14 giugno 1992: i sogni di gloria di 10.000 tifosi muoiono a Lecce

All’alba del 14 giugno 1992 tutta Cosenza sportiva, compresa la provincia, si mette in viaggio per invadere lo stadio di “Via del Mare” di Lecce per l’ultima, decisiva partita del campionato di Serie B 1991-92.

Il Cosenza di Edy Reja e l’Udinese sono appaiate al quarto posto a quota 42 punti: i Lupi giocano a Lecce, l’Udinese ad Ancona. Due successi rimanderebbero ogni decisione ad un incandescente spareggio per la Serie A.

La febbre del tifo è rimasta alta per tutta la settimana, in città si sono rivisti striscioni e bandieroni come ai tempi di Gianni Di Marzio e Bruno Giorgi. Si è scatenata una sorta di gara tra i vari quartieri. A piazza Fera (che non era ancora un ecomostro come oggi) un gruppo di commercianti ha esposto uno striscione beneaugurante con la scritta “‘A ttia lupu”, via Macallè si è colorata interamente di rossoblù e anche i quartieri popolari del centro storico, di San Vito, via Panebianco e via Popilia hanno partecipato attivamente a questi preparativi.

La città ci crede, anche perché non è certo il Lecce che può far paura ad una squadra che, senza avere i favori del pronostico, ha dimostrato di poter lottare ad armi pari con gli squadroni costati miliardi. E poi c’è da saldare un vecchio conto aperto con l’Udinese, che “rubò” la Serie A al Cosenza già nel 1989 quando nella sfida al San Vito i nostri sogni si infransero sul palo colpito da Lombardo.

La caccia al biglietto contagia tutti i 155 comuni della provincia: Cosenza, nella settimana che sfocerà con la gara di Lecce, è ultrapopolata da tifosi di Castrovillari, Corigliano, Rossano, Paola, Amantea, Cetraro, Cassano e così via. Gli ultrà, il Centro Coordinamento e l’associazione Donato Bergamini organizzano pullman e treni speciali, le carovane di auto private non si contano. L’appuntamento per tutti è alle 8,30 alla stazione di Vaglio Lise, dove partono i quattro treni speciali per Lecce.

Lo spettacolo è indescrivibile. Almeno tremila tifosi invadono la stazione cantando già fin dalle prime ore del mattino, c’è un’atmosfera di coinvolgimento popolare che Cosenza non aveva mai vissuto. Diciamocelo francamente: nel 1989 quando ci si preparava alla trasferta di Taranto, si sapeva in anticipo che, pur vincendo, i Lupi difficilmente avrebbero disputato lo spareggio per la Serie A. Ma quel giorno, esattamente 25 anni fa, è tutto diverso: dipende solo dal Cosenza. Vincendo a Lecce lo spareggio con l’Udinese di Adriano Fedele è assicurato, in barba a tutte le classifiche avulse!

All’arrivo alla stazione di Lecce la marea di tifosi rossoblù trova un’amara sorpresa. Le forze dell’ordine non hanno predisposto un servizio di accompagnamento con pullman e pertanto si dovrà percorrere interamente a piedi il tragitto dalla stazio ne allo stadio di circa otto chilometri! E inevitabilmente scoppiano le prime scaramucce con la polizia. Sorprese ancora più amare attendono i tifosi giunti in Puglia con mezzi privati. L’accoglienza non è certo quella che si poteva pensare: i leccesi sono stranamente arroganti e non ci pensano due volte a danneggiare le prime automobili.

La rabbia e la stanchezza, però, passano decisamente in secondo piano, quando ci si rende conto dell’effettiva entità dell’esodo rossoblù allo stadio di “Via del Mare”. Sono più di diecimila i tifosi cosentini che occupano entrambi gli anelli del settore di curva ad essi riservato: è un colpo d’occhio che difficilmente si potrà mai dimenticare.

Il Cosenza, in maglia bianca, gioca con: Zunico, Signorelli, Bianchi, Catena, Marino, Deruggiero, Biagioni, Coppola, Marulla, De Rosa, Compagno. In panchina l’eroe del campionato, mister Edy Reja, è tiratissimo. Il Lecce scende in campo in maglia giallorossa a strisce verticali. L’atteggiamento della gente di Lecce è decisamente ostile: non mancano i cori di dileggio, un’insofferenza quasi al limite dell’invidia per il traguardo che Cosenza potrebbe raggiungere e, di conseguenza, un incitamento sicuramente esagerato alla squadra per far sua la partita, considerando che i giallorossi sono virtualmente già salvi.

La partita è subito nervosa, cattiva: i leccesi fanno capire di non essere disposti a fare nessun regalo ai cosentini. Dopo una ventina di minuti vengono espulsi Peppe Compagno e Ferri per reciproche scorrettezze. Nel frattempo, l’Udinese, con Dell’Anno, segna subito ad Ancona. Un pessimo segnale. Ma la reazione dei Lupi alle provocazioni dei leccesi tarda ad arrivare, la partita si tranquillizza e i rossoblù non vanno oltre un paio di tentativi di Oberdan Biagioni, che, insieme a Gigi Marulla, è tra i pochi che cercano di fare qualcosa per vincere. Per il resto, si coglie una strana atmosfera sul campo, quasi di rassegnazione rispetto a qualcosa che sembra già scritto. La massa dei tifosi, tuttavia, canta ed incita ancora. Si va al riposo sullo 0-0 e si spera in un secondo tempo diverso.

In effetti, i primi minuti della ripresa restituiscono un Cosenza più reattivo, ma non è la squadra che i tifosi vorrebbero vedere e che ha scombinato con le sue imprese tutta l’alta classifica. Passano i minuti e il gol tanto atteso non arriva, le speranze si riducono al lumicino e l’Udinese raddoppia ad Ancona.

A dieci minuti dal termine, contropiede dei padroni di casa, pallone al centro, colpo di testa di Maini e rete. La festa è definitivamente finita ed esplodono incidenti che si protrarranno fino a sera inoltrata, con annesso lancio di lacrimogeni e scontri tra tifosi e forze dell’ordine: un putiferio. Una volta nei treni, nei pullman e nelle auto, i sostenitori del Cosenza commentano rabbiosamente l’atteggiamento della squadra e contestano la società. Il sogno finisce molto male e c’è poca voglia di ringraziare lo stesso Reja e la squadra per l’incredibile campionato. Molti tifosi, proprio da allora, abbandoneranno il Cosenza, delusi da un atteggiamento che giudicano sospetto.

Se è vero che Lecce e Udinese si sono chiaramente accordate (figuratevi che il tecnico del Lecce, Bigon, dopo pochi mesi approderà proprio a Udine!) viene da chiedersi perché la società cosentina è rimasta a guardare. Ma all’epoca il passaggio dalla Serie B alla Serie A non era un affare come lo è oggi. Pensate che le società di calcio non erano ancora “a fine di lucro” e fare il passo più lungo della gamba avrebbe potuto significare sconvolgimenti eccessivi. Comunque da evitare. E così fu.