COMUNICATO STAMPA LA BASE COSENZA
Carchidi’s life matters
C’è un sessantenne che ogni pomeriggio a Cosenza percorre – a piedi – via degli Stadi per recarsi sul posto di lavoro. Indossa una tuta da ginnastica. Il medico gli ha consigliato di camminare a piedi e fare jogging, come a tutti quelli che consumando la propria schiena davanti al monitor di un computer o sul sedile di un mezzo di trasporto, rischiano di finire in una sala operatoria con qualche bullone avvitato alle vertebre.
Il sessantenne che ogni pomeriggio percorre via degli Stadi non porta mai con sé i documenti, per due motivi. Teme di perderli. La tuta che indossa è senza tasche. Inoltre la sua faccia la conoscono già tutti, in particolare gli agenti delle innumerevoli polizie italiane, che ogni giorno in redazione gli notificano querele e procedimenti vari per gli articoli che scrive. Perché dunque dovrebbero chiedergli i documenti?
Una macchina della polizia irrompe su via degli Stadi sgommando. Dall’automobile scendono gli agenti, uno dei quali ferma l’attempato signore, gli chiede i documenti, ma si sente rispondere che lui non ce l’ha addosso quella benedetta carta d’identità. In un paese “normale”, cioè realmente democratico, basterebbe rivelare a voce le proprie generalità per autocertificare l’identità della persona. Se poi, a verifica effettuata interpellando i terminali di polizia, gli agenti accertassero che il fermato abbia detto il falso, ci sarebbero gli estremi per l’apertura di un procedimento penale.
In Italia non è così. Le forze politiche al potere dal 1945 a oggi, sia le presunte cristiane o sedicenti progressiste “di sinistra” sia quelle spudoratamente neofasciste, hanno dato alle forze dell’ordine poteri di vita e di morte. Ecco perché adesso vanno in giro a fare i terminator. In palese violazione dei principi costituzionali, applicando la normativa emergenziale vigente in questo Paese, effettivamente possono fermare chiunque. E sulla base di un semplice sospetto, senza neanche comunicarlo all’autorità giudiziaria, agenti e militari hanno il potere di tenere il cittadino in stato di fermo per tre giorni. Al fermato non è nemmeno concessa la possibilità di chiamare un avvocato.
Hanno dunque agito secondo un protocollo usuale i poliziotti che in un tranquillo sabato pomeriggio hanno bloccato l’attempato signore su via degli Stadi. Decisivo l’arrivo della seconda voltante e del capo pattuglia, che dopo averlo percosso e ammanettato lacerandogli i polsi – in tre contro uno -, lo hanno gettato a terra eseguendo il placcaggio che la polizia americana esercita per soffocare centinaia di cittadini neri. Infine, dopo averlo compresso nella volante, lo hanno trattenuto in questura, minacciato e schedato.
Viene da chiedersi il perché. Anzitutto, per un infantile impulso ad esercitare il potere della divisa: “Io posso bloccare la tua esistenza, interromperla, chiederti chi sei improvvisamente, mentre stai andando a lavorare. E tu devi obbedire, altrimenti ti rovino la giornata e la vita”. Quante volte ci sono state rivolte frasi come questa nelle strade di Calabria, mentre ci recavamo al lavoro o ci stavamo facendo i fatti nostri! Ci è successo persino mentre stavamo facendo “del bene al prossimo”.
Ricordate quell’eroico poliziotto in servizio alla questura di Cosenza, che fermava, intimidiva e minacciava i volontari mentre distribuivano pasti alle famiglie povere durante il lockdown? La richiesta violenta e coercitiva dei documenti è prassi antica della polizia italiana. Ce li richiedono ventenni in divisa o i loro panciuti superiori, puntandoci contro la pistola o il mitra, mentre intorno a noi sorgono palazzi abusivi, rampolli della malavita borghese godono della più totale impunità, tonnellate di cocaina transitano nelle narici di chi dovrebbe garantire la “legalità”, migliaia di nostri conterranei subiscono forme di sfruttamento selvaggio, altrettante sono le donne vittime di ogni sopruso e violenza. Non ci risulta che dinanzi a tutto ciò, siano operosi gli organi preposti all’ordine pubblico a Cosenza.
Una domanda, però, al questore vorremmo rivolgerla: Signor questore, perché tanto odio? Possiamo immaginare perché i suoi “uomini” nutrano rancore nei confronti di quel signore attempato, scaraventato a terra sabato scorso su via degli Stadi. Vogliamo però che lei sappia una cosa: se è stata un’operazione compiuta a tutela della legge e dell’ordine pubblico, noi ci sentiamo meno sicuri di quanto già non lo fossimo. Avvertiamo inoltre un certo turbamento, un nervosismo, una forma di inquietudine che in questa città, in un recente passato, ha coinvolto migliaia di persone, le ha convinte a scendere in piazza e spazzare via ogni forma di repressione del dissenso e della libertà di pensiero.
A Gabriele Carchidi ci sentiamo solo di consegnare un auspicio: che continui a scrivere e a camminare a piedi, sereno.
La storia insegna che le manette non ci hanno impedito di seppellirli con una risata, Gabrie’.