Il rapporto Coop indica il prossimo nemico di Lollobrigida: i discount

(DARIO DI VICO – ilfoglio.it) – Discount uber alles, recita la slide proiettata a Milano nell’affollata presentazione del Rapporto Coop 2023 sui consumi e gli stili di vita degli italiani. Il riferimento, linguisticamente spurio, è non solo alla forza commerciale della grande distribuzione low cost ma anche ai riflessi che la penetrazione di un format come quello del discount decisamente targato Germania (si pensi a Lidl o Aldi) può avere nel breve e medio periodo sulla cosiddetta identità alimentare dei nostri connazionali. Ma procediamo per gradi.

In quattro anni la quota di mercato dei low cost è cresciuta in Italia di 4,1 punti toccando quota 23 per cento ma secondo i dati Coop-Nomisma 8 italiani su 10 nei prossimi 12/18 mesi si rivolgeranno con maggiore continuità ai discount per mitigare l’effetto dell’inflazione. E secondo la stragrande maggioranza dei manager del food and beverage interpellati, lo stesso discount sarà il canale distributivo con la crescita migliore nello stesso periodo di previsione. Se prendiamo l’ultimo dato di agosto, il più fresco, troviamo la conferma: tutta insieme la distribuzione scende di 0,2% in volumi e i discount invece in un solo mese segnano +1,7%. Ergo quel 23% di quota di mercato dell’oggi è destinato a salire. E secondo i dirigenti della Coop ciò sta avvenendo senza che né la grande industria italiana né nel suo complesso il sistema paese abbiano  tematizzato la discontinuità e i pericoli che contiene. “Il discount cambia l’assetto produttivo italiano” è il claim di chi suona l’allarme, che aggiunge: “Se il discount va al 40% che succede per la nostra produzione?”.

Il contesto è ovviamente quello di una contrazione secca dei consumi, soprattutto dei ceti meno abbienti, causata dal combinato disposto tra livelli di inflazione ai quali fortunatamente non eravamo più abituati e una perdita del potere di acquisto che Coop stima (polemicamente) non inferiore al 15%. Fin qui abbiamo parlato della competizione interna alla grande distribuzione e di uno scenario economico nel quale il Pil si presenta in contrazione con una manifattura decisamente in ripiego e i servizi non riescono a compensare il vuoto proprio perché si trovano a giocare contro l’inflazione. Ma l’ascesa dei discount, secondo i promotori della ricerca, mina la stessa identità alimentare italiana che consideravamo saldamente imperniata sulla dieta mediterranea. Un elemento-chiave di questa perdita di identità è il calo in soli due anni di 15 punti nei consumi dell’ortofrutta (con un prezzo medio salito invece di 16 punti). Resistono mele e kiwi, crolla tutto il resto. E nei fatidici prossimi 12/18 mesi una quota consistente di italiani prevede ancora di tagliare gli acquisti di frutta e verdura. Ma più in generale il popolo della dieta mediterranea arretra e sono raddoppiati coloro che dichiarano di aver perso ogni riferimento identitario abbandonando i dettami della cultura tradizionale, delle tipicità e del territorio. Se aggiungiamo la paventata germanizzazione della grande distribuzione il quadro si completa. E introduce una variante in quello che fino a oggi è stato il dibattito sull’identità alimentare, sostenuto con continuità dalla Coldiretti e sponsorizzato a piene mani dal governo e dal ministro Francesco Lollobrigida.

Il messaggio che arriva dalla ricerca “discount uber alles” è che a furia di perder tempo in roboanti comizi sull’integrità della dieta mediterranea e sull’impossibile autosufficienza nazionale in campo agro-alimentare in realtà non si è visto che i buoi stavano scappando. Il peso che l’inflazione sta avendo nel rimodellare i consumi e il ruolo che la grande distribuzione ricopre come gate di accesso alle scelte alimentari sono fattori di trasformazione così potenti che ridicolizzano le sagre di paese, i mercatini a km. zero e tutte le trombonate sull’autarchia territoriale. Ma l’osservazione attenta del successo della distribuzione low cost ha anche un secondo coté politico: i supermercati accusano l’industria di marca di essere egoista, di non avere una visione-paese, di non capire che una nuova identità alimentare degli italiani a base di prodotti a basso costo ha proprio i brand come prima vittima sacrificale. Sullo sfondo c’è poi il patto anti-inflazione che il governo vuole implementare da ottobre ma è un’altra storia che merita un capitolo a sé. “Non torneremo mai ai prezzi del 2019 ma possiamo lavorare per abbassare quelli del 2023” dice la dirigenza Coop, offrendo così una sponda da sinistra sia ai finora confusi tentativi di Adolfo Urso sia alla caccia contro gli extraprofitti. “Un governo di destra che si vuol definire sociale può farlo”.