Se non fosse che è accaduto davvero, questa volta, avrei problemi seri anche io a crederci. La storia ha dell’incredibile. Ed è la storia di una sentenza emessa e sottoscritta dalla dottoressa Lucia Angela Marletta. Che evidentemente in questo periodo non sta tanto bene.
Ma andiamo per ordine.
E’ una sera come le altre al bar di Carletto di Rogliano, e come consuetudine molti ragazzi transitano proprio lì. E’ il 17 agosto del 2013, e in quel gruppo di ragazzi c’è Marco Arcamone, ventitreenne, che con i suoi amici nella totale e assoluta tranquillità sta trascorrendo la serata.
Tranquillità, a detta dei carabinieri e dal giudice, interrotta da una telefonata alla stazione carabinieri di Rogliano dove un anonimo telefonista segnala una rissa in corso, proprio al bar di Carletto. L’identità del telefonista non è stata mai appurata, neanche nel processo.
In men che non si dica i carabinieri sono sul posto, ma della rissa non c’è traccia. Tutti sono tranquilli. Ma Marco alla loro apparizione si lascia scappare qualche frase di troppo. Al che, i carabinieri che conoscono Marco per avergli sequestrato la patente, lo “invitano” a fornirgli i documenti.
Il ragazzo dice di non averli con se, ribadendo che in fondo sanno bene le sue generalità. Ma i carabinieri non si accontentano, e decidono di mettere in macchina Marco per portarlo in caserma per la verifica dell’identità. Marco a questa richiesta oppone un rifiuto e i carabinieri, che sono in tre, lo afferrano e di malo modo lo sbattono in macchina. E via verso la caserma.
Arrivati, Marco, come dirà al processo, si rifiuta di scendere dalla macchina, perché già durante il “viaggio” uno dei carabinieri non solo lo aveva malmenato, ma gli aveva promesso di dargli il resto in caserma. Tra un tira e molla, schiaffi e pugni, Marco viene portato in caserma.
Nel mentre si è sparsa la notizia, e sotto la caserma si è radunata una piccola folla di parenti e amici che chiedono di capire cosa sta succedendo. Vogliono sapere perché Marco è stato portato dentro. E perché viene impedito ai familiari di vederlo.
Passano diverse ore, e arriva l’ambulanza chiamata dagli stessi carabinieri. I medici del 118 non curanti di Marco che è palesemente pieno di lividi e botte, si limitano a refertare lesioni varie ai tre carabinieri e vanno via.
Subito dopo Marco viene arrestato e messo ai domiciliari. Il giorno dopo si farà refertare dal pronto soccorso e il medico di turno riscontrerà: escoriazioni del dorso sinistro, ecchimosi subascellare destra e sinistra, iperemia di polso destro e sinistro, trauma cranico minore con distorsione rachide cervicale.
A distanza di tre anni da questo episodio, l’altro ieri si è svolto il processo dove il pm stesso aveva chiesto l’assoluzione di Marco da tutte le accuse perché il ‘fatto non costituisce reato’ in quanto l’atteggiamento assunto sarebbe stato quello di un uomo in gabbia che teme per la propria incolumità.
Ma la dottoressa Marletta non l’ha pensata così ed ha condannato Marco a cinque mesi di reclusione, pena sospesa, per le lesioni fatte ai carabinieri.
E’ evidente che la Marletta è nervosa e se la prende con i ragazzini per tutelare i carabinieri, ma sono curioso di leggere le motivazioni di questa sentenza per capire coma abbia potuto un ragazzino tenere testa, anzi picchiare, 3 armadi di carabinieri.
Quello di Cosenza resta sempre un tribunale dove aver Giustizia equivale a fare un terno al lotto. Un luogo dove si fa fatica a capire qual è la “logica” usata e se vale per tutti. Si passa dai 4 mesi di Citrigno, ai 7 anni per un furto di 90 euro, fino ad arrivare a condannare un palese innocente, tenendo fuori corrotti, politici mafiosi e amici degli amici.
Pare che la Giustizia, a Cosenza, funzioni a secondo di cumu ti azi a matina. E da un po’ di giorni a questa parte la Marletta si aza storta: amaru chini cci ‘ngappa. Sciuaddru mia cumu simu arridutti.