Catanzaro. Dall’inchiesta “Mafia e appalti” al blitz “Coccodrillo”: arrendetevi, siete circondati

Ogni volta che un elicottero alle prime luci dell’alba sorvola la città di Catanzaro, si realizza un altro pezzo di quel percorso di liberazione e di riscatto che il procuratore Nicola Gratteri e la Dda di Catanzaro stanno perseguendo con testardaggine, bombardando le collusioni e i potentati cittadini.

A volte ci domandiamo se i cittadini catanzaresi lo abbiano davvero capito o meno. Se hanno realizzato cioé, come anche quelli delle altre province calabresi, beninteso, che il loro futuro è ormai nelle mani della magistratura che si riconosce in Gratteri, per una mancanza totale di capacità e di coraggio di città ormai piegate su se stesse, vittime di una cappa di massomafia che ne è diventata il marchio a fuoco. Smettiamola con la favola degli italiani brava gente, perfettamente sovrapponibile all’idea che Catanzaro o Cosenza siano isole felici, perché non è così. Abbiamo toccato con mano, letto documenti, assistito alle conferenze stampa delle forze dell’ordine e, tutti hanno messo in luce che Catanzaro e Vibo sono le capitali della massomafia, Crotone e Reggio le capitali della ‘ndrangheta 2.0, che ha ormai entrature pesanti in tutto il mondo e Cosenza la capitale indiscussa della magistratura corrotta e del riciclaggio del denaro sporco che arriva dalle quattro città citate: un’organizzazione perfetta. Con protagonisti che inevitabilmente arrivano anche e soprattutto dallo stato deviato, e che spesso hanno “alloggiato” negli stessi uffici del procuratore Gratteri, apparendo persino insieme a lui nelle conferenze stampa.

E’ stato aperto, come direbbero gli inglesi, “open a can of worms” un barattolo di vermi e tutto quello che è venuto e sta venendo allo scoperto, dà una nuova lettura più vera della storia calabrese degli ultimi trent’anni. Quello che noi e prima di noi magistrati coraggiosi come Agostino Cordova, Salvatore Boemi, Luigi De Magistris e Federico Cafiero De Raho molto semplicemente avevamo chiamato “verminaio”.

Non c’è alibi per nessuno e nessuno può dirsi innocente. Per centrare la nostra attenzione su Catanzaro, diciamo che stiamo parlando (nel migliore dei casi) di politica collusa, economia e imprenditoria connivente, professionisti al soldo, infiltrazioni di ‘ndrangheta, prelati corrotti e massoneria deviata. Robetta da niente! La Dda di Catanzaro ha fatto la prima e parziale foto della città, dalla quale nessuno ne uscirà vincitore e spesso quelli che pensano di uscire vincitori nella fase del procedimento, sanno bene che hanno il destino di essere inceneriti non da soli, per fortuna, sul rogo della giustizia, ma in ottima compagnia dei colleghi della massomafia.

Gratteri, come accennavamo, sta proseguendo il lavoro iniziato all’alba degli anni Novanta da Agostino Cordova, continuato a metà dei ’90 da Salvatore Boemi, tra il 2004 e il 2008 da Luigi De Magistris e dal 2013 a oggi da Federico Cafiero De Raho. Loro prima di lui avevano scandagliato i rapporti tra la ‘ndrangheta o la mafia e il mondo della politica, dell’imprenditoria, dell’economia, dei professionisti e della massoneria. Ma i suoi predecessori non sono riusciti a portare a termine il loro lavoro. Fermati dai poteri forti.

Rinascita Scott, il processo che si sta celebrando quasi nel disinteresse generale dei mass media nazionali e locali, è un po’ l’antologia del crimine e delle infiltrazioni che hanno condizionato e condizionano il futuro della Calabria, dove Catanzaro e Vibo – come ha detto più volte lo stesso Gratteri – assurgono degnamente a capitali. La madre di tutte le battaglie, come i tanti osservatori definiscono lo sforzo di Gratteri, che in molti ai diversi livelli di responsabilità e di rappresentatività dello Stato, vorrebbero lasciare con il cerino in mano, ripetendo così quello che è accaduto con i suoi predecessori.

Nel frattempo, però, stanno cadendo i blasoni dei potentati economici, gli stemmi episcopali ed i casati della politica: polvere ormai dove ognuno cerca di nascondersi e di strillare, molte volte impunemente, la sua presunta, molto presunta innocenza. Queste sono Catanzaro e la Calabria mentre gli elicotteri la sorvolano…

C’è un grande assente nella narrazione dei fatti: l’informazione libera. E’ quell’assenza che invece dovrebbe fare la differenza perché capace di accendere le coscienze, di assolvere ad un servizio che è sempre pubblico quando esercita il diritto d’informazione, una mancanza “voluta” in tutta la Calabria, perché non si deve mai fare un torto alla dinastia dei don, leggibile in entrambi i modi.

Mentre l’informazione di regime, la stessa che ha perseguitato Cordova, Boemi e De Magistris, cerca di oscurare il lavoro di Gratteri, tace o bisbiglia in modo impercettibile ormai in tutta la Calabria, noi continuiamo nel nostro impegno di informazione. Cerchiamo di risalire la china della distrazione generale dei troppi moralizzatori dei lanci di agenzia, sempre presunti, incapaci per espressa volontà di bonificare, anche con la loro azione di giornalismo di denuncia, gli apparati burocratici che, in generale, sono più marci di una mela marcia.

A Catanzaro tutto questo è merce rara. L’informazione non scomoda la politica corrotta, i boss della sanità privata e la Chiesa imbrogliona perché e da questi che si drena il denaro, quello che resta una forma più o meno legittima di finanziamento parallelo alle testate giornalistiche, che devono sempre avere il gradimento del sistema massomafioso catanzarese. Specie quando fanno “paginate” di pubblicità a Claudio Parente o a Pierino Citrigno, i boss delle cliniche, quest’ultimo talmente potente da esercitare potere sia a Cosenza sia a Catanzaro, dominatore indiscusso del famigerato Tribunale del Riesame, tanto che in molti ormai lo chiamano “Strozzigno”. Così, tanto per gradire. 

In questa cornice di immobilismo morale le attività della Dda di Catanzaro si susseguono e richiamano in causa il volo degli elicotteri. Siamo passati nel volgere di pochi mesi da azioni di repressione di reati amministrativi come Gettonopoli, la vergogna del consiglio comunale di Catanzaro, ad azioni molto più articolate, che partendo da lontano sono planate sulla città mettendo a nudo il sistema, quella sorta di accordo non scritto, ma accettato da tutti che ha marcato gli ultimi decenni di storia cittadina.

L’ultima attività della magistratura cittadina, l’operazione “Coccodrillo”, non aggiunge e non toglie niente all’impianto già sottoscritto, ma è semmai la riconferma che a Catanzaro sono tutti padroni e capi bastone. Gli imprenditori Lobello (Antonio, Daniele e Giuseppe) sono stati arrestati dalla Dda di Catanzaro. I loro nomi non sono certo nuovi alle cronache catanzaresi. I Lobello finirono al centro di una inchiesta che poi fu archiviata ma dalla quale evidentemente sono comunque emersi elementi nuovi che hanno consentito di arrivare agli arresti di questi ultimi giorni.

Mimmo Tallini

In quella inchiesta i Lobello erano entrati con l’ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa insieme a politici e funzionari pubblici indagati dalla Dda. Tra questi spiccava il nome dell’allora assessore regionale Mimmo Tallini, ritenuto dall’accusa referente politico dei Lobello. Le intercettazioni raccolte durante le indagini avevano evidenziato una «attività di proselitismo di Daniele Lobello dai toni certo poco corretti» con organizzazioni di cene elettorali, ma anche «le conversazioni di Tallini evidenziavano la richiesta di appoggio elettorale rivolta ai Lobello».

L’inchiesta definita “Mafia e appalti a Catanzaro” secondo la Dda di Catanzaro nel 2007 mirava a scoprire l’ombra della criminalità organizzata nell’esecuzione di alcuni lavori pubblici eseguiti a Catanzaro e nella vicina Simeri Crichi, portata avanti dal sostituto procuratore Gerardo Domininijanni. In particolare i riflettori erano stati accesi sulla riqualificazione urbana di Corso Mazzini e delle vie vicine, la gestione e la manutenzione della rete idrica del comune di Catanzaro, due lottizzazioni private, la realizzazione della strada provinciale Zagarise-Soveria Simeri- bivio Guglielmina e la fornitura di cemento e mezzi industriali per la realizzazione del tratto Squillace-Simeri mare della nuova strada 106. Quarantasette gli indagati fra politici, dirigenti pubblici, imprenditori ed un alto funzionario dello Stato.

Ma è nel luglio 2014 che termina con una raffica di archiviazioni l’inchiesta che ipotizzava l’infiltrazione dei clan negli appalti del Comune di Catanzaro, così come riportato in un articolo del Corriere della Calabria dell’11 luglio 2014 a firma di Gaetano Mazzuca.

«Il giudice Assunta Maiore ha accolto la richiesta avanzata dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e del pm Vincenzo Capomolla. Tra le diverse posizioni archiviate, su richiesta dei magistrati della Dda, ci sono Domenico Tallini, oggi assessore regionale al Personale, all’epoca dei fatti consigliere comunale e vicepresidente della commissione consiliare Urbanistica, il consigliere comunale Carlo Nisticò, all’epoca dei fatti presidente della commissione Urbanistica, l’ex assessore Vincenzo Belmonte, ma anche Claudio Scardamaglia, Giuseppe Cardamone e l’ex sindaco di Simeri, Saverio Loiero, l’avvocato Piero Mancuso. Cadono, inoltre, le ipotesi accusatorie nei confronti degli imprenditori Antonio, Daniele e Giuseppe Lobello. In totale erano 47 le persone iscritte sul registro degli indagati, 29 dei quali coperti da omissis. Già in precedenza alcune posizioni erano state archiviate, come quella del vice prefetto Sebastiano Cento, altre ancora erano state trasmesse per competenza a Reggio Calabria. Nel capoluogo calabrese resterebbe ancora aperto un filone che riguarda il tentativo di alcuni indagati di venire a conoscenza di notizie coperte da segreto istruttorio attraverso alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine…

Nelle 11 pagine di decreto di archiviazione l’analisi del gip Maiore parte dal pesante reato di associazione mafiosa contestato agli indagati. Un’ipotesi, è spiegato, che si fondava essenzialmente sul risultato delle intercettazioni che, “invero, difetta di univocità di dati e di precisione”. Osserva il giudice che “da un lato emerge, con un buon grado di certezza, la vicinanza dell’impresa Lobello alla cosca reggina Mazzagatti-Rustico-Polimeni, oltre che con esponenti del clan Arena di Isola Capo Rizzuto. Al contempo – si legge nel provvedimento di archiviazione – difetta la dimostrazione, attraverso gli esiti intercettivi del procedimento, che le cointeressenze economiche e i rapporti di vicinanza siano stati la base su cui sarebbe stato costituito un vero e proprio sodalizio mafioso che, facendo proprio il metodo di intimidazione proprio delle associazioni di questo tipo, dotato di una propria autonomia, abbia mirato a condizionare l’attività imprenditoriale nel capoluogo di regione”. Caduta l’ipotesi di associazione naturale conseguenza è la perdita di consistenza dell’ipotesi di concorso esterno per politici e funzionari pubblici indagati dalla Dda. Tra questi spicca il nome dell’assessore regionale Tallini ritenuto dall’accusa referente politico dei Lobello. Le intercettazioni raccolte durante le indagini hanno evidenziato una “attività di proselitismo di Daniele Lobello dai toni certo poco corretti” con organizzazioni di cene elettorali, ma anche “le conversazioni di Tallini evidenziano la richiesta di appoggio elettorale rivolta ai Lobello”. Per il gip il fatto che le intercettazioni abbiano evidenziato l’interesse dei Lobello alla vittoria elettorale del gruppo Tallini (nelle elezioni attenzionate vincerà invece Rosario Olivo), “non è sufficiente per la configurabilità del reato di corruzione elettorale”.

Carlo Nisticò

Insussistenti elementi sufficienti a sostenere l’accusa”, così il giudice mette un punto sulle indagini che avevano riguardato l’interesse dei Lobello per alcune lottizzazioni nel Comune di Catanzaro. In questo caso la Procura aveva ipotizzato, a carico dei politici Tallini e Carlo Nisticò e degli imprenditori Antonio Lobello e Umberto Crivaro, il reato di concussione. Sostanzialmente, sintetizza il gip, l’ipotesi di reato si fondava sul fatto che “all’esito della competizione elettorale (maggio 2006) entrambi gli indagati (Tallini e Nisticò, ndr) assumevano ruoli di vertice nella commissione Urbanistica del Comune di Catanzaro e che, pur appartenendo a schieramenti politici diversi, avessero dimostrato – come è desumibile dalle intercettazioni – una certa ‘convergenza’ di tipo elettoralistico nel corso della campagna elettorale”.

Parallelamente i dialoghi intercettati hanno fatto emergere l’interesse di Lobello e Crivaro alla realizzazione di due lottizzazioni, una nel rione Fortuna, l’altra nei pressi del porto. In particolare per quest’ultimo investimento, oltre a coinvolgere un altro imprenditore, Claudio Scardamaglia, la famiglia Lobello pianificava un incontro che si sarebbe dovuto tenere tra un commercialista di Lido e “Domenico Tallini in quanto gli dovevano parlare per quel discorso qua… della Marina”. Intercettazioni successive, scrive ancora il gip, evidenziano come “a fronte della necessità di investire l’esponente politico per l’avvio dell’attività lottizzatoria, i Lobello si rendevano disponibili a raccogliere le preferenze in suo favore nella fase conclusiva della campagna elettorale in atto”. Secondo il giudice, comunque, “sebbene in astratto possa sospettarsi qualcosa di illecito, la sola necessità di richiedere un intervento da parte dell’esponente politico in merito a un’attività di lottizzazione non è sufficiente a dimostrare ‘indebite pressioni’ che comportino violazioni di legge”.

Tra l’altro, evidenzia il gip, “nessuna attività di indagine risulta compiuta sul punto e, quindi, non si comprende se effettivamente vi siano stati ostacoli da superare grazie alle pressioni indebite dei politici”. I colloqui tra gli imprenditori, è spiegato nel decreto di archiviazione, “dimostrano come i Lobello fossero convinti di avere diritto a una sorta di credito derivante dall’appoggio elettorale, ma certamente non dimostrano che gli indagati abbiano esercitato pressioni indebite sui soggetti preposti alla trattazione del procedimento che non sembra siano mai stati escussi”. Scendendo nel particolare, l’interessamento del consigliere comunale Nisticò sulle due lottizzazioni non basta a dimostrare l’ipotesi di reato: “Ancorché possa apparire irrituale la sua condotta di ritirare lui stesso ‘le lettere’ che riguardavano i due interventi e consegnare i documenti a uno dei due imprenditori di riferimento, nonché l’invito a ‘festeggiare insieme’ per la definizione positiva del procedimento relativo a un’attività lottizzatoria in capo a un privato”. “Risulta ancora – scrive il gip Maiore – che il Nisticò fornisse a Lobello e a Crivaro indirizzi comportamentali, che ove non attuati, avrebbero potuto determinare l’applicazione nei confronti dei medesimi di sanzioni, nonostante egli fosse componente della commissione edilizia, ma non sembra che siano stati approfonditi gli aspetti relativi a possibili conflitti di interesse per essere stato lo stesso indicato come il vero progettista dell’opera e quindi la configurabilità di abusi di ufficio che, peraltro, sarebbero verosimilmente prescritti”.

Altro punto centrale dell’inchiesta erano i lavori di ristrutturazione di corso Mazzini a Catanzaro. In questo caso la consulenza tecnica ha evidenziato le anomalie e le gravi inadempienze dell’Ati, formata dalle imprese Lobello e Torchia, nella realizzazione dell’appalto. L’accusa originaria ipotizzava che il responsabile unico del procedimento, il dirigente comunale Vincenzo Belmonte, pur a conoscenza delle negligenze non abbia irrogato le sanzioni previste dal contratto. Le stesse intercettazioni telefoniche, a parere del gip, dimostrano, però, che il funzionario del Comune sollecitò più volte l’impresa a rispettare gli accordi tanto da suscitare la reazione degli imprenditori con conversazioni che “assumono quasi un carattere intimidatorio” e ad apostrofare Belmonte con il termine “fetuso”. Elementi che contrastano, quindi, con le ipotesi di accusa.

Ma questo filone di indagine ha coinvolto anche alcuni esponenti politici. Dopo la vittoria alle elezioni del maggio 2006 del centrosinistra, il neo sindaco Rosario Olivo decise di rescindere il contratto con l’Ati Lobello-Torchia. A quel punto gli imprenditori avvicinarono “ogni loro possibile conoscenza o aderenza al fine di ottenere notizie e mediazioni affinché la vicenda avesse per loro un esito positivo”. In questo contesto la Procura aveva posto attenzione agli interventi in aula di Tallini e Nisticò che avevano perorato la causa dell’impresa sostenendo il rischio di un danno alle casse comunali. Per il gip “non appare configurabile la fattispecie di reato rispetto al fatto che Tallini e Nisticò, in qualità di consiglieri comunali, abbiano perorato le ragioni dell’Ati, a fronte delle inadempienze contrattuali realizzative ed esecutive dagli stessi conosciute”. Secondo il giudice, comunque, “appare evidente ‘l’interesse politico’ del Tallini ad assumere la tutela in consiglio del Lobello, in quanto in una conversazione ricordava a Daniele Lobello di ‘attivarsi fattivamente e celermente’ per avviare la campagna di tesseramento politico in Simeri Crichi e Soveria Simeri, in favore della compagine politica dello stesso Tallini. In definitiva il giudice del Tribunale di Catanzaro ritiene che l’attenzione dell’attuale assessore regionale in favore dell’impresa “sia intervenuta in ragione della vicinanza politica, del sostegno elettorale e della manifesta volontà del Lobello di avviare la costituzione della sede della formazione politica cui aderiva il Tallini in Simeri e Soveria e non certamente per interessi dell’ente comunale o della collettività: ciò consente di configurare al più una condotta politicamente deprecabile ma non anche penalmente rilevante”.

Archiviate anche le posizioni dei due legali della famiglia Lobello, l’ex sindaco di Simeri Crichi Saverio Loiero e l’avvocato Piero Mancuso. Per il primo il gip sottolinea l’inopportuna duplice veste di amministratore e legale “specie con riferimento alla pratica di rilascio della certificazione antimafia di una ditta che intratteneva o avrebbe potuto intrattenere rapporti con il comune dallo stesso presieduto”. Tuttavia il giudice esclude che Loiero abbia posto in essere condotte illecite a vantaggio dei Lobello. Nei confronti di Mancuso, invece, c’era solo una intercettazione dal “tenore equivoco” che non dimostra l’ipotesi investigativa».

Quello che ritorna è la caratteristica di molte inchieste che hanno interessato la città di Catanzaro e molti suoi rappresentanti politici: la commistione “stretta” fra ambienti imprenditoriali molto vicini ad ambienti di ‘ndrangheta e un arcipelago politico abbastanza noto ormai, molto vicino alla gestione dell’amministrazione comunale. Quasi tutti i reati che vengono contestati dalla Dda di Catanzaro ieri come oggi, anche nella vicenda dei Lobello hanno sempre una radice comune, quella dell’intestazione fittizia di beni, del riciclaggio, autoriciclaggio ed il concorso esterno in associazione mafiosa. Eppure Catanzaro era considerata un’isola felice…

Sono i militari del nucleo di polizia economico-finanziaria del GICO della Guardia di Finanza di Catanzaro che hanno evidenziato i gravi indizi a carico degli imprenditori catanzaresi Lobello che operavano direttamente o indirettamente attraverso un sistema di società che risultavano formalmente intestati a terzi, ma che erano invece nella loro disponibilità diretta gestionale ed anche patrimoniale. Quello che risulta e ritorna è quel filo che collega sempre il sistema, perché di sistema stiamo parlando con ambienti della politica cittadina e, ad altre inchieste, alcune chiuse altre ancora in essere, che ci presentano un ambiente economico, sociale e politico profondamente inquinato dalle locali di ‘ndrangheta che hanno il loro riferimento geografico nella zona del crotonese, ma che hanno trovato in città accoglienza ed una solidarietà diffusa.

Le connotazioni collusive e la capacità di mutare pelle adattandosi alle diverse esigenze per rispondere agli interessi delle cosche, sono le caratteristiche ed una costante in tutte le attività di investigazione della Dda di Catanzaro. Quelle evidenze che ritroviamo nelle indagini Aemilia, Kyterion e che lentamente ci riportano alla città di Catanzaro con le più recenti Farmabusiness e Basso profilo.

La collaborazione e l’interesse con la politica e con un sistema riconosciuto si mutua, attraverso il gioco delle società intestate a teste di legno, delle cartiere, del riciclaggio e l’intestazione fittizia di beni. Ritornano in mente le strutture piramidali già viste e conosciute sempre per l’attività della Guardia di Finanza risalente agli anni 2014/2016, quindi non tanto lontano dagli incroci che abbiamo già citato archiviati nel 2014, anni nei quali erano proprio i Lobello ad effettuare importanti lavori pubblici nel Comune di Catanzaro, da sempre feudo e regno indiscusso del sistema Catanzaro e dei soci di maggioranza Tallini e Abramo. È per questo che non stupisce l’interessamento dei Lobello nelle campagne elettorali comunali e l’appoggio a Tallini, per come non è assolutamente un segreto che proprio dal Comune di Catanzaro partivano le azioni utili e di sostegno, attraverso il coinvolgimento delle ditte “amiche” a rafforzare elettoralmente e non solo, la candidatura proprio di Tallini, perché era Abramo ad organizzare le riunioni collegiali dei cosiddetti fornitori dell’amministrazione.

Non è questa una scoperta perché è il metodo consolidato di chi, fino a ieri, si sentiva potente, pensando di avere l’ultima parola anche sul futuro di una città, quella di Catanzaro, che ancora oggi dimostra la sua meschineria e la sua sudditanza. Eppure dovrebbero essere gli “altri” ad arrendersi, quelli che nei fatti sono circondati dall’attività del procuratore Gratteri e, non già, la città di Catanzaro.