Cosenza: Calabrese dirigente, quando il cazzaro ama i “figli di mammà”

Il figlio di mammà e il figlio del fruttivendolo

Giampaolo Calabrese è stato l’uomo del giorno per diversi mesi nella città dei Bruzi. Non era mai capitato, almeno qui a Cosenza, che un organizzatore di concerti salito poi alla ribalta di “gestore-padrone” di un monumento pubblico come il Castello, diventasse addirittura dirigente comunale.

E’ chiaro come il sole che il “figlio di mammà” di cui parliamo ha santi in paradiso molto importanti. E Calabrese, che della trasversalità e dell’ambiguità ha sempre fatto i suoi cavalli di battaglia, sapeva dove voleva andare a parare, stuzzicato anche da quel buffone di Mario Occhiuto.

La mamma di Calabrese (che Dio l’abbia sempre in gloria) si chiama di cognome Ippolito, esattamente come la signora Edvige, sua sorella, la first lady del Tribunale di Cosenza ovvero la moglie del procuratore Mario Spagnuolo, che per tornare a Cosenza (nonostante tutti i disastri che ha combinato all’epoca di Franco Pino e dei pentiti) ha fatto carte false. Figuratevi la faccia di quel cazzaro di Occhiuto appena ha saputo della parentela…

Ma il buon Calabrese ha anche parentele importanti da parte del padre, visto che siamo nel ramo dell’avvocato penalista Sergio Calabrese, tra i “baroni” indiscussi del foro di Cosenza, uno tra quei veterani che dopo la morte (violenta) di Silvio Sesti ha conquistato fama e potere. Insomma, Giampaolo, da qualsiasi parte si vuole guardare, era un predestinato.

A Rende, a dire il vero, dove ha iniziato la sua attività, un altro rampollo doc come Cesare Loizzo (il nipote di Sandro Principe, ora appecoronato con quel ladrone di Pittella) gli ha tarpato le ali ma il Nostro non si è certo perso d’animo e ha cominciato a tessere la sua tela per arrivare dov’è arrivato. Concerti su concerti, rapporti su rapporti, pastette su pastette.

Ma il “botto” l’ha fatto a giugno 2015 quando quel pagliaccio di Occhiuto gli ha consegnato le chiavi del Castello Svevo.

Con la facciatosta che si ritrova e la sicumera di chi sa di essere un “figlio di mammà” inattaccabile e da favorire sempre e comunque, Calabrese ha avuto il coraggio di affermare che il Castello è diventato un attrattore turistico e un grande contenitore “culturale”.

La verità invece è sotto gli occhi di tutti.

Il simbolo di Cosenza è a tutti gli effetti un club privè del sindaco Occhiuto e dei suoi amici che lo gestiscono, comandati da questo figlio di mammà nipote del procuratore.

Lo straordinario monumento cosentino viene usato impunemente per feste e avvenimenti privati, anche matrimoni, e non c’è stato mese in un lunghissimo anno e mezzo nel quale Aiello, Calabrese e Pietramala (i soci della Svevo srl) non hanno fatto i loro porci comodi nel monumento simbolo della città. Prima di accapigliarsi tra di loro e “dividersi”…

Il disegno di ridurre il Castello a “splendida cornice” di cene, “parties”, balli notturni e feste private è stato perseguito comunque con grande abilità e capacità sin dall’inizio. Progettisti, direttori dei lavori, amministratori degli ultimi cinque anni (quelli in cui si è completato il progetto) hanno alacremente lavorato perché si arrivasse a questi edificanti risultati.

La “voliera”, i pavimenti levigati, gli intonaci da resort, gli infissi in alluminio erano, tutti, funzionali allo scopo di utilizzare il Monumento per farvi delle belle cene eleganti seguite da spettacolini e ballettini scacciapensieri.

Una visione “estetistica” della vita, dei monumenti, della città che è direttamente proporzionale al livello culturale, politico e sociale della classe dirigente che ci amministra.

Un covo di imbucati e raccomandati. Occhiuto qualche tempo fa ha definito figlio di papà un giornalista che gli ha solo cantato la pampina. Il collega Camillo Giuliani, che è troppo signore per confrontarsi con quel fruttivendolo (con tutto il rispetto per chi svolge questo mestiere) di Occhiuto, non gli ha risposto per come si meritava.

Occhiuto non si rende conto che attaccando i figli di papà attacca la stragrande maggioranza del codazzo di lecchini che gli sta dietro e che vengono premiati, come ha fatto con Calabrese, tutti i santissimi giorni del calendario attraverso delibere, determine e soldi sottobanco.

Con una differenza sostanziale: loro sono figli di papà e figli di mammà e lui è un parvenu ovvero una persona arricchitasi rapidamente (e illecitamente), che, pur ostentando presuntuosamente una certa distinzione, conserva i modi e la mentalità della condizione sociale precedente.

Cioé quella di suo padre, che faceva il fruttivendolo, ribadendo tutto il massimo rispetto per chi svolge questa professione e non ha figli degeneri come quel clown di Mario Occhiuto.

E io non sono un signore, sono figlio di nessuno e quando c’è da combattere sono pronto a fare a pezzi buffoni, cazzari, figli di papà, figli di mammà, parvenu, figli di fruttivendoli e figli di farabutti.

Gabriele Carchidi