Angelica e le altre!

ANGELICA E LE ALTRE!

Ormai da 3 settimane, il telefono di Angelica è muto. I messaggi non giungono a destinazione, sui social non c’è traccia alcuna della sua presenza. Solo silenzio. Un silenzio denso, violento. Lo stesso silenzio che avvolge la notizia mediatica della sua scomparsa, resa pubblica, nelle ultime settimane, solo da un giornalista di una testata locale. Un silenzio che rimbomba, manifesto del disinteresse politico e sociale, rumoroso nella sua complicità. Perché nella società perbenista e benepensante alcune vite non meritano di essere cercate. Perché la “gente perbene” stabilisce chi è umano fino in fondo e chi è sacrificabile.

Le persone trans, soprattutto le donne trans, migranti e sex workers,  stanno in fondo alla gerarchia. Sono tollerate a patto che non disturbino, che restino invisibili, che paghino il prezzo della loro esistenza con la marginalità. Quando spariscono, semplicemente tornano a essere quello che il sistema ha sempre voluto che fossero: assenze senza peso. Se una ragazza trans scompare, la vicenda viene qualificata come qualcosa di “normale” . La società borghese ha bisogno di colpevoli per lavarsi la coscienza, e allora scava: era una sex worker, frequentava ambienti “a rischio”, aveva una vita disordinata. Tradotto: se l’è cercata. È lo stesso meccanismo che giustifica la violenza sessuale, che minimizza i femminicidi, che trasforma le vittime in imputate. Solo che sulle persone trans questo dispositivo è ancora più brutale, perché la loro stessa identità viene considerata una provocazione, una devianza, un errore. Non è solo vittimizzazione secondaria: è disumanizzazione sistematica. Se in una città di provincia fosse sparita una donna, l’informazione si sarebbe mobilitata immediatamente, come sarebbe stato giusto e normale.

Ma se scompare una donna trans, non succede nulla. Nessun allarme, nessuna pressione, nessuna insistenza. Al massimo una notizia breve, mal scritta, con il nome sbagliato, con una sorta di insistenza morbosa riguardo alla sua professione. Poi il silenzio. Come se quella sparizione fosse meno grave, meno urgente, quasi coerente con un’esistenza che i media — e la società — hanno già deciso di considerare marginale. E’ un circolo vizioso di silenzio e disumanizzazione. E’ una forma di violenza, l’ennesima subita da Angelica e le altre.

Abbiamo conosciuto Angelica un anno fa, all’interno dei nostri ambulatori.
Angelica porta addosso le cicatrici di ciò che ha attraversato. Non le nasconde. Sa che raccontano una storia che molti preferirebbero non sentire. Una storia di violenza, ma anche di ostinazione. Di una donna che il mondo ha cercato di spezzare e che, pezzo dopo pezzo, ha continuato a ricostruirsi con le mani tremanti e la schiena dritta. È una sopravvissuta. E la sua vita, segnata e fragile, vale quanto tutte le altre — anche se il mondo non se n’è ancora accorto.

Nel mondo, centinaia di persone trans vengono uccise ogni anno per motivi di odio e transfobia — con dati che documentano oltre 350 persone trans assassinate solo tra ottobre 2023 e settembre 2024, la maggioranza delle quali sono donne trans o persone trans femminili. Organizzazioni internazionali indicano che l’Italia registra tra i più alti tassi di violenza, di odio contro persone trans in Europa. Le donne trans vengono trattate come corpi di passaggio, come se non appartenessero davvero a questo mondo. Come se fossero temporanee, sostituibili, sacrificabili. La loro sofferenza scivola via senza fare rumore, come acqua versata su un terreno che nessuno ha interesse a coltivare. Anche quando cadono, lo fanno senza pubblico. Anche quando urlano, lo fanno nel vuoto. Eppure, dentro questa brutalità, molte imparano a resistere come fanno le piante che crescono nelle crepe dell’asfalto. Come ha fatto Angelica, come hanno fatto le altre. La sua vita conta e continuerà a contare anche se il mondo prova a cancellarla.

EQUIPE SOCIO-SANITARIA
SOPRAVVISSUTI A TORTURA