(Stefano Baudino – lindipendente.online) – «La Cassazione esclude qualsiasi legame tra Dell’Utri, Berlusconi e Cosa Nostra»; «Berlusconi, smontata la bufala della mafia: la Cassazione scagiona l’ex premier e Dell’Utri da ogni legame con la mafia»; «La Cassazione: Berlusconi e Dell’Utri non ebbero mai legami con la mafia». Nelle ultime ore, sono questi i titoli che si leggono a caratteri cubitali su testate nazionali come Il Foglio, Il Tempo, Il Dubbio, Il Giornale, TgCom24 e addirittura FanPage, Open, Today, AdnKronos e Il Corriere (che poi, in corsa, ha apportato modifiche), concordi nel ritenere che una recente sentenza della Cassazione avrebbe definitivamente smentito i legami tra Berlusconi, Dell’Utri e Cosa Nostra. Tutte gigantesche fake news. E non solo perché la pronuncia in questione, emessa in risposta a un ricorso dei magistrati di Palermo sulle misure di prevenzione patrimoniale nei confronti di Dell’Utri, si limita solo a dire che «non vi è la prova» di «attività di riciclaggio di Cosa nostra nelle imprese berlusconiane», ma soprattutto perché è stata la stessa Cassazione a sancire definitivamente tali rapporti sporchi nella sentenza definitiva che, nel 2014, condannò l’ex senatore di FI per concorso esterno. Quest’ultimo, infatti, si fece garante di un “patto di protezione” tra i vertici di Cosa Nostra e il Berlusconi imprenditore, che nel corso di almeno 18 anni – dal 1974 al 1992 – versò nelle casse mafiose decine di milioni di euro.
I soldi a Dell’Utri
Ma andiamo con ordine. L’ultima sentenza della Cassazione accolta con giubilo e riportata con titoli assolutamente fuorvianti da numerose testate giornalistiche di primo piano (non solo di area centro-destra) è una pronuncia di inammissibilità del ricorso avanzato dalla Procura generale di Palermo, convinta che il patrimonio di Dell’Utri fosse di natura illecita. In particolare, ci si concentrava anche sulle decine di milioni di euro che Silvio Berlusconi ha elargito al suo ex braccio destro dal 2012, nel corso del processo in cui era alla sbarra, e anche negli anni successivi, quando era ristretto in galera per la condanna rimediata.
Secondo i giudici, invece, «tale conclusione, oltre che estremamente semplicistica e indimostrata, si scontra con la successiva evoluzione dei rapporti fra i due e con il più volte rinnovato, finanche nelle proprie disposizioni testamentarie, come notorio (Berlusconi ha destinato post mortem a Dell’Utri 30 milioni di euro, ndr), senso di amicizia e riconoscenza mostrato da Berlusconi nei confronti di Dell’Utri e posto alla base degli ingenti flussi finanziari veicolati in suo favore». Nel frattempo, occorre però ricordare che, nell’aprile 2024, la Procura di Firenze ha chiuso proprio un filone di inchiesta inerente il patrimonio di Dell’Utri, che i pm hanno messo sotto indagine – chiedendo infine il rinvio a giudizio – per la violazione della normativa antimafia e, in concorso con sua moglie, per trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante di aver agito «al fine di occultare la più grave condotta di concorso nelle stragi ascrivibile a Silvio Berlusconi e allo stesso Dell’Utri». Negli scorsi mesi, il procedimento è stato spostato per competenza a Milano, con i magistrati della città meneghina che hanno chiesto di mandare a processo Dell’Utri e la moglie per i 42 milioni di euro di donazioni ricevuti da Berlusconi e mai dichiarati al Fisco. Vedremo come si evolverà la vicenda processuale.
La verità storica
A ogni modo, resta scolpita nella pietra (e nella storia del nostro Paese) la sentenza definitiva con cui, nel 2014, la Suprema Corte ha inflitto a Marcello Dell’Utri la condanna a 7 anni di carcere per concorso esterno in Cosa Nostra. Nella pronuncia si leggono parole che non si prestano a interpretazioni: «Grazie all’opera di intermediazione svolta da Dell’Utri veniva raggiunto un accordo che prevedeva la corresponsione da parte di Silvio Berlusconi di rilevanti somme di denaro in cambio della protezione da lui accordata da Cosa Nostra palermitana. Tale accordo era fonte di reciproco vantaggio per le parti che a esso avevano aderito grazie all’impegno profuso da Dell’Utri: per Silvio Berlusconi esso consisteva nella protezione complessiva sia sul versante personale che su quello economico; per la consorteria mafiosa si traduceva invece nel conseguimento di rilevanti profitti di natura patrimoniale». Il patto fu sancito nel 1974, in occasione di un incontro tenutosi a Milano tra Silvio Berlusconi, il suo braccio destro Marcello Dell’Utri, l’allora capo della mafia palermitana Stefano Bontate e il mafioso Francesco di Carlo, ed è rimasto effettivo almeno fino al ’92, anche dopo la guerra di mafia scatenata dai corleonesi all’inizio degli anni Ottanta e la presa di potere di Salvatore Riina su Cosa Nostra. «L’avvento dei corleonesi di Totò Riina non aveva inciso sulla causa illecita del patto. Berlusconi aveva infatti costantemente manifestato la sua personale propensione a non ricorrere a forme istituzionali di tutela, ma avvalendosi piuttosto dell’opera di mediazione con Cosa Nostra svolta da Dell’Utri. A sua volta Dell’Utri aveva provveduto con continuità a effettuare per conto di Berlusconi il versamento delle somme concordate a Cosa Nostra e non aveva in alcun modo contestato le nuove richieste avanzate da Totò Riina», ha scritto la Cassazione, consegnandoci una storia molto diversa da come è stata strumentalmente contro-raccontata negli ultimi giorni.
Inoltre, nel 2021, la Cassazione ha pronunciato un’altra sentenza assai eloquente, in cui ha sottolineato come scrivere che «la Fininvest ha finanziato Cosa Nostra ed è stata in rapporti con la mafia» sia assolutamente legittimo. Il verdetto è andato a chiudere il processo intentato dalla Fininvest, holding fondata nel 1975 da Berlusconi, contro il magistrato Luca Tescaroli, il giornalista Ferruccio Pinotti ed RCS, la Casa Editrice che ha pubblicato il loro libro dal titolo “Colletti Sporchi”. All’interno dell’opera, uscita nel 2008, gli autori avevano approfondito il tema dei rapporti tra il gotha della mafia siciliana e la società di Berlusconi, i cui vertici hanno versato periodicamente 200 milioni di lire «a titolo di contributo a Cosa Nostra». Seguendo la linea dei giudici di primo e secondo grado e respingendo l’ennesimo ricorso della Fininvest, la Cassazione ha effettuato la «verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie» e «della congruità e logicità della motivazione».
La corsa alla menzogna
«La Corte di Cassazione ha definitivamente chiarito ciò che era ovvio per noi e per tutti gli italiani in buona fede: non è mai esistito alcun legame tra Berlusconi, Dell’Utri e Cosa nostra – ha scritto festante il numero uno di Forza Italia Antonio Tajani su Facebook -. Oggi si cancellano anni di menzogne e calunnie, mettiamo la parola fine a una storia vergognosa e rendiamo giustizia alla memoria di un grande italiano». Gli ha fatto eco il ministro per le Riforme istituzionali Elisabetta Casellati, che ha affermato: «Silvio Berlusconi non ha mai avuto legami con Cosa nostra, l’ha sempre combattuta con provvedimenti esemplari da premier. La Cassazione chiude trent’anni di mistificazioni e attacchi strumentali». «La verità ha vinto, dopo anni di fango e di persecuzioni – si legge sull’account ufficiale di Forza Italia, che riporta il titolo-fake de Il Foglio – Oggi è stata fatta giustizia». Eppure, mentre si finge di celebrare una presunta verità ritrovata, si diffondono solo macroscopiche bugie.