CALABRIA 2025: IL CENTROSINISTRA CHE NON VUOLE VINCERE A TUTTI I COSTI
Fonte: U’Ruccularu
Le elezioni regionali in Calabria si terranno ad ottobre 2025, con un anno d’anticipo rispetto alla scadenza naturale.
A muovere la pedina è stato Roberto Occhiuto, presidente uscente del centrodestra, che ha deciso di dimettersi e correre di nuovo.
Una mossa astuta: votare subito per incassare un consenso plebiscitario e trasformarlo in scudo politico contro l’inchiesta giudiziaria che lo riguarda.
Il risultato? Occhiuto è già in campagna elettorale, con liste civiche pronte e candidati a grappoli.
E il centrosinistra? È ancora lì, a fissare il foglio bianco e a litigare sul nome del candidato.
Una storia già vista: nel 2021 Occhiuto vinse col 54,5%, mentre il centrosinistra si fermò a un misero 27,7%.
E per non farsi mancare niente, Luigi de Magistris raccolse il 16,2% spaccando ulteriormente il fronte progressista.
In sostanza: la Calabria non è nuova a questa sceneggiatura, e il centrosinistra continua a recitare la parte dello spettatore pagante.
LA GRANDE ILLUSIONE TRIDICO (e la ritirata silenziosa)
Il centrosinistra aveva puntato tutto su un nome: Pasquale Tridico, economista, ex presidente dell’INPS ed europarlamentare M5S.
Una figura tecnica, autorevole, calabrese doc. Perfino Occhiuto, si dice, temeva solo lui, riconoscendolo come l’unico avversario “potabile” anche per gli elettori moderati.
Il Pd lo benedice, Conte lo accarezza, i Verdi mugugnano ma ci stanno. Sembra fatta.
Ma alla fine Tridico fa la cosa più logica per chiunque conosca la politica calabrese: si sfila. Non vuole “bruciarsi” in una corsa con troppe incognite.
Meglio Bruxelles che Catanzaro, meglio l’Europarlamento che il palazzo della Cittadella.
E così, quando tutti aspettavano la sua incoronazione, Tridico dice no.
Lasciando la coalizione con il cerino in mano.
Un déjà-vu perfetto: la ricerca di un candidato che evapora proprio quando serve.
I NOMI RIMASTI SUL TAVOLO (che non scaldano nessuno)
Archiviato Tridico, restano sul tavolo:
Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria (PD), con consenso locale ma poca trazione regionale.
Vittoria Baldino, deputata M5S, fedelissima di Conte, che piace ai grillini ma non entusiasma gli altri.
Flavio Stasi, giovane sindaco di Corigliano-Rossano, cavallo di battaglia di AVS e outsider civico.
Poi ci sono i “nomi di scorta”: Nicola Irto, senatore PD che nessuno vuole candidare davvero (troppo bravo per perdere con onore, troppo debole per vincere);
alcune sindache come Mariateresa Fragomeni o Giusy Caminiti, ipotizzate come “vice” da mettere in ticket; persino il condannato Mimmo Lucano, evocato dagli attivisti più estremi ma restio a buttarsi nella mischia.
Insomma: a poche settimane dal voto, il centrosinistra non ha ancora un nome.
E non è un dettaglio.
I VETI, LE FAIDE E IL VOCALE CHE SCOTTA
Questa difficoltà nel convergere su un nome condiviso è sintomatica di divisioni profonde all’interno del centrosinistra calabrese.
Sulla carta la coalizione avrebbe i numeri per competere ma è frammentata in due tronconi con sensibilità diverse.
Da un lato il blocco principale comprende Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra (AVS); dall’altro c’è un’area più centrista-riformista aggregata attorno a figure locali come l’ex socialista Sandro Principe, sindaco di Rende che include PSI, Italia Viva, +Europa, Mezzogiorno Federato, alcune liste civiche e Azione (partito che paradossalmente nella scorsa legislatura regionale sedeva in maggioranza con Occhiuto).
Mettere insieme questo “campo larghissimo” è già di per sé un esercizio complicato; riuscire a mantenerlo coeso sulla scelta di un leader lo è ancora di più.
In particolare, la componente di sinistra ecologista (AVS) ha alzato la voce rivendicando il diritto di proporre il candidato in Calabria, unica regione in cui quel polo corre con un certo peso.
Fernando Pignataro, segretario regionale di Sinistra Italiana, lo ha detto chiaramente:
«L’onere della proposta per la Calabria spetta a noi di AVS, forza in ascesa a livello nazionale e regionale. Esigiamo pari dignità: non accettiamo accordi calati dall’alto né veti su una nostra scelta».
AVS spinge sul nome di Flavio Stasi, considerandolo il candidato più forte e “di bandiera” per la sinistra. Dall’altra parte il Pd calabrese inizialmente ha sposato la carta Tridico anche per arginare le pretese di AVS, proponendo un nome terzo che scombinasse le quote in coalizione.
Uno scontro sotterraneo è quindi esploso in pieno agosto, quando un lungo messaggio audio WhatsApp inviato da Pignataro ai dirigenti di SI è trapelato pubblicamente, gettando ulteriore benzina sul fuoco. In quel vocale di 11 minuti, il leader di SI accusa gli alleati:
parla di “gioco sporco dei 5 Stelle” che avrebbero lanciato la candidatura autorevole di Tridico pur sapendo che non avrebbe mai accettato, solo per poi ripiegare “scorrettamente” sul nome della deputata pentastellata Vittoria Baldino.
Allo stesso tempo Pignataro denuncia un “veto inaccettabile” posto dai dem sul candidato di AVS (Stasi), imputando a Nicola Irto e al Pd la volontà di escludere dalla corsa il giovane sindaco di Corigliano-Rossano.
«Non possiamo accettare un veto, a qualsiasi livello, nell’unica regione in cui poniamo candidature, mentre noi non abbiamo mai posto veti su nessun candidato del PD o del M5S. Siamo sempre leali», tuona Pignataro nel suo sfogo audio.
Parole durissime, che hanno irritato la segreteria nazionale Pd mentre i dirigenti dem in Calabria hanno definito “imbarazzante” il comportamento di Pignataro, accusandolo di divulgare ai militanti informazioni riservate e di minare la fiducia nella coalizione.
UN CENTROSINISTRA CHE CORRE… PER PERDERE
Tutte queste scene dipingono il centrosinistra come una coalizione condannata all’autosabotaggio.
Non c’è un candidato condiviso.
Non c’è tempo per una vera campagna sul territorio.
Non c’è fiducia nell’elettorato, già poco propenso a votare (nel 2021 andò alle urne appena il 44%).
Il resto lo fanno le debolezze croniche: niente classe dirigente locale forte, poca capacità di rinnovamento, scarso radicamento.
Sempre a caccia di un “nome esterno” (ieri la scienziata Amalia Bruni, oggi l’economista Tridico) perché in casa non si trovano figure in grado di reggere la sfida.
Il risultato è quello che in Calabria chiamano con amara ironia ‘na cursa a perdere.
Una campagna in cui si parte già rassegnati, quasi fosse un esercizio di sopravvivenza politica più che una reale contesa.
OCCHIUTO RINGRAZIA (e corre da solo)
Intanto, dall’altra parte, Occhiuto macina terreno. Ha liste civiche in abbondanza, sindaci come Enzo Voce pronti a sostenerlo e si prepara a un’altra vittoria comoda.
Lui è già in piazza, mentre il centrosinistra è ancora chiuso in una stanza a discutere chi deve parlare al microfono.
Una fotografia che racconta meglio di qualsiasi sondaggio perché la Calabria, da sempre, resta saldamente nelle mani del centrodestra.
FERRAGOSTO, LA CARTINA TORNASOLE DEL CENTROSINISTRA CALABRESE
Se c’era bisogno di una cartina di tornasole per capire cos’è oggi il centrosinistra in Calabria, è arrivata a Ferragosto.
Mentre il centrodestra macinava chilometri, comizi e manifesti, il “campo largo” ha scelto di chiudere le sedi e godersi il mare dal 14 al 18 agosto.
In piena bagarre elettorale, quando ogni minuto conta, loro hanno steso l’asciugamano sulla spiaggia.
Un gesto simbolico, più di mille analisi:
da una parte una macchina elettorale oliata, pronta persino a un piano B (Wanda Ferro?) in caso di impendimenti giudiziari nei confronti di Occhiuto; dall’altra un’armata Brancaleone che litiga sul nome del candidato e intanto pensa già a incastri futuri, candidature per le comunali, strategie personali.
A Crotone, per esempio, il PD ha chiuso bottega ma intanto ha deciso i nomi da mandare al consiglio regionale, con lo sguardo già puntato sulle comunali 2026.
È la fotografia perfetta di un centrosinistra che sembra nato per perdere:
più concentrato a giocare d’anticipo su piccole furbizie locali che a costruire un’alternativa credibile.
Ferragosto non è stato solo una pausa estiva, ma la metafora di un campo che preferisce la sdraio al confronto, il silenzio al coraggio, la vacanza alla politica.
E mentre loro litigano e si abbronzano, Occhiuto (o Ferro) ringrazia.









