Crotone. Il vero odio e ciò che nessuno vuole sentirsi dire

IL VERO ODIO A CROTONE, E CIÒ CHE NESSUNO VUOLE SENTIRSI DIRE

Fonte: U’Ruccularu

Nei giorni scorsi, a Crotone si è tornati a parlare di pizzo, di criminalità organizzata che osserva, valuta, soppesa le vite altrui per capire come approfittarsene, trasformandosi in un moderno strozzinaggio sociale. Ma c’è un’altra forma di sopraffazione che non passa per i boss e i clan, e che dovrebbe stare altrettanto a cuore alle istituzioni: è quella che si consuma silenziosa nei luoghi di lavoro, sotto gli occhi di tutti.
Mentre si discute di chi “odia la città” per le critiche rivolte alla politica o all’amministrazione, è arrivato il momento di sfatare un mito: i veri odiatori di Crotone non sono quelli che denunciano o criticano. Sono, invece, coloro che calpestano ogni giorno la dignità delle persone. Sono quelli che sfruttano il prossimo, approfittandosi della difficoltà di chi ha bisogno di lavorare. Sono i gestori di locali e i sedicenti imprenditori che, in piena stagione estiva, sgridano pubblicamente i loro dipendenti davanti ai clienti, come se si trattasse di oggetti da usare e umiliare a piacimento.

Un gesto vile, ma purtroppo sempre più frequente. Una mancanza non solo di educazione, ma di cultura del lavoro. Il personale non è proprietà privata, non è uno schiavo da zittire davanti a tutti. È una persona. E merita rispetto.
Nel frattempo, le vie del centro e del lungomare si affollano di ben vestiti, calici di spritz alzati all’aperitivo, e chiacchiere da happy hour. Ma dietro quella vetrina brillante di movida si nasconde un’altra Crotone: quella dei giovani costretti a firmare contratti da quattro ore e lavorarne otto, se non dieci. Quella delle frasi infami che riecheggiano nelle cucine e nei retrobottega: “Tanto se te ne vai tu, ne trovo un altro che ne ha più bisogno”. È questo che dovrebbe indignare davvero. È questa la parte marcia da denunciare.

Crotone si svuota, ma intanto si svuotano anche le speranze dei ragazzi, sfruttati per una stagione e poi dimenticati. E i sindacati? E la questura? Chi vigila su questi contratti, su queste dinamiche? Chi protegge questi giovani, che non scappano solo per mancanza di opportunità, ma per il peso dell’ingiustizia?
Parlare di “legalità” in una città dove il lavoro nero è normalità, dove la paura di perdere il poco che si ha porta a tacere, è una contraddizione feroce. È tempo che si dica chiaramente: chi sfrutta, chi umilia, chi sottopaga e dichiara il falso, non ama Crotone. Chi impone la regola del ricatto, chi trasforma i giovani in carne da macello per l’estate, non è un imprenditore. È un parassita sociale.

E allora sì, denunciare è un atto d’amore verso la città. Lo è più che mai quando serve a difendere chi lavora, chi ci prova, chi resta. Serve una Crotone che sappia guardarsi allo specchio e riconoscere i suoi veri nemici: quelli che, dietro una facciata di perbenismo e cocktail, tolgono dignità e futuro agli altri.