Calabria 2021. Pd, Circoscrizione Centro: Pitaro-Bruno, il derby degli impresentabili

Francesco Pitaro è stato una delle sorprese delle elezioni regionali del 2020. Con la lista di Pippo Callipo “Io resto in Calabria” era riuscito a strappare un seggio nonostante non avesse conseguito un risultato eccezionale: 3.717 voti. Ma il gioco dei resti e dei quorum lo aveva catapultato dentro il Consiglio nonostante la cocente sconfitta di Callipo.

Successivamente, appena qualche mese dopo, i suoi buoni rapporti con Callipo precipitarono. Galeotta fu la nomina nell’Ufficio di Presidenza del Consiglio per Pitaro. Il no di Callipo determinò il suo conseguente passaggio in proprio al Gruppo Misto in attesa di collocazione e non c’è dubbio che quella più naturale sia quella del Pd. Non foss’altro perché in famiglia c’è un altro politico funzionale alle logiche piddine ovvero il fratello Giuseppe, ex sindaco di Torre di Ruggiero.

E proprio il fratello Giuseppe era finito nella rete di Gratteri e della Dda di Catanzaro a ottobre del 2019, appena due mesi prima delle Regionali, e in particolare nell’operazione Orthrus.

Tutto ruota intorno alle due famiglie Chiefari e Iozzo attive tra Torre di Ruggiero e Chiaravalle dove avrebbero imposto il controllo criminale a suon di estorsioni. Secondo la ricostruzione della Procura la famiglia Chiefari sarebbe stata prevalentemente dedita alle attività economiche ed imprenditoriali sfruttando imprese a questi riconducibili mentre la famiglia Iozzo avrebbe avuto nella sua disponibilità armi. Con l’uso di queste avrebbe imposto il giogo ai commercianti della zona attraverso una lunga serie di estorsioni.

Indagato anche l’avvocato amministrativista ed ex primo cittadino di Torre di Ruggiero, Giuseppe Pitaro, fratello del consigliere regionale Francesco, su cui pende anche un’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, il quale seppur non inserito stabilmente nella struttura organizzativa del clan nella sua funzione di sindaco pro tempore dal 2006 al 2015 avrebbe favorito le attività della cosca. In particolare, non si sarebbe opposto all’affidamento di lavori ad una ditta la Euroscavi, direttamente riconducibile ad Antonio e Nicola Chiefari benchè questa fosse stata colpita da interdittiva antimafia.

L’operazione aveva portato all’arresto di 17 persone considerate vicine alla cosca Iozzo-Chiefari radicata, in particolare, nei comuni delle Serre di Torre di Ruggero e Chiaravalle Centrale. Per Giuseppe Pitaro, la Procura aveva chiesto l’arresto rigettato poi dal gip.

Secondo la Dda il potere della cosca Chiefari si sarebbe esteso fino a influenzare il voto. E c’è chi secondo la Dda ne avrebbe approfittato. Era stato, infatti, chiesto l’arresto  anche nei confronti di Giuseppe Pitaro, 55 anni, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Il gip Paola Ciriaco non ha concesso l’arresto ma l’accusa non aveva accettato di buon grado la decisiome, anzi… «Pitaro è stato sindaco dal 2006 al 2015 – ha spiegato il procuratore Gratteri – noi abbiamo chiesto la custodia cautelare in carcere che non è stata data. Stiamo leggendo la motivazione del gip e sicuramente faremo appello su questa decisione. A noi risulta dalle indagini che è stata chiusa in una cassaforte del Comune un’interdittiva antimafia. E non può restare chiusa un’interdittiva». Non solo. «Durante un comizio per la campagna elettorale sul palco a fianco al sindaco c’era il figlio del capomafia del paese (Domenico, figlio di Antonio Chiefari, ndr). Se noi sappiamo cosa vuol dire la gestualità della mafia – sottolinea il procuratore – il mafioso non ha bisogno di parlare ma essere o non essere in determinato posto ha la sua rilevanza. Trovarsi in un posto vuol dire fare una scelta di campo. Il capomafia la scelta di campo l’ha fatta. Se era lì ed era salito sul palco sapeva di cosa si stava parlando. Sta partecipando alla campagna elettorale. E se sta partecipando alla campagna elettorale allora di cosa c’è bisogno? Questo non ha rilevanza penale? È un fatto di folklore o un comportamento di mafia?». Detto, fatto: il ricorso contro la decisione del Gip viene presentato e dopo il rinvio a causa del Covid arriva tra le mani dei giudici del Tribunale della Libertà Ermanna Grossi, Michele Cappai, Giuseppe De Salvatore: rigettato in sei pagine di motivazioni.

Giuseppe Pitaro ha poi scelto il rito abbreviato, così come altri 23 imputati. A novembre 2020 sono arrivate le richieste di condanna.

Condanne dai 20 agli 8 anni di reclusione sono state chieste in particolare dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Debora Rizza nella sua requisitoria nel processo. La cosca risulta essere federata con i Gallace di Guardavalle e in contrasto con i Procopio-Sia-Tripodi di Soverato. Sei anni sono stati chiesti per l’ex sindaco di Torre di Ruggiero Giuseppe Pitaro, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Fin qui, il procedimento giudiziario nei confronti di Giuseppe Pitaro (che ovviamente si è sempre dichiarato innocente e anche con una discreta verve…). Che non è Francesco, d’accordo, ma non c’è dubbio che il consigliere regionale uscente sia certamente al corrente di quanto fa il germano visto il feeling politico e professionale. Tanto per fare un esempio, come si fa a dire che le truffe di Mario Occhiuto al Comune di Cosenza non condizionino negativamente l’immagine del fratello Roberto candidato alla presidenza della Regione?

Tornando al Pitaro consigliere regionale, è ovvio che si stia giocando la carta della candidatura nella lista del Pd, dove pare però che non tutti stiano facendo i salti di gioia. Specialmente Enzo Bruno da Vallefiorita, ex presidente della Provincia di Catanzaro, funzionario regionale particolarmente “spinto e chiacchierato”- per usare un eufemismo – e coinvolto anche nello scandalo Sacal, altro impresentabile d’annata in odore di candidatura e nello stesso bacino elettorale di Pitaro. Gli addetti ai lavori dicono che solo uno dei due passerà: una sorta di derby degli… impresentabili. 

«Non si può considerare il Partito Democratico alla stregua di un bus in cui salire e scendere a convenienze e solo in prossimità di tornate elettorali». Così tuonava in una nota il coordinamento cittadino del Pd Catanzaro, dopo aver appreso dalla stampa del tesseramento al Pd del consigliere regionale Francesco Pitaro. «Al di là del merito della questione, la notizia ci coglie un po’ di sorpresa soprattutto in considerazione del fatto che del tesseramento non si occupa né il segretario di federazione, né tanto meno il presidente dell’assemblea, ma a riguardo è stata designata una commissione ad hoc» spiega l’organo cittadino.

«Siamo altresì rimasti colpiti dal fatto che la notizia sia stata data da organismi di partito, obbligati ad una doverosa terzietà, ma che pare abbiano già scelto di “sponsorizzare” un candidato ancor prima della presentazione delle liste e della coalizione, senza discutere preventivamente con la direzione provinciale, con il commissario o con la candidata alla presidenza Amalia Bruni. Tantopiù che quello prescelto è un consigliere regionale uscente eletto in un’altra lista da cui è fuoriuscito subito, dopo poche settimane di mandato, per aderire al gruppo misto al quale è ancora iscritto». Capito l’accoglienza?

Ma pare che Pitaro invece sia risultato molto gradito a Mario Merola, Boccia, la scienziata de noantri e tutto il cucuzzaro e che abbia anche un’altra idea fantastica, da giocarsi in tandem con la sua candidatura alla Regione. Il fratello Pino, proprio lui, quello indagato, potrebbe addirittura essere il prescelto per il Pd alle comunali di Catanzaro. E allora non resta che attendere ancora qualche giorno prima di trarre le inevitabili conclusioni. E naturalmente anche un profilo più approfondito di Enzo Bruno, ci mancherebbe altro: per queste cose la par condicio è fondamentale, visto che quelli in corsa per una candidatura da “sistema” sono tutti uguali. Sembrano quasi fatti con lo stampino. Povera Calabria nostra.