BCC di Verbicaro, l’incredibile storia dei carabinieri e delle società al servizio del clan Muto

Il maresciallo Aversa

Le DDA di Reggio Calabria e Catanzaro – anche se sottotraccia – stanno intensificando la loro battaglia contro la corruzione ed il malaffare e mai come in questi mesi hanno acceso i riflettori anche e soprattutto sul mondo bancario perché, seguendo il flusso dei soldi, è inevitabile arrivare a questo “potere forte”.

In quest’ambito, non c’è dubbio, per come vi abbiamo già ampiamente documentato in questi anni, che tra gli istituti di credito più attenzionati ci sia la BCC di Verbicaro, sulla quale ormai da tempo è piombato il clan Muto di Cetraro con i suoi mille tentacoli. 

Tempo fa ci siamo occupati del controverso caso di questa banca. Ne avevamo scritto a proposito della vicenda giudiziaria della collega Francesca Lagatta, che era stata denunciata dai vertici della BCC di Verbicaro per diffamazione ed era stata poi assolta dal Tribunale di Paola.

Nel marzo 2016, Francesca Lagatta rivelava che nell’istituto bancario verbicarese, già precedentemente travolto da aspre polemiche, alcuni uomini in divisa delle Fiamme Gialle di Reggio Calabria, avevano fatto irruzione per acquisire una fitta documentazione, disponendo le indagini per quattro dirigenti, sospettati, a vario titolo, di omessa comunicazione del conflitto di interessi (2629 bis cc) nell’ambito degli interessi degli amministratori (Art. 2391 del cc) e mendacio e falso interno (Art. 137 del testo unico bancario).

Potete immaginare la reazione dei truffaldini: denunce, minacce e compagnia bella. Ma la collega Lagatta è stata assolta da ogni addebito e oggi finalmente possiamo raccontare come stanno le cose.

Presso la BCC di Verbicaro in data 25.05.14 si sono tenute le elezioni che dovevano portare al rinnovo delle cariche sociali. Successivamente e precisamente in data 02.06.14 si è tenuto il Consiglio d’amministrazione che doveva portare alla convalida degli eletti. Il gruppo che per 15 anni ha gestito a suo piacimento la banca, avendo la maggioranza sia nel Consiglio che nel collegio sindacale, inscenando una manfrina, dopo che il CDA era stato sospeso, all’insaputa del presidente Riccetti, dei consiglieri Pignataro e Giuseppe Silvestri e del sindaco Pagano, in combutta con il direttore Leonardo De Bonis, ha proseguito il CDA a Scalea presso lo studio legale Arieta/ Saporiti.

In quella sede ha dichiarato la decadenza del presidente eletto dai soci, Riccetti, per conflitto di interessi, poiché ricopriva all’epoca la carica di assessore alla Provincia, nominando quale presidente il secondo votato, ovvero Giuseppe Zito, presidente dell’istituto di credito per 15 anni, che viene alla ribalta nell’ordinanza relativa al processo Plinius, che ha portato all’arresto dell’allora sindaco di Scalea, Pasquale Basile.

Dalla lettura dell’ordinanza, lo stesso Zito risultava essere il prestanome del clan Stummo di Scalea, affiliato al clan Muto di Cetraro. Il giorno del CDA – 2.06.14 – visto che all’interno della seduta consiliare gli eletti arrivavano a muso duro, veniva chiesto l’intervento dei carabinieri di Scalea e di Verbicaro.

Interveniva in particolare il maresciallo Aversa, già coinvolto allorquando gestiva la caserma di Cittadella del Capo nel processo che vedeva come imputati molti uomini vicini al clan cetrarese. Il maresciallo Aversa, nel redigere il proprio referto, esaltava la linearità del comportamento degli amministratori in carica rilevando al contrario a carico del Riccetti comportamenti costituenti reato tanto da chiederne l’arresto alla procura di Paola insieme al suo avvocato, presente a Verbicaro in occasione del famigerato CDA.

Naturalmente, nonostante la denuncia dell’Aversa e di chi oggi amministra la Banca prima il pm e poi il gip, cui gli attuali amministratori si erano rivolti avanzando richiesta di opposizione alla richiesta di archiviazione, archiviavano la posizione del Riccetti e del suo avvocato.

Arturo Riccetti

Il Riccetti e il suo avvocato, dopo l’archiviazione hanno denunciato l’Aversa, che guarda caso è difeso davanti al gip di Paola dall’avvocato Francesco Germano, fratello del presidente del collegio sindacale della BCC di Verbicaro, Marino Germano Vittorio e nipote di Nicolina Germano nei cui confronti l’Aversa indagava per i fatti per i quali poi è nato il processo a suo carico.

Ma non solo. L’Aversa compare nell’ordinanza relativa al processo Frontiera a pagina 424 e seguenti allorquando viene contattato sulla sua utenza cellulare da indagati appartenenti al clan Muto che chiedono al militare come comportarsi e cosa riferire al capitano Pirrito – superiore dell’Aversa – che regge la caserma di Scalea.

E non finisce qui. L’Aversa, indagato ed imputato davanti al Tribunale di Paola, vista la denuncia del Riccetti e del suo avvocato, mentre era indagato ed imputato, ha chiesto ed ottenuto dalla BCC di Verbicaro un modico prestito di 150 mila euro.

Con quei soldi – ne esiste prova – ha acquistato all’asta presso il Tribunale di Paola, Giudice delle esecuzioni immobiliari, una villa ubicata a Praia a Mare di valore stimato dal CTU per 750 mila euro. Naturalmente, tutto quanto descritto è stato denunciato sia al capitano Pirrito che al Comando Provinciale di Cosenza che invece di licenziare il militare lo ha trasferito a San Giovanni in Fiore.

Questo è un ulteriore intreccio della vicenda. Ovvero militari appartenenti ai carabinieri di Scalea, asserviti al clan, che tutelavano e tutelano chi oggi amministra la BCC di Verbicaro.

Continueremo a scrivere di questi intrecci e in particolar modo degli intrecci esistenti tra amministratori della BCC e società che dalla Banca hanno avuto lauti prestiti senza garanzie, che caso strano acquistavano il pesce surgelato dal clan cetrarese nei cui confronti hanno ingenti debiti.

Per esempio, il Gruppo Mannarino con sede in Scalea, le cui società sono gestite come commercialista dal consigliere della BCC di Verbicaro Russo in società con il Mannarino come con l’ex presidente Zito, dal quale hanno acquistato la società GRICAF leader nel settore del caffè – oggi MOKA  – qualche anno fa sponsor del FC Crotone.

Nella vicenda della società del caffè viene ad avere un ruolo anche il Gruppo Grisia dedito alle costruzioni non solo sull’alto Tirreno Cosentino. L’imprenditore Grisia è cognato dell’avvocato Cristiani, avvocato ed amministratore incompatibile della BCC di Verbicaro, nonché nipote dell’ex parlamentare di Forza Italia Sandro Bergamo.

Nonostante per la vicenda BCC da tempo sia stato investito il Comando Stazione Carabinieri di Scalea, lo stesso mai ha messo becco nella vicenda. Non lo ha fatto in quanto l’allora capitano Falce è rappresentato e difeso in alcuni processi dall’avvocato Arieta, cognato dell’avvocato Saporiti, vicepresidente della Banca e fratello di un magistrato che opera presso la Corte di Appello di Napoli.

E poi perché nell’ambito del procedimento pendente presso la procura della Repubblica di Paola a carico del presidente dell’istituto di credito Francesco Silvestri, dell’ex presidente Zito, del Russo e della Nicolina Germano, la BCC di Verbicaro è rappresentata e difesa da un avvocato, moglie di un carabiniere appartenente al Comando carabinieri di Scalea.

Altro che porto delle nebbie…