Il dato più allarmante che emerge dalle ultime inchieste condotte dalla DDA di Catanzaro è la partecipazione attiva di diversi esponenti (amministratori) del PD nei loschi affari della ‘ndrangheta. Sindaci, assessori, consiglieri, apparanzati con sanguinarie cosche, con tanto di rito, che curano gli interessi della ‘ndrangheta direttamente dagli uffici comunali. E non importa se il Comune è piccolo anzi, più e piccolo, meglio è. Perché è proprio nei piccoli Comuni che è più facile infiltrare ‘ndranghetisti nelle istituzioni, e prenderne il totale controllo.
Anche nei piccoli Comuni c’è sempre qualche buon affare da fare: appalti, gestione dei servizi, finanziamenti europei, gestione delle risorse del territorio comunale. E’ questo l’obiettivo della cosca: riuscire a controllare, infiltrando nella pubblica amministrazione i propri sodali, il maggior numero di piccoli Comuni. Che vuol dire, alla fine, amministrare il bilancio di una media città italiana. E’ sempre la somma che fa il totale. Con il vantaggio, in questo caso, per le cosche, di poter meglio gestire la politica: si sa che nei piccoli paesi tutti si conoscono e tutti sono “rintracciabili”. Controllare il voto in un paese di poche migliaia di abitanti è cosa da ragazzi. Infatti il sindaco non è quasi mai espressione di un voto libero dei territori: chi farà il sindaco, in paese, lo decide la cosca.
L’attenzione della DDA non si è fermata ai soli uomini del PD, ma anche su tutto ciò che gli ruota attorno: dirigenti pubblici, esponenti di partiti stampelle e tutto il cucuzzaro masso/imprenditoriale/’ndranghetistico che con i corrotti della pubblica amministrazione fa affari. Il quadro che ne viene fuori è quello di un partito colluso e corrotto a tutti i livelli. Una vera e propria filiera politica del malaffare specializzata in truffe allo stato.
Ma è solo “prerogativa” del PD affiliarsi alle cosche nel nostro territorio? Certo che no, e lo sappiamo bene. Spesso la collocazione politica del candidato a sindaco della ‘ndrangheta è fittizia e funzionale agli equilibri politici del momento. Alla ‘ndrangheta non interessa se sei di Forza Italia o del PD, quello che conta è la fedeltà alla famiglia. Ma stando a quello che dicono le ultime inchieste il PD si conferma primo in classifica per numero di amministratori affiliati alla ‘ndrangheta.
Questo perché quelli del PD sono più propensi a delinquere di quelli di Forza Italia, oppure, come dice qualche maligno, esiste un disegno della DDA di Catanzaro di affossare il PD in Calabria alla vigilia delle elezioni?
E’ questa la domanda che dovrebbero porsi i due ministri del PD: Minniti e Orlando.
Specie quel pelato di Minniti che bene conosce il livello mafioso del centrodestra da noi. Quel centrodestra che si è ostinato a difendere a spada tratta, come nel caso Cosenza. Ma anche Orlando non ha mai mosso un dito contro la corruzione di centrodestra che gli stessi suoi uomini, a Cosenza, con tanto di prove e carte, denunciano da tempo.
Del resto l’operazione di Cosenza è pronta da tempo, cosi come lo era quella di Cirò che da tempo giaceva sulle scrivanie dei pm della DDA, e per metterla in atto bisogna rimuovere i tanti veti politici posti in essere da certa politica nel corso degli ultimi due anni. A cominciare proprio da quelli posti da Minniti che ancora non ha “spiegato” la sua difesa ad oltranza di Occhiuto. Che come sa bene si trova al centro di una inchiesta su voto di scambio e corruzione politica/mafiosa, ma all’oggi risulta ancora intoccabile. Toccherebbe ad Orlando chiedere spiegazioni, ma non ha nè lo spessore, nè le palle per fare questo.
Se la par condicio vale anche in ambito giudiziario, la prossima mossa di Gratteri dovrebbe essere rivolta proprio al territorio amministrato dal centrodestra da 7 anni a questa parte: Cosenza. Altrimenti il rischio è quello di far passare il messaggio, alla vigilia delle elezioni, che i delinquenti sono solo nel PD. E non è così. Vedremo.