Calabria 2020, tutto è doppio in questa storia: Gratteri a Twin Peaks (di Ida Dominijanni)

di Ida Dominijanni

Fonte: Internazionale

La maxi inchiesta “Rinascita-Scott” di Gratteri sulla ’ndrangheta vibonese piomba sull’opinione pubblica calabrese il 19 dicembre 2019, quando mancano ancora dieci giorni alla scadenza per la presentazione delle liste. Più di 400 indagati, 334 misure cautelari, 15 milioni di beni sequestrati, tremila militari impiegati. E un teorema suffragato dalle dichiarazioni di alcuni pentiti e da una mole di intercettazioni accumulata in tre anni di indagini: la ’ndrangheta, multinazionale del crimine esportata dalla Calabria in tutto il mondo, è un’organizzazione che agisce su più livelli – intimidatorio, imprenditoriale, finanziario, politico – grazie a una fitta rete di complicità e intermediazioni che fanno capo alla massoneria (legale e “deviata”) e infiltrano le professioni, l’amministrazione pubblica, le banche, il ceto politico e non ultimi i tribunali.

Il teorema in verità non è nuovo: è il medesimo su cui nella stessa procura di Catanzaro lavorò anni fa l’allora giovane sostituto Luigi De Magistris, bloccato dal suo procuratore capo e da un conflitto interno alla magistratura che lo stesso De Magistris ha ricostruito dettagliatamente all’indomani dell’annuncio dell’inchiesta di Gratteri. Ma oggi il contesto è diverso, e non solo perché stavolta Gratteri è il capo di se stesso e ha il suo ufficio dalla sua parte, ma perché è cambiata, nella regione e nel capoluogo, la percezione della gravità e della pervasività del fenomeno ’ndranghetista.

Per la prima volta, a Vibo una manifestazione spontanea festeggia la retata contro una delle cosche più potenti e radicate della regione: è il segno di un sentimento di liberazione e di un desiderio di legalità, ma è un segno doppio, com’è doppio quello della manifestazione in sostegno di Gratteri, perché non c’è mai da festeggiare troppo quando un’esigenza di libertà si esprime solo attraverso il linguaggio penale e il desiderio di legalità si affida solo a un procuratore. E c’è da festeggiare ancora meno se il procuratore in questione riceve in pompa magna e in piena campagna elettorale l’ex ministro dell’Interno e accetta di diventarne un’icona da sbandierare.

Tutto del resto è doppio in questa storia, come a Twin Peaks. Prima che scatti la “Rinascita-Scott” il capoluogo della regione è già ferito da “Gettonopoli”, un’altra inchiesta della procura che mette sotto indagine l’intero consiglio comunale per le truffe consumate da alcuni consiglieri incassando gettoni e rimborsi non dovuti per l’attività simulata nelle commissioni permanenti: l’inchiesta, su cui “l’ottimo amministratore” Abramo tace per settimane, è sacrosanta ma rischia di fare di ogni erba un fascio e di gettare l’ombra del sospetto anche sui consiglieri del movimento Cambiavento, l’unica forza di opposizione che abbia delineato negli ultimi anni un’alternativa praticabile per la città.

Ma quando esplode l’inchiesta anti-’ndrangheta la ferita diventa una voragine. Di fronte all’arresto e alla pesantezza degli addebiti che incombono su una figura chiave dell’inchiesta – Giancarlo Pittelli, avvocato molto radicato in città, ex parlamentare di Forza Italia traslocato in Fratelli d’Italia, già coinvolto e prosciolto nell’inchiesta di De Magistris, cui Gratteri attribuisce ora il ruolo di intermediario tra la cosca Mancuso, la massoneria, il mondo degli affari e la magistratura – il capoluogo oscilla tra l’indignazione e l’incredulità. Gratteri è l’uomo giusto nel posto giusto al momento giusto per alcuni, è l’ennesimo caso di protagonismo mediatico dei pubblici ministeri per altri.

C’è chi abbraccia il suo teorema e chi ribatte che, come diceva Sciascia, “se tutto è mafia niente è mafia”. C’è chi in nome del garantismo ne contesta i metodi – arresti a strascico sovente revocati, conferenze stampa sopra le righe, propositi rivoluzionari inappropriati, diritti degli indagati incerti – e c’è chi in nome del garantismo replica che a calpestare i diritti di chiunque è la ’ndrangheta e non chi la combatte. Sfugge agli uni e agli altri che proprio il significato del garantismo è una delle poste in gioco della “Rinascita-Scott”, Pittelli essendo un esempio paradigmatico della torsione di senso che il garantismo ha subìto in epoca berlusconiana diventando innocentismo e pretesa impunità. E sfugge a chi guarda da fuori quello che avviene in Calabria, il cambiamento nella percezione della ’ndrangheta che l’inchiesta di Gratteri provoca soprattutto nella borghesia urbana: una mafia non più solo locale-globale, cioè radicata in territori arcaici e ramificata in mezzo mondo, ma infiltrata nel tuo posto di lavoro e nella scrivania di fianco alla tua.

L’effetto finale è di uno sgomento e di un disorientamento che non trova sedi di elaborazione politica collettiva, perché la campagna elettorale per le regionali parla d’altro o di nulla…