di Saverio Di Giorno
C’è una cosa, forse l’unica, di cui i calabresi possono essere fieri. La loro memoria. Tu li vedi assonnati e dondolanti sotto il peso del caldo, ma ricordano. Non usano la memoria per ribellarsi, per rifiutare. Non usano la memoria per votare. La usano però per discernere e distinguere. Come insegnava Sant’Ignazio. Persone da persone. Soprattutto parole da parole. E soprattutto hanno imparato a discernere la giustizia dal diritto. Per qualche giorno nelle strade si è fatto un gran parlare delle sentenze che hanno riguardato Manna e Facciolla. E i discorsi sono la prova che i calabresi si ricordano e distinguono.
Nessuno ha creduto che l’assoluzione di Manna corrispondesse alla verità storica. A quello che davvero è avvenuto. A nessuno è importato che il patto tra politica e clan non fosse dimostrabile. E non perché nei bar ci siano fini giuristi o intenditori di diritto e hanno comparato questa sentenza con quel decreto di scioglimento. A nessuno è importato semplicemente perché in Calabria tutti vedono con chi i nostri potenti passeggiano, in quali ristoranti entrano. Chi frequenta i loro studi. E come nascono le carriere.
Tutti hanno invece esultato per l’assoluzione del procuratore Facciolla. Come tutti firmarono già molti anni fa in sua difesa. Senza che ci fosse bisogno di sentenze. Per lo stesso motivo: perché in Calabria tutti sanno. Come disse Giannino Losardo prima di morire: tutti sanno chi mi ha sparato. Un anno fa Facciolla era alla Ubik per un evento. La libreria gremita e pronta ad applaudire ogni volta che si parlava di un omicidio scoperto o un’indagine riaperta. I calabresi hanno memoria, sono precisi. Hanno un archivio che utilizzano tanto per fini privati, quanto per riconoscere meriti.
Discernere è distinguere, nel senso di dividere. I calabresi dividono ciò che è giusto, da ciò che è dovuto. Sanno ciò che è giusto, da quello che, anche se non giusto è bene dire o fare. Che’ quello che è bene qua ha tutto altro significato. E il giusto lo conservano e lo ricordano. Perché non è assolutamente vero che non c’è memoria. I calabresi sanno e ricordano. E dentro di loro condannano e assolvono. Ma soprattutto se ne fottono delle sentenze. Perché i calabresi sono per natura sospettosi e malfidati. Sanno che un giudice sta su uno scranno, protetto da una balaustra e dalla toga. Sanno che la legge troppe volte è stata scritta da potenti per proteggere altri potenti. Ricordano che troppe volte un tribunale ha messo nero su bianco quanto doveva solo dopo che la gente ha pagato un prezzo altissimo di tempo, energia e soldi; solo – quando costretti dalla pressione della gente – non hanno potuto fare altrimenti. Non era più possibile montare castelli o scavare per cavilli. E quindi i calabresi sospettano. E quindi aspettano.
Potete utilizzare tutta la retorica che volete, sventolare pezzi di carta scippati a suon di cavilli o mazzette. Potete usare termini opposti a seconda delle convenienze: è giustizialismo! No anzi, siamo garantisti, questa è giustizia ad orologeria e così via per difendere o attaccare a piacimento e strumentalmente quel politico o quel magistrato. Ai calabresi non interessano questi dibattiti buoni solo a ristabilire verginità o ai magistrati per arrogarsi diritto di parola nei salotti estivi. I calabresi sanno se quella condanna o quel processo è montato o meno. Se quella sentenza si avvicina alla giustizia sociale o la seppellisce. Le prove sono per le strade, sui corpi. Negli sfregi dei territori, negli sguardi tronfi di chi ha fatto carriera vendendosi. E per quelle non bastano ne cavilli né milioni. E di fronte ai fatti le menzogne i castelli di carte cadono.
Le sentenze e l’attesa dei processi servono ovviamente ai politici per continuare a parlare e ricandidarsi. E servono ai loro giornali. Che aspettano il permesso della sentenza per stabilire se chi riceve una mazzetta, chi siede insieme ad un boss o chi fa affari riducendo i diritti è un connivente. Tutti gli altri sono in attesa che il diritto coincida con la giustizia. “Quelle volte, non tantissime, in cui legge e umanità, non ostacolandosi a vicenda ed anzi fondendosi fino a non distinguersi più, mi hanno permesso di rendere giustizia” (Avv. Andrew Beckett). È il discernimento l’unica qualità dei calabresi. Sanno distinguere, senza poi scegliere. Doppiamente colpevoli.









