Catanzaro. La trattativa mafia-stato per “eliminare” De Magistris: ecco la loggia coperta dei magistrati

Luigi De Magistris ha dichiarato più volte che se non si farà piena chiarezza sulle modalità con le quali è stato eliminato dal sistema massomafioso quando ne aveva scoperto gli ingranaggi, in Italia non ci potrà essere democrazia. La corruzione della magistratura è la madre di tutte le battaglie perché è da lì che poi si scatenano con effetto domino tutti gli altri eventi che hanno portato la nostra regione nel baratro delle logge coperte dei massomafiosi. Perché solo con l’appartenenza ad una loggia coperta di magistrati si può giustificare quanto è accaduto a De Magistris quando ha scoperto la verità senza possibilità di equivoci o di compromessi.

I protagonisti di questo racconto rappresentavano allora come oggi i vertici dello stato italiano e sono tutti attivamente coinvolti per neutralizzare Luigi De Magistris.

Il ministro della Giustizia Clemente Mastella era coinvolto nell’indagine Why Not prima che chiedesse il trasferimento di Luigi De Magistris che indagava su di lui ed era a conoscenza dell’inchiesta. Inoltre, nell’indagine era anche indagato il presidente del Consiglio Romano Prodi. Ebbene, il ministro coinvolto nell’indagine chiede il trasferimento urgente del pm che indaga sul suo presidente del Consiglio e su di lui stesso, seppur ancora non formalmente iscritto nel registro degli indagati.

Nell’indagine Why Not compare anche il nome dell’allora presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Simone Luerti in quanto in rapporti con uno dei principali indagati, Antonio Saladino, referente della Compagnia delle Opere per il Sud Italia. Si dovette dimettere perché pubblicamente disse cose non corrispondenti al vero poi smentite dagli atti dell’indagine. In particolare, dalle agende sequestrate a Saladino emergeva il suo ruolo per un incontro a Roma tra Mastella e Saladino, il quale era interessato ad opere e appalti al Ministero della Giustizia.

Luerti ebbe ad esprimersi prima di lasciare l’incarico ed a seguito delle iniziative disciplinari ai danni di De Magistris disse in particolare che “il sistema ha dimostrato che funziona…”. A Luerti subentrava Palamara, il quale quando furono trasferiti anche i magistrati di Salerno Apicella, Verasani e Nuzzi, disse che “il sistema ha dimostrato di avere gli anticorpi…”.

Ma agli atti delle indagini Poseidone e Why Not vi erano accertamenti in corso nei confronti della casa di cura Cascini di Belvedere Marittimo, in provincia di Cosenza, in quanto uno dei principali indagati dell’indagine, Annunziato Scordo, aveva un ruolo nella clinica privata. Agli atti risultava, tra l’altro, una parentela con il segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Cascini, che fu uno dei magistrati, unitamente a Palamara, che diedero la “copertura” dei vertici associativi a quanto accaduto prima a De Magistris e poi ai magistrati di Salerno. Oggi il titolare della casa di cura è sindaco di Belvedere e la struttura è sempre in prima linea per succhiare fondi pubblici, anche se nell’ultimo periodo pare abbia subito una serie di sanzioni particolarmente pesanti. Ma questa è un’altra storia.

Scordo, per tornare al racconto principale, era il marito della segretaria particolare del presidente della Regione Calabria Giuseppe Chiaravalloti, già Avvocato generale presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria. Com’è noto, vi è agli atti delle indagini di Salerno una intercettazione telefonica ormai resa celebre dai passaggi televisivi in cui Chiaravalloti, parlando con la sua segretaria, annunciava quello che poi sarebbe realmente accaduto a De Magistris (http://www.iacchite.blog/de-magistris-ricorda-la-profezia-di-chiaravalloti-e-la-mancata-bonifica-della-magistratura-corrotta-calabrese/).

Quando il potere politico viene attaccato dalla magistratura, all’interno del delicato e complicato sistema delle “toghe” scatta sempre qualche guerra interna, indicativa di un delicato “verminaio” destinato a coprire sempre qualcuno. E’ stato così tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, all’epoca delle inchieste di Agostino Cordova ed è stato così anche dal 2005 in poi, all’epoca delle inchieste di Luigi De Magistris.

All’ex sindaco di Napoli ne hanno fatto di tutti i colori, fino a togliergli le inchieste e a costringerlo ad andare via mentre un altro magistrato onesto come Eugenio Facciolla è stato costretto a chiamare aiuto al Ministero della Giustizia ed è stato così che ha conosciuto Otello Lupacchini. Ormai è storia. Ma torniamo a De Magistris prima di approfondire nuovamente il tema dei veleni tra le toghe dell’attuale periodo.

Abbiamo scritto più volte che l’attuale procuratore capo di Cosenza, Mario Spagnuolo, meglio conosciuto orma come il Gattopardo del porto delle nebbie, è stato sostituto anziano (come Tridico oggi) per molti anni proprio nel palazzaccio di via Sicilia. Ha fatto carriera – qualcuno dice anche grazie alla massoneria deviata –usando come un grimaldello (lui sì che se ne intende, altro che i ladri che arresta!) il processo per l’omicidio del costruttore Pino Chiappetta ed approdando alla DDA di Catanzaro tra l’incredulità generale.

Anche nel capoluogo ne ha combinato parecchie e tra queste ce n’è anche una che racconta spesso Luigi De Magistris, che è stato un magistrato onesto e di conseguenza veniva visto come il fumo negli occhi da gattopardi imbalsamati come Lombardi (passato a miglior vita) e Spagnuolo (che è ancora qui a commettere nefandezze e a proteggere i delinquenti come lui). Al punto tale che De Magistris, anche nell’intervista andata in onda qualche tempo fa su RaiNews24 affermava testualmente: che fine hanno fatto i verbali scritti per denunciare i comportamenti assurdi tenuti da uomini dello Stato? Lì dentro ci sono nomi di magistrati calabresi tutt’ora attivi…

De Magistris si sentiva solo contro tutti in quel verminaio di Catanzaro (Spagnuolo con i vermi ha grandissima affinità). E ne ha la conferma quando il procuratore aggiunto Mario Spagnuolo e il capo dell’ufficio giudiziario Mariano Lombardi si rifiutano di firmare il decreto di perquisizione nei confronti dell’ex presidente della Regione, ex magistrato e fratello di grembiule massonico, Giuseppe Chiaravalloti. Ecco il suo j’accuse.

“… Hanno cercato in tutti i modi di dissuadermi dal mio proposito, riferendomi persino che Chiaravalloti diceva di non sopportarmi, sin da quando ero stato in Calabria la prima volta e che quindi sarei stato “massacrato”, che ero troppo esposto insomma. Precisamente mi dissero che stavo sui coglioni a Chiaravalloti.

Mi ripetevano che l’indagine era buona ma che, in quel momento, non volevano esporsi avvertendomi che, tra l’altro, in quelle ore sarebbero tornati gli ispettori. Sono rimasto allibito, un avvertimento sinistro….”.

Diciamo pure mafioso, che tanto con Spagnuolo questo termine non è mai sbagliato. Dalle nostre parti Spagnuolo, fin da quando si è messo in affari con Franco Pino, è il fautore numero uno della trattativa mafia-stato. Non sai mai dove comincia uno e finisce l’altro… Sarà solo il preludio alla vile caccia all’uomo contro De Magistris. 

Andiamo avanti. Agli atti delle indagini Why Not e Toghe Lucane vi era il nominativo di Nicola Mancino, vicepresidente del Csm e presidente della sezione disciplinare, che poi emise la condanna nei confronti di De Magistris. In particolare, in Why Not, emergevano rapporti con uno dei principali indagati, Antonio Saladino. Lo stesso Mancino il giorno dell’inizio del processo disciplinare a De Magistris in una intervista ad un quotidiano nazionale espresse una sorta di anticipazione di giudizio e nei giorni precedenti diversi consiglieri del Csm hanno espresso valutazioni negative nei confronti dell’attuale sindaco di Napoli in maniera pubblica.

E ci furono anomalie anche nei lavori della 1^ Commissione del Csm che ascoltò De Magistris e i magistrati di Salerno, i quali nel gennaio del 2008 raccontarono al Csm che gli accertamenti in corso presso la Procura di Salerno stavano evidenziando la correttezza dell’operato del magistrato napoletano e attività illecite ai suoi danni. Ma il Csm invece di approfondire o ancor più correttamente sospendere in attesa della definizione degli accertamenti penali accelera e dopo qualche giorno emette la sentenza di condanna.

Tra i componenti della Commissione, alcuni avevano espresso valutazioni negative ai danni di De Magistris e quindi si manifestavano chiare ragioni di opportunità sulla loro partecipazione al giudizio.

I vertici della Procura Generale di Potenza, indagati in Toghe Lucane, avevano rapporti stretti con consiglieri del Csm. I nominativi di alcuni consiglieri del Csm erano agli atti dell’indagine Toghe Lucane. Inoltre, avevano rapporti con magistrati nei ruoli apicali del ministero della Giustizia, ed in particolare con quelli dell’Ispettorato che svolgevano anche accertamenti su De Magistris. I rapporti in particolare erano attivi tra il Procuratore generale di Potenza Tufano e il consigliere del Csm Berruti, tra l’altro componente della sezione disciplinare che emise la sentenza disciplinare ai danni di De Magistris.

Agli atti dell’indagine Toghe Lucane e delle indagini della Procura di Salerno vi è una intercettazione telefonica tra il sostituto procuratore della Dda di Potenza Felicia Genovese, indagata in Toghe Lucane, e il presidente della 1^ Commissione del Csm Antonio Patrono, che ben doveva sapere delle indagini in corso, in cui la Genovese chiede al Patrono anche l’interessamento sulle vicende in corso, dei consiglieri del Csm Cosimo Ferri e Giulio Romano, quest’ultimo poi estensore della sentenza disciplinare di condanna. La Genovese, moglie di Michele Cannizzaro, direttore dell’ospedale San Carlo di Potenza, anche lui indagato, nei confronti del quale risultavano anche collegamenti con esponenti della criminalità organizzata calabrese.

Agli atti delle indagini presso la Procura di Salerno emerge il legame del consigliere del Csm Giulio Romano con magistrati con riferimento ai quali erano in corso delicatissimi accertamenti investigativi. Emerge anche la campagna elettorale del Romano per l’elezione al Csm a Catanzaro, con magistrati coinvolti in indagini preliminari.

L’indagine di Salerno ha fatto emergere anche contatti tra il Procuratore generale di Potenza Tufano, indagato in Toghe Lucane, e l’allora sostituto procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, che svolse poi accertamenti per conto del suo Ufficio con riferimento alla cosiddetta “guerra tra Procure”.

Il nominativo del Capo dell’Ispettorato del Ministero della Giustizia Miller era agli atti sia del procedimento Why Not che nel fascicolo pendente presso la Procura di Salerno. Molti degli indagati colletti bianchi erano difesi dall’avvocato Giancarlo Pittelli. E tutto, come in un cerchio, ritorna. La trattativa mafia-stato in salsa calabrese, laboratorio per tutta la nazione.