Calabria 2025. L’inchiesta. La propaganda di Occhiuto calpesta il dolore e la Realtà

Il portale “Generazione” ha pubblicato una bella e approfondita inchiesta sulla Calabria di Occhiuto. Katia Sabbagh ha analizzato la strategia comunicativa di Occhiuto e ha passato in rassegna tutti i gravissimi problemi irrisolti della regione mettendo in modo spietato a confronto le cazzate e la realtà. Abbiamo suddiviso l’inchiesta in diverse parti, a iniziare dalla “strategia”. 

Per passare poi all’eterno disastro della sanità, che ormai è arrivato al punto di non ritorno. E al declino demografico che trascina la Calabria in una crisi irreversibile per tutti ma non per il parassita che ancora deve succhiare dalle mammelle pubbliche tutto quello che c’è rimasto da succhiare.

di Katia Sabbagh

Fonte: Generazione 

Le vicende politiche della Regione Calabria sono la sintesi della crisi amministrativa del paese Roberto Occhiuto ha fatto della guida della Regione Calabria un banco di prova per una comunicazione politica fortemente personalizzata, incentrata sul tema del “riscatto calabrese”. Dietro la forza delle parole e di un racconto ben costruito, però, si cela una realtà ben più complessa

Le dimissioni lampo di luglio 2025, a seguito di un’inchiesta per corruzione, e la contestuale ricandidatura segnano l’apice di una parabola in cui la potenza della narrazione ha sostituito il bilancio reale dell’azione di governo regionale.

QUARTA E ULTIMA PARTE: PROPAGANDA VS REALTÀ 

Il fallimento del PNRR

Se esiste un indicatore capace di misurare con precisione la distanza siderale tra retorica istituzionale e realtà operativa, questo è l’utilizzo dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in Calabria. I dati ufficiali smontano, cifra dopo cifra, la narrazione della “Calabria modello di efficienza” ossessivamente promossa dalla macchina comunicativa dell’amministrazione Occhiuto.

Secondo il report della SVIMEZ “PNRR Execution: le opere pubbliche di Comuni e Regioni”, la Regione Calabria occupa una delle ultime posizioni in Italia per capacità di attuazione del PNRR, con un misero 23,5% dei progetti effettivamente avviati rispetto agli impegni assunti. Un risultato che assume contorni ancora più imbarazzanti se confrontato con le performance dei Comuni calabresi, che hanno raggiunto un tasso medio di attuazione del 65,5% – quasi tre volte superiore a quello dell’ente regionale.

Questo divario non è solo statisticamente rilevante, è politicamente devastante. Dimostra che il problema non risiede in generiche difficoltà strutturali del territorio calabrese nel gestire i fondi europei, ma in specifiche e gravi carenze della macchina amministrativa regionale nella progettazione, programmazione e realizzazione degli interventi. Quando i Comuni riescono a fare meglio della Regione, il problema non è la Calabria: è chi la governa.

Strada Statale 106 Jonica: quando la propaganda calpesta il dolore

Tristemente soprannominata “strada della morte”, la SS 106 Jonica attraversa paesaggi di straordinaria bellezza lungo la costa ionica per 491 chilometri da Reggio Calabria a Taranto, ma la sua pericolosità è nota e documentata da decenni. Carreggiate strette, curve insidiose, attraversamenti urbani e tratti stradali risalenti all’epoca del fascismo ne fanno un’arteria ben lontana dagli standard europei di sicurezza.

Il confronto con le altre regioni attraversate dalla statale restituisce un quadro impietoso per la Calabria. In Puglia e Basilicata, i rispettivi 39 e 37 chilometri sono stati interamente ammodernati: quattro corsie, spartitraffico centrale, carreggiata larga 18,60 metri e dotazioni di sicurezza conformi alle norme UE. In Calabria, invece, la situazione è radicalmente diversa. Dei 415 chilometri complessivi, soltanto 67 – pari al 16% – sono stati adeguati. I segmenti ammodernati, distribuiti in maniera frammentaria, non modificano la natura complessivamente rischiosa dell’arteria, lasciando oltre 348 chilometri ancora da riqualificare. Le conseguenze di questo ritardo si leggono anche nei numeri della sicurezza stradale. La Gazzetta del Sud riporta che, dal 1996 al 2023, la SS 106 è stata teatro di circa 12 mila incidenti, con 27 mila feriti e oltre 750 vittime. Dati che non raccontano soltanto una tragedia umana, ma certificano il fallimento di decenni di politiche infrastrutturali.

Le cause dei ritardi affondano le radici in fattori strutturali che vanno oltre la politica contingente. Sul fronte giudiziario, l’operazione “Affari di famiglia” ha svelato il coinvolgimento della ‘Ndrangheta nei lavori di ammodernamento della SS 106; la più recente “Coccodrillo” (2021) ha documentato una collusione sistematica tra imprenditori e cosche mafiose con l’obiettivo di controllare gli appalti pubblici. Intimidazioni, danneggiamenti e la necessità costante di controlli antimafia rallentano inevitabilmente ogni intervento.

Su questo scenario si innesta la strategia comunicativa di Roberto Occhiuto, che ha posto la SS 106 al centro della propria narrazione politica. Nel marzo 2025, durante un incontro con il ministro Matteo Salvini, ha dichiarato: “Nei trent’anni precedenti era stato stanziato soltanto un miliardo. Negli ultimi tre anni siamo arrivati invece a 3,8 miliardi.” Un’affermazione di forte impatto, che alimenta l’idea di una svolta epocale. Tuttavia, la realtà dei lavori racconta altro. Il cantiere più avanzato è quello del Terzo Megalotto, tra Sibari e Roseto Capo Spulico: 38 chilometri di nuova arteria a quattro corsie per un investimento di circa 1,3 miliardi di euro. I lavori sono partiti a maggio 2020, prima dell’elezione di Occhiuto, e il completamento è previsto per agosto 2026, sei anni dopo l’avvio.

Per chi vive lungo la costa ionica, non si tratta di un tema da convegno, ma di una questione di vita o di morte. Alimentare aspettative irrealistiche attraverso comunicati trionfalistici, quando gran parte dei lavori è ancora in fase progettuale, non solo genera frustrazione e sfiducia, ma rappresenta una mancanza di rispetto verso le vittime, spesso giovani con sogni e progetti spezzati, e le loro famiglie. Per restituire credibilità, serve una comunicazione trasparente e dati certi: informare con onestà sui tempi, affrontare le criticità e garantire una pianificazione rigorosa è un dovere verso la comunità. Soprattutto quando in gioco c’è la sicurezza e la vita delle persone.

La “Calabria da vetrina”: quantità non vuol dire qualità

Un bilancio intellettualmente onesto non può ignorare i successi: sotto la presidenza di Roberto Occhiuto, la Calabria ha attratto una quantità senza precedenti di finanziamenti europei, segnando una svolta storica per la regione. Tuttavia, questo traguardo da solo non basta.

Se la difficoltà nel gestire i fondi del PNRR è un chiaro segnale di inefficienza amministrativa, gli investimenti settoriali mettono in luce un problema ancora più profondo: la falsa convinzione che aumentare la spesa corrisponda automaticamente a una maggiore efficacia.

Nonostante le dichiarazioni di investimenti record, l’effettiva capacità di trasformare queste risorse in sviluppo tangibile per la Calabria rimane limitata. La programmazione regionale mostra infatti l’assenza di una strategia integrata e una governance stabile. Senza strumenti adeguati per monitorare e valutare i progressi, gli investimenti rischiano di tradursi in spesa fine a se stessa, senza benefici duraturi per il territorio e per le comunità.

Il problema principale è la mancanza di una visione d’insieme che colleghi ambiente, turismo, infrastrutture e sviluppo economico. Ad esempio, gli investimenti nel settore turistico potrebbero rappresentare un’opportunità straordinaria per una regione ricca di patrimoni naturali, culturali ed enogastronomici. Tuttavia, gli aeroporti di Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone rimangono scarsamente interconnessi con il territorio regionale e poco accessibili attraverso trasporti pubblici efficienti. Il sistema ferroviario calabrese continua a essere caratterizzato da infrastrutture obsolete, tempi di percorrenza poco competitivi e scarsa integrazione con altri sistemi di mobilità. Anche il patrimonio culturale diffuso – aree archeologiche, centri storici, borghi antichi, musei – soffre per la mancanza di manutenzione adeguata, di personale qualificato e di progetti di digitalizzazione. Inoltre, non esiste un modello di turismo sostenibile e destagionalizzato. In sostanza: si investe nel turismo senza costruire le condizioni perché il turismo diventi davvero motore di sviluppo.

Il quadro che emerge è quello di una “Calabria da vetrina”, una regione che comunica efficacemente sostenibilità, innovazione e modernizzazione, ma che nella pratica quotidiana non riesce a costruire processi duraturi di vera trasformazione. Gli investimenti si trasformano in operazioni di marketing territoriale piuttosto che in reale rafforzamento delle capacità economiche e sociali del territorio.

LA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE NELL’ERA DELLA POST-VERITÀ: IL CASO DELL’AMMINISTRAZIONE OCCHIUTO IN CALABRIA

Secondo il sondaggio SWG, Roberto Occhiuto è al quarto posto nella graduatoria tra i governatori più apprezzati. Eppure, un interrogativo cruciale si impone quando si analizza l’attuale amministrazione calabrese: come può un governo regionale che presenta risultati concreti così deludenti mantenere un’immagine pubblica così positiva e solida? La risposta risiede nella già citata strategia comunicativa adottata dall’amministrazione Occhiuto.

Sul piano della comunicazione istituzionale, infatti, ha mostrato un’efficacia indiscutibile: presenza costante e strategica sui media nazionali e locali, costruzione di uno storytelling coerente e accattivante, attenzione maniacale al linguaggio utilizzato e alla cura dell’immagine pubblica. La comunicazione istituzionale tradizionale, orientata principalmente a informare i cittadini sulle attività dell’amministrazione, si è trasformata in vero e proprio marketing emozionale. L’obiettivo di questa strategia comunicativa va ben oltre la semplice informazione: punta a ispirare i cittadini, convincerli dell’efficacia dell’azione di governo, creare un legame emotivo tra la popolazione e la figura del presidente.

È l’era della “post-verità amministrativa”. Non si tratta di mentire apertamente, cosa che risulterebbe troppo grossolana e facilmente smascherabile, bensì di selezionare accuratamente gli elementi da comunicare, enfatizzando ogni piccolo successo e occultando sistematicamente le criticità. Questa strategia ha conseguenze profonde: genera una dissociazione tra la percezione pubblica e la realtà concreta vissuta quotidianamente dai cittadini. In Calabria, in particolare le nuove generazioni, sempre più orientate ai canali digitali, sono bombardate da immagini di una regione in rinascita, mentre al contempo devono fare i conti con disservizi evidenti come ritardi dei trasporti, carenze sanitarie, mancanza di opportunità lavorative e infrastrutture inadeguate. Così si creano due mondi paralleli: quello idealizzato dalla comunicazione istituzionale e quello reale.

Questa frattura non produce solo delusione individuale, ma mina la fiducia nelle istituzioni democratiche. Quando la distanza tra comunicazione ufficiale e realtà percepita diventa incolmabile, il rischio è la progressiva disaffezione verso la partecipazione democratica e il coinvolgimento civico. Per questo motivo, analizzare criticamente la comunicazione istituzionale non è un mero esercizio teorico, ma una necessità per preservare il buon funzionamento della democrazia.

La Calabria merita più di una narrazione perfetta. Merita politiche pubbliche efficaci, investimenti che si traducano in risultati duraturi, una classe dirigente che sappia trasformare le sfide in opportunità concrete. Merita, in sintesi, di passare dalla politica dello spettacolo alla politica dei risultati. Solo così potrà davvero diventare quella “Calabria che l’Italia non si aspetta” che era stata promessa e che continua a essere attesa. E i calabresi devono avere il coraggio di pretenderlo