Calabria. Le “prodezze” esilaranti della signora Alberti Casellati: due cognomi, una garanzia

Siccome al peggio non c’è mai fine, ieri in Calabria ha abbondantemente starnazzato (perché davvero non riusciamo a trovare un altro termine) Maria Elisabetta Alberti Casellati, attuale ministro delle Riforme nel governo Meloni ma già presidente del Senato e addirittura candidata a…. presidente della Repubblica in quota… Salvini. Sappiamo bene che alla soggetta non piace la satira ma il solo guardarla nei reportage dei media di regime ci ha fatto venire in mente le sue “prodezze” passate. Rievocate alla perfezione in questo vecchio ma oggi attuale pezzo di Salvatore Merlo su Il Foglio.

di Salvatore Merlo

Fonte: Il Foglio

Ci volevano Matteo Salvini e Maria Elisabetta Alberti Casellati, lo stratega compulsivo e la più improbabile delle candidate al Quirinale, per fare a pezzi e ridurre a satira l’epopea del cecchinaggio parlamentare, la vasta e tumultuosa saga del tradimento e del dolore che è stata la storia di Romano Prodi e di Franco Marini, di Giulio Andreotti e di Amintore Fanfani. Il macchiettismo come continuità della storia. C’era dunque ieri la presidente del Senato che di buon mattino, dopo aver ricevuto il parrucchiere, fatta la messa in piega e schiariti i capelli come nel giorno delle nozze, rafforzava la propria  sicurezza d’essere eletta al Quirinale  ragranellando gli ultimi voti. Indossato il fularone, con gli uffici del Senato chiusi, la Maria Elisabetta (detta la Betty) tirava giù dal letto la segreteria e i commessi per far autorizzare immediatamente l’ex grillino Elio Lannutti a costituire un proprio gruppo parlamentare tragicamente battezzato Italia dei valori, con dotazione di spesa, portafoglio e uffici. “Ecco una ventina di voti sicuri”. Come no. Poi, dopo una decina di telefonate ai senatori di Fraccaro e di Conte,  alle schegge impazzite dell’implosione grillina, rivolgeva le ultime attenzioni al Pd, al senatore Zanda, alla senatrice Rossomando, “dai su entrate in Aula”… E questo mentre Salvini, il fine stratega, intanto illustrava a tutti il suo piano di battaglia – “sono sicuro di avere almeno ottanta voti  dai grillini, e non solo”–malgrado da Forza Italia, più di qualcuno cercasse  di avvertirlo: “Guarda che quella non la votano i nostri, e forse manco i tuoi.

Sta sulle scatole a tutti. Ma li leggi i giornali? Urla, sbatte i pugni sul tavolo, ha litigato con mezzo Senato, pure con la Bernini e persino con la Ronzulli”. Ma niente. Niente da fare.  E allora alle 15, mentre in Transatlantico tutti sbadigliavano certi del tonfo, bisognava proprio osservarla, lei, la Betty, che ci crede, giacca blu su ombretto blu su mascherina blu. Eccola, che  strappa di mano le schede a Roberto Fico, con la destra, e intanto con la sinistra compulsa il cellulare per sapere dal suo portavoce Marco Ventura e dai collaboratori: “A quanto stiamo? Quanti ne ho?”. Una scheda nulla. “Sicuri che sia nulla? Uhm, vediamo”. Poi improvvisamente un voto per Tajani, uno spasmo. Un secondo voto per Tajani, un terzo, un quarto, un quinto, uno per Berlusconi, due, quatto, sette…  mezzo collasso. Arriva Daniela Santanchè. La guarda. La voce dolcissima della iena: “Poverina”, dice. “Che coraggio”, aggiunge. “ Io non ce la farei mai a stare lì”, conclude.

Fino allo sberleffo supremo: un voto pure a Nitto Palma. Ovvero al suo capo di gabinetto vessato, un ex ministro della Giustizia, niente meno, che pare abbia già presentato (e poi ritirato) le dimissioni  un paio di volte a causa del caratterino della presidente. Al punto che nessuno a Montecitorio è sicuro che sia ancora, in effetti,  il capo di Gabinetto. “Oggi che giorno è? Che ore sono?”. Infatti di solito Casellati lo sgrida esattamente come fa in Aula con i senatori (“Senatrice Bellanova,  stia zitta!”). Quindi il capo di gabineto si offende. Sbatte la porta. Se ne va. Poi però lei lo va a trovare e fanno pace. Con monotona pendolarità. E allora si capisce che quel voto a Palma è una coltellata. Nelle pupille. Spiega un deputato di Forza Italia: “Noi abbiamo votato scheda bianca, quei voti a Tajani, Berlusconi e Nitto Palma ce li ha messi Giorgia Meloni”. Chissà.

La giornata era iniziata così, con Salvini che suonava da solo le fanfare mentre nessun altro della sua coalizione, nella quasi certezza del flop, intendeva metterci la faccia. “Proporre la Casellati al Quirinale è un onore”, diceva, mentre già quelli di  Forza Italia facevano facile ironia su “Crudelia e i corazzieri”.  Ma non Salvini.  “Lei è il massimo”, insisteva lui. In effetti bisogna ammettere che anche Sgarbi l’aveva detto, profeticamente: Casellati è il massimo… del nulla. Ebbene la giornata leghista iniziata ringraziando la disponibilità della Betty è finita con il leghista Candiani che spiegava “l’incidente” così: “Lei si è voluta arrampicare a tutti i costi sul pennone per sventolare come una bandiera. E questi sono i risultati”. Tiè, donna al Quirinale. Ma questo accadeva alle 17. Alle 20 Salvini era di nuovo affacciato al balcone di Twitter. “Lavoro per un presidente donna al Quirinale”. Un’altra però