà montato la testa, forse si sarà ritenuto unto dal Signore, fatto sta che quando va a portare la sua solidarietà al consigliere regionale Franco Pacenza, appena arrestato, è protagonista, dentro la sala colloqui del carcere di Cosenza, di un dialogo che esula da qualunque consuetudine. E che viene registrato da una microspia dei magistrati.

“Franco” si rivolge Morrone a Pacenza parlandogli di Giuseppe Cozzolino, il pm che ha chiesto il suo arresto. “Cozzolino è un ladro… Cozzolino è un bastardo”.

“Cozzolino…” lo interrompe per un istante Pacenza. “Ha trent’anni”, prosegue Morrone, “è di Napoli… Sappiamo dove se la fa…”.

Parole pesantissime. E c’è di più. Convinto di non essere ascoltato, Morrone prosegue nelle sue rassicurazioni: “Tanto il gip sarà trasferito il 20… E’ un gip distrettuale… Ti posso garantire”, dice inoltre, “che tutti gli amici (…) Adamuccio, Nicola, Rino, Spagnuolo, sono (…) tranquilli. E comunque ne esci senz’altro. Io mi devo muovere Frà”.

“Chiamiamo a Serafini” (Alfredo, procuratore capo di Cosenza, ndr), propone Pacenza. E Morrone: “Ho chiamato, a Serafini: perché tu non mi hai avvertito?”.

Il quadro che emerge è sconcertante. Un parlamentare della Repubblica, compagno di partito del Guardasigilli, che durante una visita in carcere spiega al collega di stare tranquillo. Perché è certo che ne uscirà senza’altro. Perché, in ogni caso, della questione è al corrente il procuratore capo. E poi comunque sanno dove se la fa, il pm “ladro e bastardo”.

L’altra faccia della giustizia: il sotterraneo rapporto tra politica e magistratura.

La stella di Morrone comincia a non brillare più. Per difendersi, si inventa un incredibile caso di manipolazione della sua intercettazione. Leggere questa intervista de L’Espresso è uno spasso. Non c’è bisogno di commento.

“… I nastri sono stati fatti sbobinare in Puglia, da una società privata di fiducia della magistratura. E già qui c’è la prima anomalia. Perché non sono stati fatti sbobinare dalla polizia giudiziaria?”.

E lei come fa a sapere queste cose? I giornali non le hanno pubblicate.

“Mi lasci almeno il diritto di avere le mie fonti (davvero difficile capirle…ndr). Niente di segreto, ma comunque non è questo il punto…”.

Quale sarebbe, il punto?

“E’ che dal momento in cui queste registrazioni vengono sbobinate a quando sono acquisite dalla procura di Cosenza, qualcuno ha fatto in modo che risultassi io quello che aveva attaccato Cozzolino”.

E come avrebbe fatto?

“Invertendo il numero che nella sbobinatura indica chi sta parlando. E’ un gioco da ragazzi, basta mettere uno al posto di due. Così io mi trovo tutti contro e passo per quello che spara a zero contro i magistrati”.

Le ripeto: le dice cose di straordinaria pesantezza. E chi sarebbe stato a compiere questa operazione?

“Credo ci sia un regista occulto, in questa storia. Qualcuno che ha interesse a screditarmi e che per farlo è disposto a tutto”.

Faccia il nome di questa persona, se esiste…

Ovviamente Morrone non farà nessun nome.

I GUAI E LE CLINICHE

Ennio e Luca Morrone

Morale della favola: Morrone si è dovuto accontentare di un anno e mezzo soltanto di assessorato. Poi, esaurita la legislatura da deputato ed esploso in aria il “fenomeno Mastella”, per Morrone sono cominciati grattacapi ancora più grossi: Why Not?

Viene indagato con l’accusa di associazione per delinquere. Inizialmente è stato prosciolto dal Gup di Catanzaro ma i sostituti procuratori generali hanno impugnato la sentenza dinanzi la Corte di Cassazione che ha annullato il proscioglimento con rinvio a un nuovo Gup di Catanzaro. Che lo ha sì rinviato a giudizio ma per un processo che ancora va avanti molto stancamente. Avrebbe favorito società private con affidamenti diretti di fondi pubblici rigorosamente in nero. Lo fanno tutti…

Gli investimenti di Morrone sono finiti tutti nell’attività ormai diventata principale (si dice così, no?), quella delle cliniche. Compresi i lauti guadagni degli stipendi da deputato e consigliere regionale. Un conflitto di interessi grande quanto una casa.

Morrone ha due cliniche storiche, la Misasi e la Santoro di Cosenza. Quando lascia la seconda però raddoppia prendendosi anche (passa attraverso i figli) la San Bartolo di Mendicino e la Villa Sorriso di Montalto.

Nel 2011 viene incalzato dai grillini sul conflitto di interessi, prova a raccontare che è solo socio minoritario di una quota ma il deputato Dalila Nesci si procura il decreto commissariale numero 1 del 5 gennaio 2011 dal quale risulta che le tre cliniche appartengono ai figli e lo inchioda.

Ma lui non si scompone di una piega: in fondo, il suo è un piccolo impero di famiglia. Che male c’è? Così fan tutti. E che male c’è se ha lucrato e lucra ancora addirittura sui migranti con tanto di chiusura di uno dei lager? Niente. Così fan tutti. E che male c’è se apre un “localino” per trovare un impiego ad uno dei suoi figli che altrimenti dovrebbe vegetare a carico del papà milionario? Ma niente, così fanno tutti i politici corrotti della nostra sventurata terra.

Le cliniche, come tutti sanno, sono il core business della famiglia Morrone. Ennio, insieme ad altri “galantuomini” del calibro di Citrigno, dei fratelli iGreco e Parente, è uno dei boss indiscussi della sanità privata. Milioni e milioni di budget che servono soltanto per affossare la sanità pubblica e arricchire fino all’inverosimile i faccendieri. Che ovviamente pensano sempre di salire sul carro del vincitore per continuare il banchetto. Ed è incredibile che chi dichiara di voler risanare la sanità pubblica abbia questa gente nelle sue file.

Morrone, qualche anno fa, dopo l’inevitabile salto della quaglia al centrodestra, non ce l’aveva fatta a riconfermarsi consigliere regionale ma era ben presto entrato come primo dei non eletti al posto di Franco Morelli.

Morrone si è abilmente riciclato in Forza Italia, è stato rieletto consigliere regionale nel 2014 e si è buttato ancora in nuove avventure… Ha già passato un periodo con Verdini saltando nel centrosinistra in tempo per sfiduciare Occhiuto e far finire il figlio nell’inchiesta Passepartout ma poi è passato di nuovo a destra, prima con l’Udc e adesso addirittura con Fratelli d’Italia, nella cui lista è stato eletto prima consigliere e adesso addirittura vicepresidente del Consiglio Luca bambino mio. Povera Calabria nostra!

2 – (Fine)