La montagna ti mangia la testa e il cuore: il bosco non è per tutti (di Gioacchino Criaco)

La montagna ti mangia la testa e il cuore: il bosco non è per tutti

dalla pagina FB di Gioacchino Criaco

Si gioca a inventarsi ritorni e resistenze a progettare, provare e ostentare fughe, poi si ritorna frastornati nel grembo di condomini caldi, sul divano comodo di un terapeuta. Perché il bosco non è per tutti, non lo è la montagna, non lo sono i paesi di poche anime e pochissime parole.

È stato solo un minuto, un’arrampicata di 50 metri per riempirsi la bocca del miele limonato della borragine, farne poi latte profumato e offrirlo a lui: un tesoro covato in grembo per 9 mesi. La discesa a capofitto. Inutile. Il lupo squarcia la vita in pochi secondi. Corre a nascondersi, attende il tempo del lutto per un pasto abbondante. Una mucca in colpa non lo ha un tempo definito per piangere un figlio. Può essere un tempo necessario perché il figlio marcisca, per morire di consunzione. Mesi e mesi servono perché la morte vinca una vita enorme. E mesi e mesi di lacrime e urla sono il lutto delle vacche aspromontane.

Se vai a vivere nell’interno dei monti devi possedere orecchie forti. Ti devi abituare alla crudeltà della natura. Fuksas, Boeri, i grandi architetti che propongono, spingono il ritorno ai borghi, di sicuro le hanno: sanno che nei paesi minuscoli devi essere architetto, ma pure muratore, fabbro, non lo sollevi il telefono per far arrivare l’idraulico. O sai fare o hai vicini che sappiano fare. Stare insieme è una necessità, non un vezzo. I villaggi lontani non li puoi affrontare con lo spirito del buen retiro, con i collaboratori al seguito. Cambia il concetto dell’uomo, che non domina, è parte, e come tale può essere sopraffatta da una natura possente, invincibile, che a seconda di come la si tratta è madre o matrigna.

E olive, uva, grano, e il cavolfiore e i broccoli, quanto caglio ci va nel latte? I titoli in campagna non contano, conta il sapere, l’uomo si è rifugiato nel progresso per vincere la natura. Ora si capisce che la natura sia invincibile, non si può nemmeno scendere a patti. Ci si deve adattare. L’adattamento è sapere che le mucche piangono, perfino i lupi lo fanno. E vivere nei boschi non è il convegno in cui dici quanto è bella una vita a dimensione naturale. La dimensione naturale può essere talmente violenta da distruggere quella umana. A stare in un bosco finisci per convincerti che esistano gli Dei.

“Chi dà fuoco al bosco brucerà all’inferno”, dicevano i padri, per i figli dei pastori era la minaccia più terribile, l’incendio eterno, ad arderli vivi; la profferivano sempre, dopo un rogo, con le facce antiche mascherate dal fumo, le braccia ustionate e le mani piagate con stretti i monconi dei rami di pino che erano l’unico, minimo, rimedio al fuoco. I pastori, quelli veri, non appiccavano fiamme, perché i roghi succhiavano la vita alla terra che non pasceva pascoli e quando, dopo anni, rispuntava l’erba, era freno di panza buono solo a gonfiare gli stomaci degli animali, ma inutile per colmare mammelle, e senza sostanza e senza profumo. I pastori veri chiedevano alla quercia uno dei suoi mille bracci, e si riscaldavano un inverno intero. L’acqua se la succhiavano dai capezzoli di roccia e a ogni stagione ringraziavano la grande madre per i suoi tanti frutti.

I montanari veri non avanzavano pretese sulla montagna, gli appartenevano. È la città che vuole legna, acqua, terre libere da farci i cottage, gli hotel e gli affari. È la città che vuole farci le gite di domenica e a ferragosto, per ritrovarsi. La montagna è come l’India: quelli che ci stanno ci sopravvivono e quelli che vanno in vacanza ritrovano il Karma. E, sulla montagna, i cittadini raccontano un sacco di balle: che è bella, magnifica, rigenerante, -che è lì che si dovrebbe vivere. Ma dopo una notte, o una settimana, scappano via, e fuori dalle casettine di Heidi ci stanno giusto il tempo di farsi venire la fame, poi una bella doccia, panni puliti e pronto in tavola. La montagna, per chi davvero ci ha vissuto, è stata zecche, pulci, pidocchi, freddo, fame, sudore e tanta tanta puzza, che l’acqua è ghiaccia pure ad agosto. La montagna non è mai tenera, ma per chi davvero la ama è l’amore di una madre, ed è, soprattutto, un essere vivente che ti ospita, tutto è suo e tu puoi accettarne i doni. E ogni montagna è un essere a sé, che non è che ne conosci una e le conosci tutte.

Dentro il suo mondo ci stanno creature a miliardi: monti, alberi, animali, torrenti. Tutte creature animate. E con le felci dopo sei mesi ci parli, ma per vincere la ritrosia dei pini ci vogliono sette anni, e perché le querce ti prestino ascolto te ne servono dodici. La montagna non è la bestia feroce che potete guardare in sicurezza davanti alla gabbia dello zoo cittadino. La montagna è una fiera in libertà, se ci si scherza troppo si viene mangiati.
la foto è di Antonio Romeo