Qualcuno ha scritto che il voto calabrese non è espressione delle clientele considerato che a votare è andata la minoranza degli aventi diritto. Noi invece sosteniamo che la maggioranza dei calabresi è disaffezionata al voto perché le proposte dei partiti non incontrano la credibilità del popolo. A votare vanno solo le truppe cammellate che hanno ricevuto in passato prebende o per il futuro promesse di vantaggi. Ovvero il 44% degli aventi diritto al voto che non possono che sottostare ai desiderata dei loro padrini detentori dei famigerati pacchetti di voti.
Il Discorso sulla servitù volontaria (Discours de la servitude volontaire o Contr’un) è l’opera più nota di Étienne de La Boétie. Il testo fu redatto probabilmente intorno al 1549 e pubblicato clandestinamente nel 1576. Il Discorso denuncia come gli uomini siano servi perché acconsentono a farsi asservire.
Sostiene che il tiranno detiene il potere in quanto sono i sudditi a concederglielo, e delegittima quindi ogni forma di potere. La libertà originaria sarebbe stata abbandonata dalla società, che una volta corrotta avrebbe poi preferito la servitù del cortigiano alla libertà dell’uomo libero, che rifiuta di essere sottomesso e di obbedire.
Questa relazione tra dominio ed obbedienza sarebbe stata poi ripresa successivamente da pensatori anarchici. Il pensiero di La Boètie fu anche ripreso dai movimenti di disobbedienza civile, che trassero dal concetto di ribellione alla servitù volontaria il fondamento del proprio strumento di lotta. Étienne de La Boétie fu infatti uno dei primi a proporre la non collaborazione, e quindi una forma di disobbedienza nonviolenta, come arma realmente efficace. La Boétie non è interessato alle «congiure di gente ambiziosa» interessata soltanto a «far cadere una corona, non togliere il re, cacciare sì il despota, ma tenere in vita la tirannide», ma auspica un cambiamento e una liberazione profonda dal potere.
«Vorrei solo riuscire a comprendere come mai tanti uomini, tanti villaggi e città, tante nazioni a volte, sopportano un tiranno che non ha alcuna forza se non quella che gli viene data, non ha potere di nuocere se non in quanto viene tollerato. Da dove ha potuto prendere tanti occhi per spiarvi se non glieli avete prestati voi? Come può avere tante mani per prendervi se non è da voi che le ha ricevute? Siate dunque decisi a non servire più e sarete liberi!»
Boetie ci vuole dire che è sufficiente desiderare di essere liberi per liberarsi veramente dal giogo dei governi. Ma questo desiderio non c’è perché i popoli vengono ingannati, ammansiti, imboniti, illusi, divisi in fazioni, gerarchizzati. Lo Stato con i suoi governi viene fatto percepire come una sorta di religione a cui si deve credere ciecamente. In un clima permanente di propaganda costante ogni idea di libertà viene fatta letteralmente dimenticare e il popolo non sa più cosa sia la libertà.
Boetie non nasconde la sua amarezza nel vedere “migliaia di uomini asserviti miseramente, con il collo sotto il giogo, non già costretti da una forza più grande, ma in qualche modo, come sembra, incantati e affascinati dal solo nome di uno, di cui non dovrebbero né temere la potenza, poiché egli è solo, né amare le qualità, poiché nei riguardi di tutti loro è disumano e feroce”(pp.4-5, ed. Chiarelettere). Ecco che si delineano i protagonisti del saggio: da una parte il tiranno, dall’altro il popolo che, per sua volontà, si fa servo.
La lettera scarlatta dell’astensionismo
Autoesclusione volontaria (come la servitù per Étienne de la Boetie) della gran parte della popolazione, a cui la politica – anche la cosiddetta antipolitica – non sa parlare più. E che non rappresentata decide di non partecipare più. In un circolo perfetto quanto vizioso di esclusione sociale e di astensionismo elettorale. Da domani forse sarà più chiaro che la governabilità come unica stella – senza rappresentanza – è non solo un problema, ma un vero e proprio pericolo. La sera delle elezioni sapremo chi ha vinto, forse. Ma sapremo anche che avrà perso la democrazia, se andiamo avanti così. Il bollo della ‘A’ di astensionismo, infatti, pesa come un macigno sui risultati elettorali. Per tutti e, per certi versi, soprattutto per chi vince…
La triste, tristissima verità è che l’astensionismo fa comodo a tutti. Il partitino sconosciuto può fare all’improvviso un balzo del 5 o del 10% (che, in in realtà, corrispondono a un pugno di voti). Il grande partito con un solido “zoccolo duro” elettorale può mantenere le sue percentuali, o “limitare i danni”, anche se in realtà ha perso un mucchio di elettori per strada. Non parliamo dei politici corrotti, che comprano le preferenze (è successo alle scorse regionali lombarde, per dire): meno ne servono, meno tocca spendere per assicurarsi il seggio… insomma, un’affluenza scarsa è una manna per tutti, tranne che per la democrazia
Il piacere di obbedire è parte essenziale della logica del Potere e della meccanica del dominio. Chi obbedisce, in certo qual modo, prova una sorta di voluttà profonda nel servire che non è facile da spiegare soltanto con l’uso dei meccanismi della coercizione violenta e con l’uso della forza. Scegliere di essere liberi, invece, non solo è assai più difficile ma non produce il godimento provato dall’attrazione psicologica nei confronti dell’asservimento volontario.
Il fascino dell’obbedienza: servitù volontaria e società depressa
La servitù volontaria, denunciata da La Boétie, non dipende dagli sforzi del tiranno ma dall’attività stessa dei dominati che si rivelano gli artefici del proprio asservimento. Allo stesso modo il diffondersi di demotivazione, disinteresse e sfiducia appare un fenomeno che la società democratica può imputare soltanto a se stessa, ma proprio questa sua ‘responsabilità” può renderne possibile il superamento.
Scrivere su un social network la propria preferenza di voto forse fa parte di questa involuzione culturale chiamata clientelismo. Ci lamentiamo perché i politici non rispettano i principi basilari della Costituzione e noi come cittadini ci comportiamo allo stesso modo. I politici sono riusciti a corrompere anche Facebook!









