Catanzaro e la massomafia. Tallini, non ti crede più nessuno: ora arriva la resa dei conti

E’ l’inizio del grande inverno nella città di Catanzaro, il sistema Catanzaro vacilla non solo sotto i colpi di Nicola Gratteri, ma anche perché è iniziata la gara di successione e di conquista di quello che per oltre un trentennio è stata territorio di conquista di Mimmo Tallini, che ormai viene considerato sepolto sotto i detriti delle inchieste della magistratura.

Quella stessa magistratura che nel fascicolo di indagine di Farmabusiness, così lo fotografa: «E’ fondamentale evidenziare il carattere particolarmente accorto e scaltro del TALLINI nel prevenire i rischi di essere intercettato. …[omissis] invece, il dato indiziante è costituito dalla sicurezza di avere meritato così tanta attenzione da parte della polizia giudiziaria. La sicurezza che il “Mimmo” che aveva inviato lo SCOZZAFAVA a non parlare al telefono fosse proprio TALLINI…[omissis]».

C’è negli inquirenti la conoscenza della furbizia di Tallini, quello che grida urbi et orbi la sua estraneità a locali di ‘ndrangheta e che sottolinea la sua grande passione per la politica, sorvolando però su tutto quello che nella politica si incrocia e sulle grandi occasioni, delle quali anche lui né è stato testimone e scelto. Questo è un elemento che è caratteristico di un certo panorama politico, quello che finge di difendere la legalità e sotto, sotto fa affari, ma dice sempre di non conoscere, di non avere compreso. Questo è il sistema Catanzaro, quello che garantisce la massomafia e quindi anche la ‘ndrangheta e che trova in Tallini e nel “pentito” Abramo il vertice e la sommatoria degli interessi dei singoli clan.

Tallini non sapeva, Abramo non conosceva. D’un tratto ed all’improvviso due  verginelli? Oppure le mazzate di Gratteri cominciano a fare tremare anche a loro il culo?

Di certo la procura di Catanzaro crede a poco di quanto dice Tallini, non crede alla sua cosiddetta buona fede: «Si tratta di un ulteriore elemento che dimostra che TALLINI non voleva contatti diretti con i “soci” Cutresi, conoscendone le dirette implicazioni mafiose e le contiguità; era attentissimo a non farsi compromettere, ma al contempo accettava di salire sullo stesso carro imprenditoriale sistemandovi il figlio Giuseppe, ben sapendo che quella operazione gli avrebbe fruttato una messe di voti. E’ quindi ragionevole concludere che, come accade nell’occasione dell’incontro del successivo 28/10/2014, già commentato, TALLINI si fosse volontariamente sottratto a rischi di intercettazioni ed a frequentazioni imbarazzanti, pienamente consapevole come era della reale composizione del gruppo imprenditoriale che si stava profilando ».

Ma chi ci crede che l’inchiesta, quella “fatta con i piedi” come ha detto Tallini sia un bluff e che le dichiarazioni video dell’indagato hanno un profilo di verità?

Non ci crede nessuno e non ci crede nemmeno la città di Catanzaro, che finalmente vede la luce, che spera di poter superare il cappio, dove i maggiori tifosi di questa nuova liberazione sono proprio quelli, i tanti, che fino a ieri facevano la fila dietro la porta di Tallini, quella folla di questuanti che rappresentano la sintesi cittadina, quella che dimentica al cambio del vento. Come peraltro ha subito fatto proprio il sindaco Sergio Abramo, quello che si dice contento del voto attribuitogli da Tallini, lo zero, che afferma di governare da oltre venti anni, dimenticando però che la sua elezione ed il suo presunto buon governo è stato da sempre promosso, sostenuto e orientato proprio da quel Tallini che Abramo ha cercato di scaricare  nell’indifferenziata.

Mimmo Tallini da Catanzaro è il principe degli impresentabili, sputtanato persino da quell’inutile organo della Commissione Antimafia, che a poche ore dal voto delle ultime regionali lo aveva messo sulla graticola. Ma Tallini è passato lo stesso e adesso, dopo essersi vantato da perfetto sbruffone con i suoi compari che sarebbe diventato addirittura il presidente del Consiglio regionale (o comunque – e ancora peggio – assessore), ha coronato il suo “sogno” di essere nominato presidente quasi a simboleggiare – laddove ha già messo le sue chiappe truffaldine – la corruzione che dilaga nella nostra martoriata regione.

Quel metodo perfettamente esportato al comune di Catanzaro con l’approvazione del sindaco Sergio Abramo, che insieme a Tallini è l’architrave del sistema Catanzaro, quello degli amici degli amici, delle ditte amiche e dei compari consiglieri comunali: quelli che in una logica di spartizione territoriale ed elettorale, hanno svolto l’esercizio dell’affido e della tutela dell’imprenditoria catanzarese.

Farmabusiness è stato soltanto il tappo, quello saltato improvvisamente, che ha disvelato e sta disvelando il vero volto della città capoluogo di regione e capoluogo della massomafia. E’ la pietra d’inciampo che ha fatto conoscere la piramide del potere di Tallini e l’organigramma dei suoi affari, quelli consumati insieme a tanti funzionari e dirigenti del comune di Catanzaro, con l’aiuto dei tanti consiglieri comunali messaggeri dell’illegalità, con l’aiuto dei suoi delfini politici e teste di legno di intestazioni fittizie, ma soprattutto con l’aiuto del sindaco Abramo. Sì, di quel sindaco Abramo che si scopre, dopo gli arresti domiciliari al suo socio Tallini, garantista e trasparente, tanto da prendere le distanze da quel sistema che insieme hanno clonato sulla città.

Finisce l’epoca della dolce vita catanzarese, ci si avvicina a passi veloci verso la resa dei conti, dove tutti si scoprono vittime e carnefici, dove tutti dimenticano e la delazione, anche quella urlata davanti alle telecamere assume un valore. E’ la manifestazione scomposta dell’esercizio del potere, che nel suo esercizio, sempre illegale, passa dalle lusinghe alle minacce.

La sensazione e la certezza è una sola, che l’onda tellurica è prossima, che il terremoto sta per abbattersi sulla città. Da questo evento neanche tanto improvviso, si avrà la lettura completa della piramide del malaffare cittadino, quella parte ancora non disvelata, dove hanno allocazione le tante ramificazioni di affari con le ditte amiche, in un rapporto simbiotico con la massomafia dalla quale neanche Abramo è distante e immune.

Il vero nemico per la difesa del sistema Catanzaro è il tempo, quello che sembra ormai mancare.

Tutti sanno bene che ormai la procura di Catanzaro è sulle loro tracce, che presto dovranno chiarire i contorni della vicenda, dove il concorso esterno all’associazione mafiosa può anche essere una svista, una leggerezza di Tallini, ma che il reticolo di interessi, di incroci, di cartiere, di società fantasma, di riciclaggio, di fondi neri non sono sviste, sono la sintesi del sistema Catanzaro. Quel metodo di “buon governo” quello che dice Abramo, che ha cementificato la città di Catanzaro, dove i costruttori erano sempre i soliti, quelli del cerchio e della piramide di Tallini, quelli che insieme a quei funzionari che non solo Abramo aveva promosso, hanno gestito per decenni il rilascio delle concessioni edilizie, intorno alle quali sono nate società – come l’Olimpo srl –  e sodalizi lunghi anni. Anche di questo si dovrà parlare, si dovrà chiarire, quando gli urli non hanno sostanza, perché restano una misera strategia di confondere la realtà, cercare di correre in avanti di superare il tempo, di organizzare una possibile discolpa, dimenticando però che la storia è un’altra e le tracce resistono.

Chi avrà le carte in regola le metterà sul piatto, mentre chi le carte le ha sputtanate dovrà tacere, rispondere e chiarire quali e quanti sono i buchi neri della storia di Catanzaro, la città della massomafia.

Tutto non si esaurisce alla sfida all’arma bianca lanciata da Mimmo Tallini via web, non si chiude nella sceneggiata napoletana del faccia a faccia che lui chiede con quelli che ha definito come nemici, vigliacchi e “collaboratori di giustizia”, nel tentativo di fare scadere tutto ad una commedia dell’impossibile, dove l’unico punto da cui partire è l’inconsistenza dell’indagine fatta da quei Pm che hanno messo in predicato la buona fede proprio di Gratteri.

Il “fu” kingmaker del mondo di mezzo e del sistema Catanzaro, Mimmo Tallini parte dal dispositivo del Tribunale del Riesame del 15 dicembre 2020, che ha annullato l’ordinanza emessa dal gip di Catanzaro che disponeva gli arresti domiciliari a suo carico, perché indagato per concorso esterno e voto di scambio politico mafioso nell’ambito della inchiesta della Dda di Catanzaro “Farmabusiness”.

In questo teorema della declinazione massomafiosa tutto si è esaurito, tutto si è ricomposto, nulla è successo tranne il solito metodo di aggressione di quel partito dei Pm, il cui leader è proprio Nicola Gratteri, incensato in presenza, ma odiato nelle retrovie dove il coro diventa sempre meno assortito, fatti salvi i soliti traffichini della politica, i soliti servitori dello Stato venduti, i soliti imprenditori massoni ed i colletti bianchi anche del tribunale di Catanzaro.

Tallini dimentica che il tribunale di Catanzaro non è certo immacolato in tema di legalità, che le relazioni pericolose e conniventi sono state una misura ed un metodo per tanti e troppi anni, che anche lui, così come facevano tutti, aveva creato una rete di protezione nel palazzo di giustizia, attraverso alcuni giudici, diciamo sensibili, come scriveva Lucio Musolino su Il Fatto Quotidiano nel giugno del 2012 (http://www.iacchite.blog/calabria-2020-quando-tallini-favoriva-la-moglie-del-giudice-corrotto/).

Per quella vicenda, alla fine, a pagare per tutti fu Franco Morelli, il compare del mio compare… Tallini ne è uscito alla grande e finanche dopo il tracollo del suo ex presidente Scopelliti, si è rimesso in carreggiata e nel 2014, nonostante la disfatta del centrodestra, è stato eletto. Così come nell’ultima tornata elettorale. Fosse per lui, per il re degli impresentabili, si candiderebbe ancora anche ad aprile ma sta diventando sempre più difficile trovare qualcuno che lo candidi sotto le sue insegne. Persino l’Udc “refugium peccatorum” gli ha detto di no, preferendogli la figlia di Sculco (!), che è quanto dire…

Che il tribunale di Catanzaro sia ormai zona rossa e che tante vecchie pratiche siano estinte dopo l’arrivo di Gratteri è ormai cosa certa. Per come è cosa certa che certe “assoluzioni” di un certo Tribunale del Riesame, siano quanto meno discutibili non tanto per le motivazioni, quanto per i giudici che ancora vi operano. Funziona così il sistema Catanzaro, amicizie, favori, mazzette e sentenze comprate, dicono i pentiti e i testimoni. Una “congrega” appunto per usare le parole di Mantella, ex della ‘ndrangheta.

A svelare il metodo e la procedura del Tribunale del Riesame del capoluogo di regione c’ha pensato l’articolo del giornalista d’inchiesta Giovanni Tizian, del 17 dicembre 2020 sul quotidiano “Domani”. Quanto viene affermato che rappresenta il sistema Catanzaro è di una gravità inaudita eppure non è stato ripreso dai media di regime calabresi. Perché? Perché è molto scomodo, chiarisce quanto sia grave il problema della corruzione della magistratura in Calabria, e spiega perché tanti delinquenti vengono subito scarcerati da un Tribunale del Riesame il cui presidente, Giuseppe Valeacontinua ancora oggi a “liberare” gentaglia come Tallini. Ma è importantissimo anche perché smaschera il ruolo di certi avvocati penalisti che “comprano” le sentenze a tanto al chilo per boss e colletti bianchi, che andrebbero subito radiati dall’Ordine.

Essere assolti o condannati è solo questione di denaro. Ed è quello che accade da tanto tempo nei tribunali calabresi dove le sentenze si vendono tanto al chilo. Una situazione fuori da ogni controllo che determina però la vita politica, economica e sociale dei nostri territori. Nessuno vuole metterci mano, e le inchieste di Salerno fanno fatica ad andare avanti, questo Tallini lo sa bene, lo conosce per memoria e per aver già conosciuto l’oblio di alcune pratiche, sempre grazie alla lentezza della macchina giudiziaria, quella ben oliata unita alla scarsa velocità del tribunale di Salerno. Fare il guappo davanti alle telecamere è semplice, troppo semplice ed allo stesso tempo troppo pericoloso, perché il tempo è cambiato, il tempo non c’è e Gratteri non è il giudice Valea o qualche altro suo degno compare con la toga.

Forse è arrivato il momento per il dottor Gratteri di parlarci di questa magistratura, così come ha fatto con i burocrati più pericolosi dei mafiosi, i massoni deviati e i politici corrotti, come Tallini. Forse è arrivato il momento di dire come stanno realmente le cose all’interno delle nostre procure e aule di tribunale, con particolare attenzione a quelle di Catanzaro e di Cosenza, per troppi decenni porti delle nebbie e dei fascicoli dimenticati negli armadi.

La politica del sistema Catanzaro ha pensato e pensa ancora di rigenerarsi, pur sapendo di essere sotto i riflettori della procura di Gratteri?

Immaginare un nuovo parterre da presentare come facce nuove e pulite è un azzardo, un miserevole tentativo di riciclo sfacciato ed altamente criminale, perché si dimentica che le portate sul piatto della procura cittadina sono ben più golose e che tante di queste sono state messe in cottura in altre situazioni, in altri tempi quasi storici, quando si era intercettato ed indicato il sistema di collusione e di illegalità, la vera caratteristica della gestione nel comune di Catanzaro.

Tallini questo lo sa bene, conosce perfettamente la qualità e la materia che può essere spesa, per come conosce altrettanto bene che molta di questa materia è inutile, perfettamente scaduta nel tratto e nella prospettiva. C’è una coscienza non sbandierata che la fine è prossima, che il sistema Catanzaro è sull’orlo del burrone, che cercare di riciclare qualche coglione è l’ultima opzione, dopo la quale resta l’Harakiri.

Come abbiamo più volte ribadito il vero ostacolo alla conservazione ed alla replicazione del sistema Catanzaro è il tempo: quello che ormai sembra mancare o quello passato che ha generato e messo in evidenza i momenti di crisi del sistema Catanzaro.

Era il 26 novembre 2015 quando il consigliere Eugenio Riccio, Sovrintendente dell’Arma dei Carabinieri, in un Consiglio comunale metteva, forse anche inconsapevolmente, in luce l’esistenza del sistema Catanzaro. Il casus belli che scatena Riccio è quello delle cosiddette “procedure negoziate”, un procedimento che diventa discrezionalità dei singoli funzionari comunali che affidano i lavori ad una serie di ditte – le solite “ditte amiche” – sempre le stesse immodificate nel tempo. Infatti Riccio afferma «E’ grave sentire al contrario quando si parla di procedure affidate per un rapporto fiduciario, cioè il rapporto fiduciario è un istituto giuridico che io per la prima volta lo sento oggi in quest’aula, non mi risulta che esiste il rapporto fiduciario, lo apprendo oggi in quest’aula e ne prendo atto».

In quella data proprio Eugenio Riccio era stato il primo a mettere in correo il comportamento di alcuni funzionari comunali (non solo quelli voluti da Abramo) che rispondendo alle indicazioni di alcuni esponenti politici, attuavano procedure e metodi, quelli che nel tempo abbiamo scoperto essere i comandamenti del sistema Catanzaro. Era tale il grado di infezione e di pericolosità sanitaria che proprio Riccio affermava: «…io ho questo senso civico che, come dire, mi consente di non girarmi dall’altra parte, certo poi ho un problema medico di dermatite, stare qua in quest’Aula, magari vicino a qualcuno che, insomma, in altre città, in altri contesti diciamo urbani normali, avrebbe un foglio di via politico».

Chi erano i soggetti che all’interno del comune di Catanzaro e del suo Consiglio comunale erano da considerarsi positivi, tali da scatenare quella pandemia che dopo si è chiamata sistema Catanzaro?

Quello che fino a ieri poteva sembrare “il Segreto” non quello di Donna Francisca, ma quello del sistema Catanzaro, oggi si disvela e mette spalle al muro tutto il cucuzzaro, quelli che oggi urlano e quelli che ieri come oggi, stanno muti perché complici fino al midollo. Se allora le parole di Riccio: «…A mio avviso, quando si viene a conoscenza di fatti particolarmente gravi ed allarmanti che possono verosimilmente assumere una rilevanza penale è doveroso rivolgersi alla Magistratura», non hanno generato nessuno scatto di dignità e soprattutto non hanno imposto a chi doveva di volgere lo sguardo, lontano da distrazioni tecniche, oggi i risultati sono conosciuti ed i fatti sono disvelati. Così sappiamo che il soggetto pruriginoso capace di scatenare reazioni allergiche altri non era che proprio Mimmo Tallini, consigliere comunale di lungo corso e dominus della città di Catanzaro. Mentre quello che avrebbe dovuto difendere la città dal malaffare, quello che proprio Riccio denunciava in Consiglio comunale, altri non era che il sindaco Sergio Abramo, quello che oggi si è riscoperto giustizialista, ma che nei fatti era complice e sodale di Tallini e di quello che era il sistema Catanzaro.

Se questi sono i fatti hanno entrambi poca vita e poca possibilità di sollevare il popolo su un carisma ormai evaporato. Non sarà il Che Guevara Tallini a riscattare a colpi di insulti la sua credibilità, come non riuscirà nemmeno il Masaniello Abramo a raccogliere intorno a se, i suoi seguaci da transumanza e riprendere il potere cittadino, ormai compromesso alle fondamenta dalla procura di Catanzaro, che ha messo fuori gioco Tallini, che ancora grossolanamente non l’ha capito…

Dopo il 19 novembre 2020 il mondo è cambiato ed il sistema Catanzaro ha ormai le ore contate nell’incedere di quel tempo, che ormai è considerato l’ostacolo ed il vero nemico per il mantenimento di un reticolo di interessi e di complicità. I pezzi ormai stanno cadendo ed il rumore si avverte nella città capoluogo di regione, perché i calcinacci dal Consiglio regionale della Calabria sono ormai diventate le macerie che imbrattano e non abbelliscono le cartoline cittadine. Sono ormai pochi quelli che ancora non hanno capito, che è tempo di restituire il maltolto e di vestire il saio del pentimento…

La paura è il sentimento più diffuso nell’ambiente della politica cittadina, quella che si è distinta poco più di un anno addietro per la vicenda Gettonopoli, dove molti degli attori si sono rivelati assolutamente sfacciati. Ci sono quelli che hanno rivelato al mondo la loro misticità con il dono della bilocazione come il consigliere Giuseppe Pisano, quello che insieme a Francesco Gironda anche lui consigliere comunale ed all’ex consigliere regionale di Forza Italia, Claudio Parente, venivano raggiunti dal provvedimento emesso dalla Procura di Catanzaro, in quella che viene definita “operazione Corvo”.

Un altro capitolo della storia infinita del sistema Catanzaro, quello che distruggendo una città ha cercato negli anni di garantire gli amici, tutti quelli che faceva parte, mai a titolo gratuito, della ditta.

Claudio Parente, il boss delle cliniche truffa in Calabria, è dentro fino al collo nel nuovo capitolo del sistema Catanzaro, quello che passa dal tentativo di rubare alla collettività, magari pagandoli pochi spiccioli, dei terreni di proprietà comunale, sui quali da ormai vent’anni senza aver mai costruito nulla, ha opzionato ogni possibilità insieme al suo storico socio imbroglione Massimo Poggi, attraverso la loro associazione “a delinquere” Vivere Insieme.