Catanzaro. Se Abramo non è al capolinea, l’abramismo forse sì (di Danilo Colacino)

di Danilo Colacino

Se Abramo non è al tramonto, l’abramismo forse sì. Ma non certo per quanto avvenuto in consiglio comunale ieri: le solite “scenette” e finte liti su pratiche presentate o ritirate all’ultimo minuto tanto a cuore a qualcuno in particolare, bensì per qualcosa (varie crepe e belle grosse) di molto più profondo che illustrerò a breve. I segnali di un possibile quanto stupefacente crollo sono infatti celati al momento, ma non abbastanza nascosti da non essere notati da…occhi esperti. Capita allora che come di solito accade in occasione dei grandi smottamenti, quelli fragorosi e dirompenti, si inizia sempre a vedere rotolare giù prima qualche sassolino poi pietre, a seguire massi, e infine viene via tutto con un boato e una devastazione pazzeschi.

E chissà che non sia proprio questo il caso. Perché sarebbe anche fisiologico per un regime (qui lo definisco in senso tecnico, però se preferite il termine sistema fate pure) che dal 1997 ai giorni nostri (si sarebbe dovuto votare nel ’96 in realtà e l’immarcescibile Sergio avrebbe vinto comunque) ha conosciuto una sola fase diciamo così di stasi: la sindacatura di Rosario Olivo (dal 2006 al 2011) con la piccola “prolunga” dell’interregno di Michele Traversa (dimessosi solo formalmente nel 2012, ma già con la spina staccata a dicembre dell’undici peraltro per ragioni solo formalmente fornite senza persuadere fino in fondo).
Ecco allora che se il duraturo Sergìun dovesse arrivare fino in fondo anche stavolta, ovvero alla scadenza naturale della consiliatura in corso fissata nel 2022, tra il lusco e il brusco avrà passato un ventennio al timone della città, e dal novembre 2018 anche della Provincia, tanto per gradire. E mi sembra inutile, oltreché di cattivo gusto, rievocare il Fascismo e il Cavaliere del Lavoro Benito Mussolini quando posso tranquillamente ricorrere al paragone con l’era berlusconiana.

Ma perché l’epopea abramiana dovrebbe finire presto, quando gli indicatori del suo stato di salute sembrerebbero dire l’esatto contrario? Tanti sono i motivi. A partire dal più banale: non potrà più essere sindaco, almeno non al prossimo giro, per limite di mandati raggiunti e, pur con il posto in Parlamento magari assicurato dalla sua cara Lega (si vedrà), sarà obbligato a star fermo ai box per un anno o più (ed ecco perché smania, conoscendo le cose della politica in cui spesso se esci dal giro anche per poco ti mettono in panchina per sempre). Senza contare che, se parliamo di abramismo e non di Abramo, gli ingranaggi girano intorno pure all’imposizione del fido Marco Polimeni quale erede legittimo e successore indiscusso. Strada in salita, però, per questa candidatura unitaria del centrodestra. Fatto che pesa, certo, ma mai quanto lo smacco subito dal Sergìun di non esser riuscito in alcun modo ad accedere al vertice della Cittadella, né dalla porta principale né da quella secondaria.

E stessa cosa dicasi per la nuova quinta colonna del sistema capitanato da Abramo dopo la rottura con l’ala talliniana (del leader Mimmo Tallini) ovvero il gruppo aielliano-espositiano-gentiliano. Che può appunto annoverare mister diecimila preferenze alla Regione, vale a dire il nuovo Re Bald…ovino, il quale tuttavia ha perso il treno per fare sia l’assessore sia in particolare il presidente del Consiglio di Palazzo Campanella malgrado la guerra senza esclusione di colpi contro Tallini invece capace di spuntarla. Eppure il nostro Baldo Esposito ha a disposizione una macchina tale da poter <spezzare le reni alla Grecia>. Può tuttavia darsi che sia sì un uomo, serio e perbene, di grande diplomazia e fine tessitore di trame politiche, sul punto non ci piove, ma non il “falco” a cui va demandato l’arduo compito di guidare una coalizione stando in prima linea in mezzo a <sangue e merda> per dirla formichianamente.

Al di là di tutto, però, come nel vecchio Gioco dell’Oca torno alla casella di partenza per ribadire che l’impero sergiano e dei suoi danti e aventi causa non crollerà di sicuro per una delibera non inserita nell’ordine del giorno del civico consesso ormai peraltro ridotto a una sorta di riunione carbonara lontana da “orecchie indiscrete” a causa delle limitazioni imposte dal Coronavirus. Di questo passo, semmai, ogni scossone potrebbe essere quello buono per un vero e proprio terremoto in virtù di quanto da me spiegato.

In chiusura mi corre tuttavia l’obbligo di segnalare quanto appreso dal fondatore e capo indiscusso del movimento Cambiavento, Nicola Fiorita alias il prof, che pur essendosi dimesso (a mio avviso correttamente ma forse un po’ troppo frettolosamente) dall’assise cittadina per l’inchiesta Gettonopoli continua come ovvio a interessarsi delle sorti – guardandole assai da vicino – della sua Catanzaro. Ebbene, in merito va detto che la maggioranza ha impedito ai rappresentanti fioritiani a Palazzo De Nobili di presentare due mozioni: la prima di censura al vicegovernatore Nino Spirli per le sue dichiarazioni sullo sdoganamento di alcuni termini ormai banditi dal linguaggio corretto e rispettoso di ogni essere umano e la seconda di sostegno agli ormai loro malgrado famosi tirocinanti della Calabria ancora vittime dell’incertezza sulla loro sorte lavorativa.