La parola ai pentiti

Ogni volta che scrivo o penso a qualche pentito, la prima cosa che mi viene in mente sono le sue vittime.

Penso: chissà come deve sentirsi il commerciante, l’usurato, il vilipeso, il parente del morto, nell’apprendere che il proprio aguzzino, o l’assassino del suo caro, non pagherà niente di ciò che ha fatto alla giustizia. Solo perché si è pentito. In maniera opportunistica ovviamente.

Il loro non è mai, salvo qualche rarissimo caso, un pentimento interiore, intimo, di coscienza. Si pentono perché, come dice Zalone nella sua famosa canzone “La Polizia”, nessuno vuole stare a 41 bis. Che rimane per me uno strumento di tortura incomprensibile per uno stato democraticamente avanzato che poggia le sue fondamenta sul Diritto. Del resto quella sui pentiti è una legge voluta dallo stato. Votata dal parlamento Italiano. Dai vostri rappresentanti, quelli che mandate a Roma. Tutti l’hanno votata.

Poche sono state le voci contrarie, i movimenti di sinistra e i radicali. Il pentito è uno “strumento” importante per le inchieste antimafia e non solo. Se non ci fossero i pentiti poco si saprebbe oggi delle organizzazioni mafiose. E’ innegabile la loro strategicità alla lotta alle mafie. Lo dicono tutti quei magistrati che sono in prima linea a contrastare il potere dei clan.

Il pentito velocizza le indagini. Le indirizza. Altrimenti ci vorrebbero anni per scoprire questo o quello. Ma se c’è uno che se la canta il fatto lo sai subito. Il problema dei pentiti si pone sulla loro “sincerità”. Come facciamo a capire se quello che fino a ieri era un criminale incallito, oggi dice il vero perché sinceramente pentito o continua a tramare e a dire il falso?

Un problema di non poco conto. Visto che la manipolazione dei pentiti è spesso usata per lotte interne alle magistratura e alla politica. Quella corrotta, ovviamente. Basta ricordare il caso Tortora che rappresenta le migliaia di persone inguaiate falsamente, o per convenienze, o perché “indotte”, da questi pentiti. Oppure la gestione dei pentiti nel processo Garden, per fare un esempio a noi conosciuto. Di danni seri questi pentiti ne hanno fatto. Questo va ricordato.

Ecco perché, giustamente, in molti dicono: ti vuoi pentire? Bene. Ma i reati che hai commesso li paghi lo stesso e tutti, fino all’ultimo giorno. Magari in carceri destinati a loro, dove la vita quotidiana non è dura come quella del 41 bis. Ma in galera ci devi andare. Questo è quello che pensa la stragrande maggioranza della gente. Altrimenti ci sarà sempre qualcuno che cercherà di scampare alle sue responsabilità con la scusa di pentirsi. Troppo comodo fare il malandrino in libertà e poi quando finisci in galera ti penti e ritorni di nuovo in libertà.

Questo, secondo la gente onesta, alimenta la propensione a commettere reati: tanto quando mi prendono mi pento, e tutto è risolto. E a Cosenza lo abbiamo visto, ogni giorno c’è un pentito nuovo. Così si percepisce questa “condizione” di privilegio immeritato per criminali che non si sono mai fatti scrupoli a vessare uomini donne e bambini, quando erano in libertà. Certo è, e non bisogna dimenticarlo, che se a gestirli è un magistrato onesto, la verifica e i riscontri al loro dire è la prima cosa che va fatta, virgola per virgola. Ogni loro affermazione va vivisezionata, studiata, analizzata, verificata. E quando i riscontri non ci sono, non può bastare solo la loro parola.

Resta pur sempre la parola di un criminale che spesso può incrociarsi con quella di chi magari in tanti definiscono un galantuomo. Come ad esempio un politico. Però, se questa considerazione ha una sua pertinenza, non la si può applicare solo quando c’è di mezzo un politico, appunto! Chi la sostiene deve sostenerla sempre, anche quando il pentito chiama in causa un pluripregiudicato assassino conclamato.

Un esempio: se un pentito accusa qualcuno di spacciare, ma di droga non ce n’è, così come quando accusa un politico di aver pagato i voti, e i soldi non si trovano o non si possono “provare”, l’accusa, se non vale per il politico perché non c’è il riscontro, non vale neanche per il pusher. O no? Altrimenti scivoliamo nel più classico garantismo d’accatto. Per il politco inquisito tutte le “garanzie” di questo mondo, per il pusher morto di fame figlio di nessuno, si può pure buttare la chiave, se lo accusa un pentito.

La percezione popolare sui pentiti è quella che dicevo prima, ma vale la pena ricordare, che per quanto gli si concedano dei privilegi, la situazione per i pentiti non è proprio rose e fiori, perché in galera ci vanno e ci stanno, non come gli altri, ma ci vanno. Allora, vediamo un attimo, per sommi capi, come funziona la Legge sui pentiti:

Dichiarazioni: per essere un vero pentito e accedere al programma di protezione o a sconti di pena bisognerà dire molte cose e non un semplice particolare di un fatto. Le dichiarazioni dovranno essere importanti per le indagini ed essere inedite.

Sei mesi per parlare: sei mesi per parlare, cronometro che scatta nel momento in cui si chiede di collaborare. Ritorni di memoria successivi non sono più ammessi.

Benefici: Alloggio, spese per trasferimenti, assistenza legale: su questo potrà contare il pentito che ha diritto al programma di protezione. Poi c’è l’assegno, ma non potrà essere di quelli con tanti zeri. Al massimo, cinque volte il valore di un sussidio sociale.

Riduzione pene: Per il pentito in galera i benefici non scattano subito: dovrà scontare almeno un quarto della pena. Per gli ergastolani varranno almeno 10 anni di carcere.

Ecco, non è il “massimo della pena”, ma qualcosa pagano anche loro.

GdD