Altro che assegno unico, un figlio costa (in media) fino a 500 euro al mese

di Enzo Risso
09 agosto 2025 • 19:22

Fonte: Domani 

Per il 21 per cento delle famiglie le spese per i figli assorbono tra il 40 e il 70 per cento del bilancio mensile. Le voci di spesa che gravano maggiormente sul bilancio sono quelle per l’abbigliamento, per l’acquisto dei testi scolastici e per lo svolgimento dell’attività sportiva

L’assegno famigliare per i figli, noto come Assegno Unico e Universale (Auu), varia in base all’Isee del nucleo familiare e al numero e caratteristiche dei figli. Gli importi mensili, in base alle tabelle dell’Inps, si situano tra un minimo di 57,50 euro (per famiglie con Isee pari o superiore a 45.939,56 euro) e un massimo di 201 euro per ciascun figlio per famiglie che hanno un Isee fino a 17.227,33 euro.

Ma quanto costa realmente un figlio ogni mese alle famiglie? Una recente ricerca dell’osservatorio Fragilitalia del centro studi Legacoop e Ipsos, ha scandagliato il tema. I gruppi familiari che spendono meno di 300 euro al mese per figlio sono il 34 per cento e sono perlopiù famiglie a basso reddito, monogenitoriali e con i genitori che non hanno un lavoro stabile. Il 38 per cento dei nuclei familiari spende tra i 301 e 500 euro al mese per ciascun figlio.

Si tratta di gruppi familiari residenti nel Mezzogiorno, dei ceti popolari e con genitori mediamente giovani sotto i 35 anni. Il 13 per cento, invece, spende per ciascun figlio tra i 501 e i 700 euro al mese. Il cambio di classe sociale e di area del paese si nota subito: nuclei del ceto medio, con genitori con titolo di studio alto e che vivono al nord. Vi è poi una quota più piccola che spende per ciascuno figlio tra i 700 e i 1700 euro al mese.

Sono il 9 per cento della popolazione e sono, in parte, famiglie con figli maggiorenni, che frequentano da fuorisede l’università. Tradotto in termini di incidenza del costo dei figli sul bilancio familiare possiamo osservare che per il 21 per cento delle famiglie le spese per i figli assorbono tra il 40 e il 70 per cento del bilancio mensile.

Per il 55 per cento si scende tra il 20 e il 40 per cento, mentre solo per il 24 per cento i costi incidono tra il 5-20 per cento del bilancio familiare.

Le spese
Le voci di spesa che gravano maggiormente sul bilancio sono quelle per l’abbigliamento (58 per cento), per l’acquisto dei testi scolastici (43), per lo svolgimento dell’attività sportiva (45), per il materiale scolastico (40), per lo svago e i divertimenti (40), per le spese mediche (38), per la retta dell’asilo, dell’università (38), per computer, smartphone e tablet (35) per la mobilità (34) e per farmaci e integratori (31). Sul bilancio delle famiglie pesano anche le spese per le gite scolastiche (28), per i corsi extra scolastici (22), per parrucchiere ed estetista (21), make up e prodotti di bellezza (21), nonché per corsi di lingue (18) o per il doposcuola o la baby sitter (14).

A determinare la lievitazione dei costi sostenuti dalle famiglie, negli ultimi anni, hanno contribuito diversi fattori: al primo posto c’è l’aumento generalizzato di tutti i beni che, per il 79 per cento delle famiglie, ha generato un forte aggravio del costo dei figli sui bilanci familiari. Al secondo posto c’è il desiderio delle famiglie di offrire ai ragazzi esperienza diverse, dai viaggi alle attività extra (62 per cento).

Una parte del leone la fanno anche i costi per l’istruzione (61). La pressione sociale, la voglia di fornire sempre il meglio ai propri figli è un modello sociale sempre più costoso ed è all’origine dell’aumento del peso economico dei figli per il 55 per cento delle famiglie. I costi sanitari, infine, sono diventati sempre più difficili da sostenere per il 51 per cento.

Una misura insufficiente
La spesa per i figli è un indicatore profondo delle disuguaglianze sociali che attraversano l’Italia. L’assegno unico non colma affatto il divario tra chi può permettersi di investire nel futuro dei propri figli e chi si arrangia. Alla luce delle spese sostenute dalle famiglie esso appare più come una resa che una politica di welfare, una rinuncia da parte della società italiana a investire sul futuro.

La pressione culturale verso il “meglio” per i propri figli rischia di trasformare la genitorialità in una gara di status, dove il capitale economico e culturale fa la differenza. Serve una riforma strutturale che tenga conto non solo dei carichi familiari, ma che abbia anche come obiettivo quello di garantire che maternità e paternità non siano un lusso, ma un diritto.