di GIANFRANCO DE FRANCO
In questa seconda parte “sceneggiata” della commedia rendese del Partito Democratico, assistiamo alla definitiva consacrazione degli smemorati.
La “scalata” della maggioranza di centrodestra che attualmente governa Rende, al Partito Democratico, non è un atto d’amore, né l’abbraccio di una ideologia di sinistra (o di centrosinistra), è semplicemente un approdo ritenuto più o meno sicuro, dal quale lanciare la candidatura a sindaco di Annamaria Artese.
Manna e Artese, dopo aver puntato tutte le carte sul centrodestra nel 2014 e nel 2019, adesso lo abbandonano per necessità. Lì non li hanno voluti, mentre il Partito Democratico li sta accogliendo non capendo che la Artese si toglie con disinvoltura la maglietta del centrodestra per indossare quella del centrosinistra e, soprattutto, senza dover giustificare niente.
Conosco il motivo perché l’ha fatto, ma mi interessa di più sapere come ha potuto anche minimamente immaginare di farlo e come il Partito Democratico di Irto e di Boccia non abbia detto al proposito nemmeno una parola.
La vittoria di Manna nel 2019 è, in gran parte, il prodotto politico dei social e la vicenda della candidatura di Annamaria Artese a segretario politico del Pd di Rende, con la prospettiva della candidatura a sindaco di Rende, conferma quello che è noto: i social sono senza memoria, essi vivono in un eterno presente.
Sui social tutto è permesso perché tutto è virtuale, sui social non esistono scheletri nell’armadio e se qualcuno li ha, sui social è possibile buttare lo scheletro e, forse, buttare anche l’armadio.
Artese e Manna ricordano benissimo di averci spacciato il civismo del Laboratorio Civico come il rimedio al “male” assoluto dei partiti, come una novità assoluta nel panorama politico cittadino e calabrese. Pensano davvero che riescano a farcelo dimenticare evitando anche l’imbarazzo di un’abiura?
È bastata, invece, una semplice candidatura a segretario di un circolo per rompere l’incanto e ritrovarsi con il passato addosso.