Catanzaro, non solo Gratteri: su Bertolone si preannuncia (anche) la dura punizione del Vaticano

«Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo… Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa». A scriverlo è Carlo Maria Martini, già cardinale ed arcivescovo della diocesi di Milano. Lo scrive nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme, e le sue parole nonostante il passare del tempo appaiono ancora attuali e profetiche sulla realtà ed i misteri del Vaticano e le implicazioni distribuite nei territori delle diocesi, come quella di Catanzaro.

Proprio la diocesi di Catanzaro-Squillace da circa un mese è sede vacante dopo le improvvise e misteriose dimissioni/licenziamento del vescovo Vincenzo Bertolone, sparito nella manciata di poche ore dal radar verso un ritiro monastico, tanto da non accompagnare la curia nelle mani dell’amministratore apostolico nominato da Papa Francesco, mons. Angelo Panzetta vescovo di Crotone.

Molte sono state le ipotesi e le voci sulla fuga del vescovo Bertolone, al quale viene riconosciuta la sua apprezzabile simpatia ad ambienti equivoci, quelli della massomafia e non ultimo il suo hobby per la politica prima di quello di pastore, inquinando ed in parte manovrando con la complicità del sistema Catanzaro la vita e le scelte di una intera comunità, tanto che la sua curia veniva identificata comunemente come un “luogo” di potere e non già come riferimento della fede e dell’apostolato. Il fronte delle ipotesi è diviso: da una parte ci sono quanti vedono il vescovo Bertolone come una vittima, il “martire a secco” che paga per colpe non sue in relazione all’affaire Movimento Apostolico; dall’altra ci sono i molti che annusano la non santità del vescovo massomafioso Bertolone e non credono che le sue responsabilità siano richiuse nel recinto di Maria Marino in Marraffa, ma che vadano oltre incrociando quel sistema curiale, costruito ed alimentato, tanto da trasformarsi in una holding d’affari loschi che privilegiava denaro e mattone prima ancora che la fede, il vangelo e la dottrina cattolica.

Mentre le coperture scricchiolano, la verità dei fatti sarà difficile intercettarla perché ricade sotto l’ottica della diplomazia vaticana dove certe decisioni che scottano, le si pongono in naftalina, archiviando (ne) le pratiche in modo che alla decorrenza sia facile o difficile recuperarle; così come diventa difficile decifrare i segnali del sistema monarchico statale-religioso della Santa Sede. Tutto resta nel limbo della cosiddetta “diplomazia” dello Stato vaticano, simbolo di una particolare società dove l’apparire è più importante dell’essere, che contagia chi ne viene in contatto godendone delle coperture e delle complicità, così come ne ha goduto, fino a ieri proprio il vescovo Bertolone che ha usato la curia di Catanzaro-Squillace per i suoi sogni di gloria e per quelli dei suoi amici e collaboratori bracconieri, tanto da aver inseguito senza mai afferrarla la “porpora” cardinalizia.

La gloria sembra essersi trasformata in disastro e la certificazione sta scritta nella fuga improvvisa del vescovo massomafioso Bertolone e nell’aria pesante che si respira nei palazzi della curia, dove l’eredità del decennio è rappresentata dai quei prelati inquinati ed altamente tossici che sono in cerca di coperture prima che scocchi l’ora zero dell’orologio di Palazzo di Giustizia, che li vede come responsabili in correo ed al contempo vittime senza il lasciapassare concesso, al momento, solo a Bertolone.

Il tappo rischia di saltare sotto i colpi che dall’esterno, si dice, stiano per arrivare sui palazzi della curia di Catanzaro, ma anche dall’interno di quella diplomazia vaticana che il latinista poi cardinale, Antonio Bacci, definiva «è nata una triste sera a Gerusalemme, nell’atrio del sommo sacerdote, quando l’apostolo Pietro, scaldandosi al fuoco, si imbatté in quella servetta che, col dito puntato contro chiese: “Anche tu sei seguace del Galileo?”, e Pietro, trasalendo, rispose: “Non so quel che tu dici!”. Risposta diplomatica con la quale non veniva compromessa né la fede, né la morale».

Il Vaticano così come la curia massomafiosa dell’epoca di Bertolone è un’isola dove coesistono in eguale onore e misura la logica del potere e il parossismo patologico, la forza del diritto e il diritto della forza, la concordanza del bene sul male e il sopruso del violento sull’inerme; dove è più facile scorgere il male nel bene, che il bene nel male; insomma, un amalgama di strane politicanze dai lontani intrighi riemergenti. A Catanzaro c’è tuttavia un aggiunta, un quid in più che caratterizza la curia tanto da diventarne la caratteristica autentica ed esclusiva, la complicità con la massomafia attraverso il sistema Catanzaro, che nei fatti è la fine di un sogno ed il ristabilire di una verità, quella destinata a soccombere alla forza della procura di Nicola Gratteri.

Cadranno teste coronate e non, e tante altre che hanno professato una devozione non genuina perché dovranno rispondere dei crimini commessi e delle coperture che hanno garantito, quando come un fiume carsico ritorneranno a galla i fatti ed i misfatti della curia di Catanzaro, dove la ragione di stato e la diplomazia avranno poco da spartire con la giustizia.

Verrà fuori senza alibi quello che è il vero humus della chiesa a Catanzaro, la storia, l’eredità sconcertante di Vincenzo Bertolone e la scenografia che l’ha caratterizzata facilmente sovrapponibile alla realtà vaticana, emergente dalla lettura del libro inchiesta sulla morte di Papa Giovanni Paolo I, del giornalista John Cornwell. Le parole riportate nel libro “Un ladro nella notte” sono attribuite a monsignor Paul Marcinkus che definiva il Vaticano come «un villaggio di lavandaie: lavano i panni, li battono con i pugni, ci ballano sopra, ne fanno uscire fuori tutto il sudiciume. Nella vita normale la gente ha altri interessi, in questi ambienti quando ci si incontra sai che se uno ti racconta una storia lo fa perché tu ne racconti un’altra a lui. Un luogo non del tutto pieno di persone oneste».

Francamente per quanto abbiamo narrato negli ultimi tempi e sulle notizie che continuano ad arrivare, appare non blasfemo pensare che Bertolone avesse ricostruito un microcosmo stile Vaticano nella curia di Catanzaro, fatto di persone poco oneste, quelle che erano il suo cerchio e la misura della criminalità curiale coperta dal profumo dell’incenso. Bertolone aveva assunto le sembianze del Papa nero benedicendo, proteggendo e dopo soffiando sul fuoco dello scisma rappresentato dal Movimento Apostolico; ha inquinato nelle fondamenta la credibilità del corpo ecclesiastico della curia; ha protetto le maldicenze e le malversazioni; ha fatto affari con la massomafia. In particolare da quanto ultimamente emerge dalle indiscrezioni di oltre Tevere, Bertolone ha minato profondamente la dignità di Santa Romana Chiesa e lo stesso potere del Papa, certamente non da solo ma facendo leva sulle complicità e sulle connivenze di alcuni prelati della curia cittadina, che come lui pagheranno le loro colpe nei diversi ambiti della giustizia: quella dello Stato italiano e quella dello Stato vaticano.

Se la linea di confine della diplomazia vaticana diventa invalicabile alle umane curiosità, alcune crepe nelle mura leonine lasciano passare gli spifferi, quelli carichi di risvolti preoccupanti e pericolosi al tempo stesso tanto da arrivare dritti in terra di Calabria.

Non parliamo di indiscrezioni, ma di procedure che ormai sono attivate all’interno delle stanze dei Sacri Palazzi e che rischiano di mettere la pietra tombale sul governo di Bertolone nella curia di Catanzaro anche come eredità, e su altri soggetti suoi complici che verrebbero spazzati in solo colpo dalla storia e dal futuro della chiesa, resettando il panorama restante in città e riportando indietro le lancette ad un vincolo di giustizia.

Si parla della dimissione dallo stato clericale, quella che più impropriamente viene definita “riduzione allo stato laicale” nei confronti del vescovo Vincenzo Bertolone e del suo segretario don Francesco Candia, quella che è indubbiamente la pena più grave che la Santa Sede può infliggere, tenendo conto della diversità di status e della contemplazione delle norme del codice canonico e di quello ecclesiologico. I motivi e le cause di tale decisione, o meglio dell’attivazione delle procedura, sono sempre di ordine grave come combattere la pedofilia interna alla chiesa, quella che in grande onestà non è mai venuta a galla nella vicenda della curia catanzarese, dove semmai la realtà è contraria tanto da incrociare prelati che si accompagnano con spudorata normalità a pie donne (!), esibite come custodi di quella fede che prevede l’ostensione della giarrettiera…

Altri sono i motivi di gravità e ritornano tutti nella storia di Bertolone come vescovo della curia di Catanzaro-Squillace, quel coacervo di appropriazioni indebite, di furti e di malversazioni a vantaggio di preti palazzinari e di quanti usavano percorrere le vie buie della città con le tasche cariche di soldi. Esatto, sono i soldi il motivo di gravità che ha messo in attività la Santa Sede e fondamentali sono le 36 ore che precedono l’annuncio delle dimissioni/licenziamento del vescovo massomafioso Vincenzo Bertolone, quasi a sancirne ufficialmente la sua colpevolezza e la sua conoscenza di quanto ha volutamente fatto apparire come un evento improvviso, incomprensibile tanto da sentirsi martire della chiesa e del sistema repressivo.

In 36 ore prima dell’annuncio funesto di Bertolone sono spariti dalle casse, con la complicità dei suoi balordi, una cifra che oscilla fra i tre ed i quattro milioni di euro verso destinazioni diverse e certamente non per opere riferibili all’attività della curia, salvo che la stessa non si riconosca con le esigenze personali degli attori. Questo in estrema sintesi è il motivo della cacciata del vescovo, della sua fuga con annesso ricovero in convento e la mano pesante attivata dalla Santa Sede che supera ogni umana previsione, anche quelle che possono arrivare, a questo punto come ulteriore conferma, dal Palazzo di Giustizia di Catanzaro.

E’ la vecchia storia della curia di Catanzaro dove appare ancora più foglia di fico la legenda del Movimento Apostolico come motivazione, dove sempre a Catanzaro il voto di povertà a lungo andare ha portato chi l’ha fatto a non accontentarsi del minimo, alimentando una crescente accidia, uno sterile risparmio di energie, una demotivazione al lavoro tanto da intraprendere nuove iniziative. Così si è arrivati a raschiare l’estremità del proprio barile, quello delle famiglie religiose che si richiamano al vangelo di Bertolone, spinte ad accertarsi dell’esistenza di un doppio fondo dove celare le frodi ai loro tre voti di povertà, castità ed obbedienza.

Accrescere la ricchezza ed il potere è stato l’apostolato di Vincenzo Bertolone e della banda di balordi che l’ha circondato, spegnendo volutamente l’interruttore di quella santità presunta a vantaggio dell’agiatezza. Si spiegano così i furti e le malversazioni perpetrate da anni sui fondi dell’8 per mille della Caritas diocesana dal sacerdote palazzinaro padre Piero Puglisi, i silenzi criminali del neo vescovo di Corigliano-Rossano, mons. Maurizio Aloise come presidente di Fondazione Betania portata alla canna del gas e degli ammanchi di cassa del Santuario arcidiocesano di Santa Maria delle Grazie di Torre Ruggero del quale è stato rettore. Tutto ritorna ed appare ancora più dirompente perché quello che emerge è un progetto criminale, forse finalmente scoperto e messo nero su bianco nelle stanze vaticane, che ha usato la chiesa e la curia di Catanzaro a vantaggio dei pochi, quelli che fino alla fine della storia resteranno i ladroni del vescovo Bertolone, indegno seguace degli Apostoli.

Fede, vangelo, dottrina sono stati strappati al vento, tanto da dimenticare che qualunque ricco, laico o ecclesiastico, e qualunque avaro entra nel regno di Cristo solo attraverso la raccomandazione di un povero bisognoso: cioè il pellegrino da accogliere, l’assetato da dissetare, il malato da curare, il carcerato da visitare, il litigioso da pacificare, il morto da seppellire. Senza tali raccomandazioni essi resteranno fuori dal regno.

Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora. (Matteo 25, 1-13)