Mafia-stato e Calabria. Peppe Gambazza, le cimici del Ros e la talpa dei Servizi segreti

Stiamo pubblicando ormai da tempo alcuni stralci del libro-inchiesta di Francesco Forgione “Porto Franco: politici, manager e spioni nella Repubblica della ‘ndrangheta”. Dopo avere esaminato a fondo i rapporti tra il clan Piromalli e Marcello Dell’Utri per conto di Silvio Berlusconi, l’autore ci spiega la trasformazione della ‘ndrangheta e i suoi mille tentacoli che coinvolgono anche la magistratura e tutto il sistema che gira intorno alla Giustizia a Reggio Calabria. Roba che scotta e che si aggancia in maniera disarmante al caos delle toghe sporche di oggi. Compresi i traffici del Cavaliere e delle sue tv (non ultima la Rai…) con la massoneria, con il vecchio Psi e persino con il Vaticano, con la Calabria sempre protagonista. Ora ci attende l’ultimo viaggio, che ci porterà gradatamente al cuore del problema: la corruzione della magistratura.

Arrestato il vecchio Gambazza, il bastone del comando passa a Giuseppe, Peppe, il secondogenito del boss (https://www.iacchite.blog/mafia-stato-e-calabria-le-due-versioni-e-le-stranezze-dellarresto-di-ntoni-pelle-gambazza/). Il fratello più grande, Salvatore, era già in carcere dal 2007, anche lui arrestato dopo 10 anni di latitanza. Peppe vive a Bovalino e due mesi dopo l’arresto del vecchio boss la sua casa comincia a essere osservata dagli stessi carabinieri del Ros che avevano fatto irruzione all’ospedale di Polistena.

La telecamera puntata sulla porta dell’abitazione filma una processione di persone mafiose e non che vanno a fare visita al nuovo reggente della famiglia. La dinastia dei Gambazza è parte della storia di San Luca e della ‘ndrangheta calabrese e non a caso dal 2007, dopo la strage di Duisburg, per il vecchio ‘Ntoni, che era già inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi, era stato spiccato anche un mandato di cattura internazionale. Del resto, la faida che andava avanti dal 1991 e aveva fatto sei morti anche in Germania vedeva contrapposte proprio le famiglie dei Nirta-Strangio contro quelle dei Pelle-Vottari-Romeo.

Insomma, la casa dell’erede al comando andava tenuta d’occhio. Anzi, non bastava soltanto osservarla, doveva essere anche “ascoltata”. E per questo, la Procura di Reggio aveva emesso un decreto d’urgenza con il quale si ordinava di installare le microspie per le intercettazioni ambientali.

Mai installazione di cimice fu più complicata: l’urgenza, decretata il 6 agosto del 2009, riesce a trovare applicazione solo dopo più di sei mesi, il 25 febbraio dell’anno successivo, il 2010. Il ritardo, secondo gli investigatori del Ros, sarebbe dipeso da un ostacolo insormontabile: nella stessa palazzina di Peppe abita una donna sola e vedova e, manco fosse l’Addolorata con il figlio, dal giorno della morte del marito si era messa a lutto, tutta in nero dalle scarpe fino al fazzoletto sopra i capelli, e non era più uscita di casa.

Per gli sbirri che da anni non fanno altro che mettere cimici da tutte le parti – al punto che pure l’allora capo del governo diceva che avevano trasformato l’Italia in uno Stato di polizia – è impossibile piazzare le microspie. Casa Pelle si può filmare ma non ascoltare. I mesi scorrono muti, ma molte cose stanno per cambiare.

L’inchiesta “Crimine” va avanti e unifica diverse indagini di polizia e carabinieri tra la Calabria e Milano. Naturalmente si sviluppa grazie alle cimici piazzate in mezza Italia, dal Santuario di Polsi a Paderno Dugnano, dove evidentemente non ci sono vedove a lutto a fare da ostacolo. E’ un’indagine tosta e alla fine dimostrerà quello che tutti sapevano già dal tempo della famosa riunione di Montalto del 1969: la ‘ndrangheta, con tutta la sua originalità e le differenze profonde rispetto a Cosa nostra, è una organizzazione unitaria, con ruoli e cariche riconosciute al suo vertice. Non ha una cupola modello siciliano che decide per tutta l’organizzazione, ma un’autorità riconosciuta e pure eletta, con tanto di alzata di mano, democraticamente. E’ la sede nella quale si assumono le decisioni strategiche e si fanno rispettare le regole di vita dell’organizzazione.

I magistrati vogliono che questo principio venga affermato anche nelle aule dei tribunali, dove finora in ogni processo è necessario rifare la storia di ogni singola ‘ndrina e dei suoi capi per dimostrare che il loro modo di operare ha le caratteristiche di un’associazione mafiosa. Insomma, una cosa che ha reso complicate le sentenze e soprattutto le condanne per 416 bis, quasi sempre sostituite da assoluzioni o proscioglimenti per insufficienza di prove.

Gratteri e Pignatone

Il Procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone, giunto a Reggio nella primavera del 2008, invece vuole che l’organizzazione venga riconosciuta nella sua unitarietà. E’ convinto che, con la ratifica del principio da parte della Cassazione, può cambiare la storia del contrasto giudiziario alla mafia calabrese. L’indagine “Crimine”, con i filmati della riunione dei capi al Santuario di Polsi e quelli dell’incontro dei locali della Lombardia a Paderno Dugnano, li sta portando a questo risultato. Quando nel 2012 arriverà la prima sentenza in questo senso, oltre a Pignatone sarà anche il procuratore aggiunto Nicola Gratteri, a parlare di “sentenza storica”.

Intanto, a novembre del 2009, muore il vecchio ‘Ntoni Gambazza e la ‘ndrina si organizza sul comando di Peppe che ne raccoglie il peso dell’eredità. Ma sono in arrivo cambiamenti anche negli apparati investigativi dello Stato. A comandare la sezione criminalità organizzata dal Ros di Reggio, arriva da Palermo un giovane tenente colonnello, Stefano Russo. Prima di lui si era spostato dalla capitale siciliana anche il capo della Squadra Mobile, Renato Cortese, un poliziotto di razza che la ‘ndrangheta, da calabrese, la conosce bene. Tutti e due avevano lavorato con Pignatone e con il procuratore aggiunto Michele Prestipino nelle più importanti inchieste contro Cosa nostra e Cortese aveva coordinato i poliziotti che avevano catturato Bernardo Provenzano. Li definiscono quelli della “scuola palermitana”, e per alcuni giornalisti, magistrati e avvocati della Reggio dei veleni è quasi un’espressione ingiuriosa.

In realtà, più che di una “scuola” si tratta di un diverso metodo nel fare le indagini e portare avanti le inchieste, a partire dall’uso dei mafiosi confidenti che non hanno più il ruolo centrale che hanno sempre avuto in Calabria, visto che troppe vicende e troppi rapporti ambigui tra questi e le forze di polizia hanno portato a non far capire più chi sta da una parte e chi dall’altra. Cambia pure il rapporto con i Servizi, che non si sa mai al servizio di chi sono e a Reggio ne scorazzano davvero troppi tra le stanze della Procura, quelle del Tribunale e quelle delle forze dell’ordine. E poi c’è una priorità sopra tutte, applicare il 416 bis con relativo sequestro e confisca dei beni, perché al Tribunale di Reggio, negli ultimi anni, sembrava che la ‘ndrangheta si fosse trasformata prevalentemente in una organizzazione di narcotrafficanti, e buona parte dei processi si facevano per droga invece che per associazione mafiosa. Eppure in passato processi che puntavano diritti al cuore dell’organizzazione, a partire dal famoso “processo ai 60”, ce n’erano stati.

Quando il nuovo metodo si impone e comincia a dare risultati in arresti, sequestri e confische di beni mai visti prima, i palermitani non sono più una “scuola” ma diventano gli “stranieri”. C’è chi con disprezzo comincia a chiamarli così. Corpi estranei in un ambiente nel quale tutto sfuma e spesso diventa doppiezza dei comportamenti professionali e sociali. Alcune storie lo confermano.

Per il giovane tenente colonnello diventa un fatto d’onore installare la microspia ambientale dichiarata urgente già ad agosto e ancora ferma nelle stanze del Ros. Lo spiega lui stesso nel corso di una deposizione in uno dei tanti processi scaturiti dall’ascolto di Casa Pelle: “C’erano grandi difficoltà per questa installazione. Dopo il mio arrivo si approfondì in maniera seria, perché insomma avevamo… avevamo la sensazione, il sentore che Pelle fosse un uomo indispensabile per la ‘ndrangheta e quindi lo investigammo. In realtà l’installazione dell’ambientale avvenne, per motivi tecnici e operativi, diversi mesi dopo…”. Anche il nuovo comandante dei Ros riferisce della presenza insormontabile della vedova, ma racconta un’altra storia: “Abbiamo avuto grossissimi problemi per questo motivo a mettere l’ambientale a casa di Pelle, però non è vero, per fortuna, che erano insormontabili, perché sono stati superati e l’ambientale è stata installata… Insomma, la signora non è bastata”.

Il colonnello Russo aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Per la fornitura delle apparecchiature elettroniche di registrazione e ascolto delle cimici di era rivolto a due nuove ditte, una di Catania e una di Caltanissetta, che si aggiungevano a quella di Cantù, in provincia di Como, normalmente usata dai Ros prima del suo arrivo a Reggio. Il motivo ufficiale è quello di consentire “una qualità di suono migliore, nonché la remotizzazione e il controllo Gsm, che permettono lo spegnimento a distanza nel caso in cui gli operatori ritengano necessario porre il sistema in modalità antibonifica”. Il colonnello si muove con la massima riservatezza sia nel suo ufficio che in Procura.

Insomma cambia tutto ed è una svolta finalmente, anche se con un ritardo di sei mesi, vedova o non vedova, l’ascolto della casa del boss può avere inizio. Ne nascerà un’inchiesta tra le più importanti degli ultimi anni che, chissà perché, verrà denominata “Reale”.

A casa Pelle, a Bovalino, è un continuo via vai di persone: gli altri fratelli e i membri della famiglia al completo, semplici soldati, imprenditori, professionisti e anche capimafia di alto calibro. Nella primavera del 2010 siamo anche alla vigilia delle elezioni regionali e il capomafia, con l’autorità che i Gambazza esercitano in tutta la zona ionica e le alleanze che possono tessere nell’intera provincia, è uno dei grandi elettori calabresi più ambiti: politici navigati e aspiranti consiglieri regionali si mettono in fila per strappare una promessa di appoggio.

Tra le tante visite che riceve, ci sono quelle di Giovanni Ficara, uno dei boss della cosca Ficara-Latella che comanda nei quartieri di Croce Valanidi e Ravagnese, la zona sud di Reggio Calabria. Nelle diverse guerre che hanno insanguinato la Città dello Stretto, la cosca si è sempre schierata con i De Stefano, i “Sangiovanni” come li definiscono nei colloqui intercettati. Il termine Sangiovanni significa compare, visto che il comparaggio, nella storia, era nato con il primo battesimo di San Giovanni.

Ficara è in cerca di nuove alleanze e di un nuovo ombrello protettivo. Si sente nudo da quando a Milano, nel giugno 2008, hanno ammazzato Carmelo Novella, il boss leghista che voleva sganciare i locali della Lombardia dal Crimine della Calabria. Lui a Novella era legato e a Milano aveva creato un suo giro d’affari e qualche impresa. Venuto meno il capo lombardo ha bisogno di nuovi appoggi, anche per recuperare forza e autorità all’interno della sua stessa cosca. Peppe Gambazza, col rispetto che gli portavano tutti, sarebbe stata la persona giusta.

Certo, per accreditarsi con Peppe bisogna offrire qualcosa in cambio. Si fa così, com’è normale, tra uomini d’onore e uomini d’affari. Ficara offre qualcuno, un uomo pronto a mettersi a disposizione del boss. Non qualcuno così, ma un cristiano di chiddi giusti che li può aiutare a fottere ‘ddi cornuti di sbirri, che ormai con le indagini li stanno accerchiando da Reggio a Milano.

L’asso nella manica del boss di Reggio Sud sono le informazioni riservate sulle indagini in corso. Informazioni di prima mano che gli arrivano in tempo reale: polizia e carabinieri non fanno in tempo ad accendere le cimici e subito qualcuno va a raccontargli dove le hanno piazzate e cosa stanno sentendo. Informazioni preziose sono, perché ormai ‘sti cornuti di sbirri ci spiano da tutte le parti, nelle case, nelle macchine e pure alla festa della Madonna di Polsi, che, sbirri infami, non hanno rispetto per niente: “… Ci hanno sentito là sotto, alla Madonna della Montagna, quando abbiamo rifatto le cariche nuove… Hanno sentito, hanno fatto filmati, un bordello…”.

L’inchiesta Crimine sta arrivando alla fase conclusiva e Ficara è informato anche delle indagini in corso a Milano. Le chiama con il loro nome segreto, quello che tra Lombardia e Reggio conoscono non più di dieci persone tra magistrati, carabinieri e poliziotti: “Operazione Tenacia”, “Patriarca” e “Infinito”. La cosa è davvero grossa e Pelle cerca di avere le informazioni che possono interessare lui e la famiglia.

“… Ma questa operazione… sbirri e carabinieri… sappiamo se arriva qualcosa?”.

Ficara: “Voi dei Pelle in questa operazione non ci siete, se ci entrate, entrate in quella che la chiamano Operazione Patriarca, compare: quella di Milano! Compare, c’è un bordello!”.

Pelle: “C’è un’operazione a Milano?”

Ficara: “Questa! Dopo di questa, ve l’avevo raccontato forse… Dopo di questa, appena arriva l’estate, c’è un’operazione che si chiama Patriarca… che hanno sentito là sotto, alla Madonna della Montagna…”.

Capito l’interesse di Gambazza, Ficara, anche per accrescere il suo prestigio agli occhi del boss, comincia a svelare la fonte delle notizie: “Questo qua, questo amico nostro… è nei Servizi segreti… Ha due, tre persone che sono nei Ros! E sono pure nei Servizi segreti. Avete capito?“.

Pelle: “Eh vabbé! Questi sono i più pericolosi”.

Ficara: “Ah questi Servizi, queste cose. Io fino a un anno fa ero ignorante di queste cose! Non li conoscevo, non sapevo neanche che esistessero. Poi tramite uno…”.

Pelle: “Ma ci sono solo io o qualche altro dei miei? Ora l’importante compà… è di sapere più o meno…”.

Ficara: “Sì, se so qualcosa, per voi pure di notte… Faccio venire per farvi avvertire… Attualmente, lui mi ha detto che non c’è niente! Perché io gli ho detto, ma per i Pelle non c’è niente? No, no, ha detto, per ora no, se rientrano, rientrano in quella tra Reggio e Milano…”.

Pelle: “Vediamo se riusciamo a saperla prima questa cosa… ma vuole qualcosa?”.

Ficara: “Non vuole niente, compare! Niente vuole… Fino ad oggi nemmeno un pasticcino… Lui ha detto… io lo faccio per amicizia e perché sono reggino…”.

Pelle: “Allora ha detto che qua ne ho microspie, qua dentro?”.

Ficara: “Ha detto che hanno tentato in questa casa… Però c’è stata sempre una signora… e ha detto che non hanno potuto… L’unica casa che non sono riusciti a fare quelli del Ros…”.

Pelle: “Perché c’è sempre questa donna… una comare nostra”.

Dopo un mese di ascolto di tutto quello che avviene e si dice nella casa, i militari scoprono che Peppe Pelle e Giovanni Ficara fissano un incontro con la fonte diretta di tutte le informazioni. I due sanno che una telecamera è puntata giorno e notte sulla porta della casa del boss, ma non sanno di avere una microspia che li ascolta all’interno. Anzi è stata proprio la fonte occulta, all’oscuro della “svolta” nella installazione delle cimici a rassicurarli. E li ha tranquillizzati anche sulla segretezza della sua partecipazione all’incontro: ci avrebbe pensato lui, con alcuni suoi amici del Ros ora passati al Servizio segreto militare, a cancellare dai filmati le immagini del suo arrivo e dell’ingresso nella casa.