Se bastasse un blitz per sconfiggere la mafia, a quest’ora, le organizzazioni criminali, si sarebbero già estinte da almeno 30 anni. Se bastasse un blitz a far sparire per sempre dalle nostre città taglieggiatori, strozzini, narcotrafficanti, Cosenza, dopo le tante operazioni antimafia, da “Garden” a “Reset”, passando per “Missing”, “Anaconda”, “Telesis”, “Testa di Serpente”, “Apocalisse”, “Job Center” (solo per citarne alcune), sarebbe da almeno tre decenni una città libera dalla mafia criminale. Ma così non è. Magari fosse così. La triste realtà, purtroppo, dice altro: smantellato un clan, dopo un po’ se ne fa un altro. E lo dimostra, scientificamente, proprio la cronologia dei blitz che periodicamente si ripetono sempre uguali a se stessi: cambiano i nomi, e non sempre, ma la sostanza mafiosa degli arresti non cambia mai.
L’unico effetto liberatorio che generano i blitz è quello di creare una “vacatio criminale”, tra una retata e l’altra, spesso accompagnata da una quasi cessazione dell’attività delinquenziale. Per qualche mese, dopo il blitz, gli strozzati, i taglieggiati, i forzati dello spaccio, i vessati, possono riprendere fiato, in attesa di conoscere i nomi e i volti dei nuovi aguzzini. Giusto il tempo, per gli scampati agli arresti, di smaltire la paura del blitz, capire chi si canteranno i nuovi pentiti, e nominare il successore al trono della malandrineria. E tutto torna come prima: gli strozzati continueranno ad essere strozzati, i taglieggiati continueranno a pagare il pizzo, i pusher torneranno a spacciare, almeno fino al prossimo blitz.
Tutto questo accade perché l’economia criminale è talmente redditizia, che ci sarà sempre qualcuno, attratto dai facili ed immediati guadagni, disposto ad occupare un ruolo, piccolo o grande, nella gestione dei traffici illeciti. Che generano una mole impressionante di denaro che finisce, sistematicamente, col confondersi e mescolarsi all’economia legale, e il confine, tra denaro sporco e denaro sudato, diventa davvero labile. Senza il denaro sporco che oramai alimenta, nostro malgrado, buona parte dell’economia, il sistema finanziario e produttivo cittadino salterebbe. Di questo siamo tutti coscienti. La forza di rigenerazione dei clan sta tutta qui: se da un lato i clan sono ovviamente invisi da chi li subisce, dall’altro sono “graditi” a tutti quelli che in un modo o nell’altro, consapevoli o no, dal giro di denaro sporco ne traggono beneficio. Ed un settore così importante, come l’economia criminale, non può restare certo inattivo a lungo, specie a queste latitudini. Perciò qualcuno disposto a far girare la giostra si trova sempre.
Ad un anno dal blitz “Reset” che ha completamente decapitato i clan confederati sotto l’egida del Patitucci, chi comanda oggi a Cosenza? I commercianti a chi pagano, oggi, il pizzo? I pusher da chi si riforniscono? I truffatori, i corrotti, a chi versano la stecca? Di sicuro la linea di continuità tra i boss arrestati e finiti sotto processo, e gli scampati agli arresti appartenti ai loro clan, è sempre la prima pista da seguire. Chi resta fuori deve farsi carico di portar avanti gli affari del clan, dopo un blitz serve denaro per gli avvocati e per il mantenimento dei carcerati e delle loro famiglie. Sempre che non ci sia qualcun altro pretendente al trono della malandrineria che di spartire il malloppo con chi è finito dietro le sbarre non ne ha proprio voglia. Qualcuno che potrebbe approfittare della debolezza dei vecchi boss finiti al 41 bis, e dei loro gregari rimasti fuori, per rivendicare il monopolio del crimine in città, senza trovare validi rivali disposti a contrastarlo. Magari qualcuno finito in “vascia furtuna” quando fuori a comandare c’erano Patitucci, Lanzino, Di Puppo, Porcaro (pentito), e che oggi vede nella loro uscita forzata dalla scena criminale causa arresti, la possibilità di una rivincita.
Se un tempo la successione al trono criminale avveniva a colpi di pistola oggi non è più così. Le guerre di mafia, per il controllo del territorio, fanno male agli affari, e questo lo sanno bene vecchi e nuovi malandrini. Non serve sparare per affermarsi come nuovo boss di Cosenza, basta solo avere un buon pedigree criminale, un certo numero di anni di galera al proprio attivo con l’aggiunta di essere estraneo all’ultimo blitz e da poco ritornato in libertà, una appartenenza criminale a storiche famiglie mafiose che possono vantarsi di non aver pentiti nel proprio clan, e lo scettro malandrino non te lo leva nessuno.
Certo, in tutto questo può sempre spuntare qualcuno che ha deciso di intraprendere l’ascesa criminale che con la vecchia nomenklatura criminale cosentina non ha niente a che fare. Ma non è il caso di Cosenza. Anche le nuove leve devono sottostare al carisma criminale del prescelto. In questa fase valgono i titoli, e il sangue versato. Che non possono essere messi in discussione da chi ancora non ha dimostrato il proprio valore criminale sul campo. Magari in futuro, dopo aver dimostrato la propria malandrineria, potrà rivendicare questo titolo, ma non ora.
Ora è tempo di accettare l’autorità criminale di chi ha i titoli per esercitarla. E questo vale per tutti: vecchi e nuovi picciotti. Ma qualcuno dei “vecchi rivali” potrebbe non starci, e solo allora capiremo se le pistole ritorneranno a sparare. Un’ipotesi che va calcolata, anche se i malandrini cittadini, le pistole, preferiscono tenerle nel cassetto. Un modo per accordarsi, alla fine, anche con gli storici rivali, per amor di denaro e di libertà, si trova sempre. Che è meglio per tutti… almeno fino al prossimo blitz.