Amadeus Forlani e l’arte di Checco Zalone di farci ridere delle cose che ci stanno a cuore

di Gaia Soncini

Fonte: Linkiesta

«Vi ricordate quando potevano uscire alla televisione le sceme?»: Checco Zalone arriva alle nove e trentotto, quando la scaletta è saltata. Il monologo dolente se lo conosci non riesci comunque a evitarlo, se lo conosci non solo ti uccide ma nel farlo sfora pure. 

La sera, Amedeo Forlani fa fare alla coconduttrice (vabbè) nera uno sproloquio di venti minuti (che manda a meretrici la scaletta, e immagino il buonumore di Emma che canta tre quarti d’ora dopo l’orario previsto: se non riuscite a immaginarvi con venti centimetri di tacchi e la tensione per un’esibizione che viene differita di tre quarti d’ora, pensatevi in attesa fuori da una sala operatoria).

Un monologo che pare riassunto in «Andy Warhol diceva: quindici minuti di catastrofe nella vita prima o poi arrivano», battuta che Checco Zalone farà due ore dopo (che cos’è il genio: sembrare uno che prende per il culo la catastrofe di due ore prima in un testo preparato un mese fa). 

Naturalmente tutte queste mie notazioni sono irrilevanti; lo sono per loro natura, ma soprattutto lo sono perché la nera sul palco che dice che il razzismo è brutto non serve a fare una cosa fatta bene: serve a fare una cosa che compiaccia i buoni (i buoni non pretendono mai una qualità minima, solo che ci sia buona volontà: è un eterno asilo Montessori). C’era quella vecchia battuta: il razzismo sarà finito quando si potrà dire che un nero è uno stronzo. Quando poco dopo (più adiacente di quanto dovrebbe: i venti minuti dovevano essere otto, ma quando non sei esattamente Monica Vitti ti emozioni molto e ti attieni ai tempi di scena poco) arriva Checco Zalone, e si lamenta che tra le donne di quest’edizione manchino le sceme, è il primo autentico antirazzista su quel palco. 

Ma, poiché sono la Cassandra che vi potete permettere, so che Amedeo Forlani in conferenza stampa si sentirà rinfacciare che il popolo delle consonanti è offeso, e risponderà che se diciamo queste cose teniamo lontani i giovani da Sanremo ma anche dalla legge Zan (l’ontologia dei significanti di Coletta non riesco a predirla con esattezza, ma la pregusto). 

E con l’identico tono con cui Marracash dedica la sua dolenza «a chi vuole scappare e non può», lui si rivolge alla balconata e fa la sua dedica: «Al bonus facciate, ai conduttori di programmi su Rai che fanno le televendite: buon pnrr a tutti». E, là dove Marracash giura «Vuitton e Prada non contan nada se tu non sei con me», Zalone rievoca il dolore di «quando cammini per strada vedi l’insegni di Prada ma senti una voce amara che ti dice: Zara». Secondo me Marracash ha riso, secondo me gli propone un duetto: vi ricordate quando, invece di offendersi con apposito cancelletto, Andreotti chiedeva l’originale delle vignette?