Ciao Carmelo Miceli. Storia di una grande carriera: dal Rende al Lecce passando per Monza: “I miei primi maestri? Lo Celso e Gisberti”

Tra i cosentini che sono arrivati al grande calcio senza passare dal Cosenza (e purtroppo sono stati tanti) un posto di rilievo spetta di diritto a Carmelo Miceli, scomparso ieri prematuramente e all’improvviso. Miceli era un libero roccioso e tenace, che ha saputo costruirsi una carriera di prima grandezza diventando una bandiera del calcio leccese. I numeri, come sempre, non mentono mai: 42 presenze e 2 reti in Serie A, 350 presenze in Serie B tra Monza, Lecce, Ascoli e Catanzaro nell’arco di 14 anni pieni di soddisfazioni.

Miceli nasce nel 1958 a Cosenza ma solo perché c’è… l’ospedale. Carmelo infatti è rendese purosangue, cresce nel quartiere di Roges e deve il suo ingresso nel calcio “ufficiale” al maresciallo dei carabinieri Alfonso Lo Celso. “Lo Celso – ci ricordava Carmelo Miceli in una intervista – ha creato dal nulla il settore giovanile del Rende. Vedeva giocare i ragazzi in mezzo alla strada e poi li “ingaggiava” casa per casa. E’ successo anche con me. Ha parlato con mio padre Ernesto, che lavorava al mercato ortofrutticolo ed è sempre stato il mio primo tifoso, e mi ha portato a Rende. Lo aiutavano Raffaele Bartelli e Tonino Cribari. Ricordo il maresciallo Lo Celso con grandissimo affetto”.

E il tuo primo maestro di calcio?

Luciano Gisberti insieme a Polacchi

“Luciano Gisberti, il mitico portiere di Cosenza. Ci faceva allenare con la famosa “forca” attaccata alla porta. Ho imparato con lui a colpire bene il pallone di collo, di interno, al volo, anche di testa… Ho iniziato a giocare nel campionato Juniores 1974 ed ero già “libero”. Sarà stata la mia struttura fisica, sarà stato il tipo di impostazione tattica, ma non ho più cambiato ruolo.

Quel Rende era pieno di ragazzi promettenti. C’erano Maurizio Guido, Marco Lorenzon, Carlo Stellato, Emilio Aiello, Pino Zimmaro, Antonello Foresta, Carmine Aceto, Giannino Reda… Abbiamo vinto la fase provinciale e siamo andati a giocare a Scalea per accedere alle finali regionali ma abbiamo perso di misura: fu un peccato!”.

In quel periodo vieni convocato con la Rappresentativa Allievi Calabria.

“Sì, dopo la prima convocazione abbiamo giocato una partita-provino contro il Catanzaro di Gianni Di Marzio e sono stato riconfermato per un quadrangolare a Taormina. Abbiamo vinto e siamo partiti per Piacenza a giocare le finali nazionali davanti a decine di osservatori di società di Serie A e Serie B. Si fecero avanti Monza, Reggina e Foggia. Giorgio Vitali, direttore sportivo del Monza, mi disse chiaramente che mi avrebbe fatto seguire e che era sua intenzione portarmi in Lombardia. Cataldo, direttore sportivo della Reggina, invece, cercava di invogliarmi con le.. scarpe. Mi disse che a Reggio mi avrebbe fatto trovare le mitiche “Pantofole d’Oro Tre Stelle” che per noi ragazzini erano irraggiungibili! Col Foggia invece c’era il tramite di Ciccio Demorgine, vecchia gloria del Cosenza. Ho fatto un provino allo “Zaccheria” e sono stato in prova per una settimana. Ma la decisione finale spettava al Rende”.

Ma il Rende ti faceva giocare in prima squadra nel campionato di Promozione?

“Macché. Nel mio ruolo, tanto per cambiare, c’era uno del Nord, un certo Panini. E io stavo in panchina… Poi finalmente mi fecero debuttare in una storica partita contro il Reggio Gallina ma solo perché dovevano cedermi… Mi hanno ceduto al Monza per 6 milioni e mezzo, niente male come cifra ai tempi. E il diesse Vitali mi ha comprato un intero guardaroba perché io avevo solo un giubbino di jeans. Ho giocato nel campionato Primavera e sono stato in panchina diverse volte in prima squadra in Coppa Italia. Nel frattempo sono stato convocato con la Nazionale Juniores di Ferruccio Valcareggi. Una bella esperienza. Ma il direttore sportivo Cataldo, che intanto era passato dalla Reggina al Lecce, non mi aveva mollato e nel 1976 è riuscito a prendermi in comproprietà”.

E qui inizia l’avventura di Lecce. 

“Dodici anni non si dimenticano tanto facilmente. Gli inizi non sono stati per niente facili. Io ero un po’ ribelle e il tecnico della Primavera Adamo voleva mandarmi via. Cataldo però mi proteggeva e mi fece firmare il primo contratto da professionista. Nel 1977-78 ho incontrato mister Olmes Neri che è stato determinante per la mia formazione caratteriale. Prima ero sempre permaloso, suscettibile, troppo serio. Il mister Neri è riuscito a farmi cambiare atteggiamento, mi ha anche assegnato la fascia di capitano della squadra Primavera e sono riuscito a esordire in Serie B in una partita contro il Palermo. L’allenatore della prima squadra era Lamberto Giorgis. Avevo soltanto 19 anni”.

Primo anno da titolare con mister Santin.

“Veramente io avevo chiesto di andare via: ho parlato con Cataldo e lo avevo pregato di trovarmi ima squadra con la quale potessi finalmente giocare titolare. Cataldo allora parlò col mister e Santin gli confidò che a Foggia, in Coppa Italia, mi avrebbe fatto giocare dall’inizio. Da allora non sono uscito più: 35 partite filate”.

E’ vero che dovevi andare a Catanzaro?

“Sì, mi aveva chiamato mister Tarcisio Burgnich. avrei esordito in Serie A e mi sarei avvicinato a casa, ma figuratevi se Cataldo mi mollava… Lui e il nuovo allenatore Mazzia volevano farmi giocare da stopper, ma non ho mai avuto il passo per fare il marcatore e così ho dovuto faticare un po’ per vincere la concorrenza con Bonora, ma alla fine ho giocato tanto: 28 presenze”.

1 – (continua)