Il ritorno della paranza

La paranza è una danza – Che si balla nella latitanza – Con prudenza – E eleganza – E con un lento movimento de panza… Così descrive la paranza Daniele Silvestri, in un passaggio della sua famosa canzone. Termine che va inteso nel suo significato per “estensione”: nel caso della trasposizione nel gergo malavitoso, la paranza, sta ad indicare un “locale di ‘ndrangheta”, un gruppo di camorristi, un covo di picciotti, o la stanza di un partito piena di politici corrotti e collusi.

Silvestri descrive bene in questa “metafora” l’atteggiamento che assumono certi malandrini nell’esercizio delle loro squallide funzioni. E lo fa con ironia, sarcasmo e con un certo dileggio che tradotto significa: fissiannu fissiannu, si dicianu i miagliu cosi… o come diceva Freud: scherzando, si può dire di tutto, anche la verità.

Ora provate a chiudere gli occhi e ad immaginare Palla Palla, Madame Fifì e Capu i Liuni nel segreto di qualche stanza (la latitanza) mentre discutono su come fregare il prossimo con una certa eleganza (lo stile nell’intrallazzo è tutto) e la giusta prudenza che un affare mafioso merita. Il tutto accompagnato – in un’estasi mistica di esaltazione delle loro gesta, accompagnata da un delirio di onnipotenza, per via del fatto che riescono a farla sempre franca – da un lento roteare, a mo’ di danza del ventre, delle loro panze. Si sa: addui c’è panza c’è crianza. E “a crianza” (benessere) nella vita di un politico è tutto.

Una scena più che verosimile, che ci sta tutta nel loro modus operandi, il cui significato non può che essere che questo: si prendono gioco del cittadino e della sua presunta fessaggine. Ridono alle spalle dei cittadini che da 30 anni abbindolano, così come si fa con i bambini, con chiacchiere e promesse mai mantenute, e nonostante ciò sempre disposti a votarli. Dei veri e propri minchioni, ai loro occhi, che meritano lo scherno a suon di movimento de panza. Ridono dell’ingenuità dei calabresi, che ogni volta sono disposti a cadere nelle loro note trappole, cosa che non fa neanche nu ciucciu, e questo li fa sentire invincibili. Si rallegrano del loro sempre presente e inespugnabile pacchetto di voti. Sta qui la loro forza: purtroppo c’è ancora chi si ostina a non voler vedere l’altra faccia della loro medaglia, o fa finta di non vederla per chissà quale convenienza. Eppure l’evidenza delle loro malefatte, intese come gestione privatistica della cosa pubblica, sono sotto gli occhi di tutti. Del resto se siamo ridotti in questo stato, la colpa non può che essere che dell’inutile classe politica che fino ad oggi ha governato la Calabria. E non serve un sentenza per dire questo. E Palla Palla, Madame Fifì e Capu i Liuni fanno parte a pieno titolo dei vertici della paranza politica (trasversale) che si è mangiata pezzo dopo pezzo, l’intera regione. Una verità storica inconfutabile che nessuna assoluzione potrà mai cancellare.

Chissà quante altre volte, nel corso della loro lunga carriera politica, si sarà ripetuta questa scenetta della paranza che danza durante la latitanza. Di sicuro avranno danzato a giro di panza dopo l’assoluzione da parte del Gup di Catanzaro nel processo denominato “Lande Desolate”. Una assoluzione che ci sta tutta sotto il profilo delle responsabilità, sono altri i reati che il trio ha commesso (come l’aver reso “normale” il clientelismo all’interno della “cosa pubblica” che tradotto vuol dire: mangiano sempre gli stessi con i soldi di tutti, scusate se è poco), non certo quelli che il pm Luberto, per favorire gli amici degli amici, voleva affibbiargli. Per la paranza è un’assoluzione che arriva come manna dal cielo. Il che non li assolve certo da tutto quello che la loro storia politica ci racconta, anche se in questo caso l’assoluzione è più che giusta.

Per il trio l’assoluzione equivale ad una rinascita. Lo scettro del potere politico che determina chi intrallazza e chi no, è di nuovo nelle loro mani. Ora hanno la possibilità di vendicarsi di tutti quelli che da tempo tramano alle loro spalle. Il tempo della resa dei conti nel Pd calabrese è arrivato. La pavidità dimostrata dai loro avversari interni, tipo gli orlandiani e zingarettiani, è il loro punto di forza. Sa bene la paranza che in Calabria non c’è nessuno in grado di sfidarli a viso aperto, ed è per questo che Madame Fifì alza la voce e pretende scuse pubbliche da Zingaretti. Va oltre Madame Fifì, che sa di giocare su un tavolo sicuro, e pretende un forte risarcimento politico, anche perché fu proprio Zingaretti a congratularsi con Gratteri per l’operazione “Lande Desolate”, un torto che la paranza si è giustamente legato al dito. Un risarcimento che vuol dire che a decidere il prossimo candidato del centrosinistra alla presidenza della regione Calabria, sarà la paranza. Cosa che sta bene agli uscenti consiglieri del Pd, che temono la candidatura di qualche outsider che potrebbe non volerli nelle liste. Un problema che con la paranza non si pone.

La garanzie della continuazione dello status quo offerta a tutta la franzamaglia del Pd ha permesso in questi giorni alla paranza di allargarsi. Il reclutamento va avanti alla grande, mentre dall’altro lato (Zingaretti/Orlando) tutto tace. Niente si muove in previsione dell’ormai imminente attacco: non scavano trincee, non creano roccaforti, non si attestano a difesa. Semplicemente vagano in attesa di qualche salvifico evento. Il tutto nel totale silenzio del segretario nazionale del partito Nicola Zingaretti. Silenzio che si aggiunge alla pavidità di Orlando, incapace di predisporre il benché minimo piano di difesa del partito in Calabria. Sia Zingaretti che Orlando hanno una paura fottuta della paranza calabrese del Pd, e non vogliono combattere una guerra che reputano già persa. Ed è per questo che hanno abbandonato i loro uomini al loro triste destino.

Per Carletto Guccione e compari non arriverà nessuna cavalleria a salvarli, l’unica cosa che possono fare in questa drammatica, per loro, situazione, è quella di affidarsi alla clemenza della paranza sperando in quel briciolo di umanità che alcuni dicono che Madame Fifì porti ancora con se. Che Dio vi assista.