Al Festival delle Migrazioni di Acquaformosa “è già ieri”

Se non fosse per la perenne mancanza di vita culturale, nei nostri piccoli paesi si starebbe da Dio. Aria buona, natura incontaminata, sana alimentazione, e soprattutto silenzio. Il fatto è che in assenza di politiche culturali concrete e reali, da non confondere con la festa del villaggio, vivere in paese significa ripetere fino all’ossessione, ogni giorno, la stessa identica quotidianità.

firmosa4 C’è un film bellissimo del 1993 che rende bene quello che voglio dire. Un commedia che consiglio, a chi non l’ha già fatto, di vedere: “Ricomincio da capo”, dove un bravissimo Bill Murray interpreta Phil Connors, un giornalista televisivo che si reca in un paesino  per fare un reportage sulla tradizionale ricorrenza del “Giorno della Marmotta”.

In questo paese, chissà per quale strana alchimia, rimane intrappolato in un circolo temporale: ogni mattina, alle 06.00 in punto, viene svegliato dalla radio che trasmette sempre lo stesso brano musicale (I Got You Babe di Sonny & Cher), e da allora la giornata trascorre inesorabilmente allo stesso modo della precedente. Gli eventi si ripetono esattamente uguali ogni giorno. E lui non può fare niente per “cambiare” gli eventi. Non svelo altro. Di questo film esiste anche un bel remake: “E’ già ieri” del 2004, interpretato da un bravissimo Antonio Albanese.

Ed è questa, almeno per me,  la sensazione che si avverte quando dimori per un po’ di giorni da ospite in questi piccoli e sempre più spopolati paesini calabresi. Se in paese nessuno si interessa di coltivare i saperi, le opinioni, le credenze, i costumi, le usanze, le visioni,  nessuna “novità” è possibile. Si rimane intrappolati in un presente che racchiude in 24 ore il nostro passato e il nostro futuro. Quello che è stato oggi sarà anche domani. Tale e quale. E’ come se potessimo scrivere tutto il nostro passato che è fatto anche di una lunga eredità storica, in mille battute. Impossibile. Anche per la più banale delle vite servono milioni di battute.

firmosa3Eppure nei nostri piccoli paesi si finisce per vivere così. Ne ho girati tanti e la maggior parte si possono definire: “4 case e un forno”. Piccoli borghi dove vivono comunità di antico lignaggio, ma che all’oggi non sono né carne né pesce. Culturalmente parlando. Non ci si rifà, come stile quotidiano di vita, né al passato, né se ne predispone uno per il futuro. Nessun equilibrio tra  “passato, presente, futuro”. Nessuna mescolanza proficua tra vecchi e nuovi saperi. E’ come se, usando una metafora gastronomica, si volesse far passare per “casareccia” -inteso come espressione di una cucina casalinga genuina fatta con prodotti locali – la pasta fatta in casa, “ammassata” magari con farina doppio 0 ucraina stivata per mesi in container,  e con uova provenienti da allevamenti intensivi. L’avrai anche “ammassata ara casa tua”, ma come diciamo a Cosenza: ccià appizzatu sulu a fatica. Perché la compravi direttamente già pronta, visto che le materie prime sono le stesse schifezze, e ti risparmiavi il lavoro, perché il risultato gustativo, organolettico non cambia. Anche se ad “ammassari a pasta” è stata tua nonna. E si sa che come cucinano le nonne calabresi nessuna nonna al mondo!

Ecco, in questi paesi si vive in una sorta di limbo culturale che è come il finto casareccio, non sa di niente. Ed è in questi contesti che può accadere di tutto. Persino che antichi rituali gastronomici di salute e prosperità che dovrebbero essere perpetrati all’infinito, non fosse altro che per il solo istinto di sopravvivenza e di buon senso, perdano la loro ancestrale significanza.

Un limbo, questo, dove le parole sono vuote, come se qualcuno avesse tagliato loro le radici, dopo averle private  della loro semantica e degli antichi significati. E si sa che una parola senza il suo etimo è come un uomo senza anima (intesa come “spiritualità innata”). E un uomo senza spiritualità non esiste. Ed in questo purgatorio di paese le anime e le parole galleggiano nell’aria senza peso. Sospese in un vuoto cosmico all’apparenza incolmabile. Nel quale in molti si abbandonano, lasciandosi trasportare dall’abitudine.

Altri non si rassegnano, ma l’assenza di “gravità” non gli permette di mettere i piedi per terra, altri ancora vivono di suggestione. Che spesso evocano, fittiziamente,  attraverso le sagre di paese, e tutto l’armamentario del finto folklore pacchiano che ogni anno centinaia di piccole amministrazioni mettono in scena, a soli fini clientelari. Suggestioni destinate a durare giusto il tempo di quel momento. Il giorno dopo non ci sono più. Schiacciate sotto il peso del perenne presente.

firmosa1In assenza di questo capita che l’uomo cerchi altrove il cibo necessario per la sua mente. Anzi, più che cibo direi bevanda della mente. Perchè a vedere la realtà di tutti questi paesini, la vita politica, sociale e culturale si svolge tutta all’interno dei bar di paese. Che sono tantissimi.

Ad esempio, ad Acquaformosa, ma potrei scrivere qualsiasi altro paese, ce ne sono una decina nel solo corso. L’unica cultura imperante mi sento di poter dire, senza offendere nessuno, e con il massimo rispetto che si deve a tutte le persone che abitano queste comunità, è quella dell’alcol. Si potrebbero alzare templi alla birra, e cattedrali al vino. Giusto per recuperare un po’ di riferimenti culturali.

Una situazione questa che è uguale per tutti. Ed in ogni paese, come ad Acquaformosa, crea problemi. Perché conviene a certo potere politico mantenere la situazione così. Nel bisogno e nell’ignoranza, l’abuso regna sovrano ed impunito. In molti hanno costruito i propri feudi economici e politici in questi paesini che per quanto piccoli possano sembrare vale anche per loro  il principio di mantenere una casta. Che, come si sa, si contorna di servi sciocchi e ricatta gli altri con l’obolo della sopravvivenza. Ed accade che le comunità si spaccano, ed anche quel poco di serenità e tranquillità che caratterizza questi sonnacchiosi borghi, va a farsi benedire.

E’ questo che ho raccolto come prima sensazione passeggiando per le vie di Acquaformosa, paese di mille anime, durante l’ancora in corso “Festival delle migrazioni”. Paese, che, insieme a Riace, è conosciuto nel resto d’Italia come paese dell’accoglienza. Di cui vi racconterò domani.

GdD

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