Coronavirus, 47° giorno. Calabria, il disastro del “sistema sanità”

Dopo quasi 50 giorni di quarantena, migliaia di morti, un futuro lontano e incerto, c’è ancora chi si ostina, nonostante l’evidenza, a difendere la peggior classe politica di sempre responsabile in prima persona del clamoroso disastro della sanità italiana, e nel nostro caso di quella calabrese. Un disastro che la pandemia ha messo ancor di più in evidenza. Tutti hanno capito, tranne loro, che la vera emergenza è dovuta propria all’incapacità del nostro sistema sanitario di reggere l’elevato numero di ricoveri che una pandemia come questa provoca. L’aver sottratto strutture, mezzi e risorse alla sanità pubblica per favorire la sanità privata, con l’unico scopo dell’arricchimento indebito da parte dei politici corrotti e degli amici degli amici, ha determinato, alla prima reale emergenza, il collasso dell’intero comparto sanitario regionale, e nazionale.

Una Caporetto ammessa persino dalla Santelli che ha preferito dire la verità piuttosto che continuare a nascondere ai calabresi la grave situazione, e lo ha fatto con una espressione che mette i brividi: se mai il coronavirus dovesse “attecchire” anche in Calabria, sarebbe una strage. E questo perchè il nostro sistema sanitario ha pochi reparti di terapia intensiva, e non solo. In tutta Italia i posti di terapia intensiva sono 5000, e in Calabria meno di 100. Chiunque capisce che se dovesse scoppiare un focolaio come quello di Codogno o di Bergamo, con centinaia e centinaia di pazienti che hanno bisogno della respirazione assistita, in Calabria sarebbe una strage come dice la Santelli.

Che la sanità in Calabria non funziona da “sempre”, è cosa risaputa, e non certo per mancanza di professionalità o qualità del personale. Sono anni che tutta la classe politica utilizza la sanità pubblica come una sorta di bancomat per soddisfare i propri privilegi, in combutta, ovviamente, con le ‘ndrine che gestiscono appalti e commesse milionarie. Senza contare l’enorme rapina che subisce da anni la sanità pubblica da parte di tutti i politici proprietari – direttamente o indirettamente – di cliniche private. Sono decenni che drenano montagne di denaro dalla casse pubbliche sui loro conto correnti personali. E nonostante ciò, nemmeno in tempi di emergenza si sono resi disponibili a dare una mano alla malconcia sanità pubblica.

A difendere questi sciacalli la stragrande maggioranza del personale che lavora nelle loro strutture. Spesso sfruttati, malpagati, ma comunque ora e sempre fedeli a chi gli ha garantito, stuartu o dirittu, un posto di lavoro. Il che, in una terra come la nostra dove il lavoro è una chimera, ci può stare. Fino ad un certo punto però. E quel punto è stato toccato, ed è la salute di tutti. E come si sa la salute viene prima di ogni altra cosa. Se continuare a dare denaro alle cliniche private significa, oltre a garantire il legittimo e sudato stipendio di chi ci lavora, mettere in pericolo la vita dei calabresi perché non ci sono posti letto nella sanità pubblica, in tempo di epidemia, questo non è più accettabile né difendibile.

Non si può pretendere dai calabresi di morire per mancanza di sanità, per garantire ai corrotti montagne di soldi, e a voi lo stipendio. Questo è facile da capire. Diverso sarebbe stato se a sopperire in maniera efficace alle mancanze della sanità pubblica, fosse stata la sanità privata, ma così non è stato, perché spesso e volentieri le cliniche private sono “specializzate” in un settore specifico della medicina (ortopedia, ostetricia ecc.) che non è mai quello della virologia e delle malattie infettive. Perciò all’oggi, il servizio sanitario pubblico, nonostante i dollaroni che versa ai privati, non ha trasferito neanche un paziente ammalato di coronavirus in una clinica o in un ospedale privato. Non hanno gli strumenti per curali. Questa è la realtà.

In tempi di epidemia solo un servizio sanitario di livello e nazionale può garantire la guarigione agli ammalati. In sostanza diamo la maggior parte dei soldi destinati alla sanità ai privati per gestire pochi posti letto, lasciando le briciole al servizio sanitario pubblico che deve accollarsi tutto il resto, epidemia compresa. Continuare a difendere questo sistema, che ci mette tutti a rischio, per uno stipendio, francamente, non si può più. Non conviene più neanche a chi ci lavora difendere tutto ciò, perché il virus non fa distinzione. Può capitare a tutti di avere bisogno di ventilatori polmonari. Una sanità seria conviene a tutti. Si potrebbe pensare, magari, in una visione totalmente pubblica della sanità, di “trasferire” le professionalità che oggi operano nel privato, nel sistema sanitario nazionale.

La nostra non è mai stata una battaglia contro i lavoratori della sanità privata, molti dei quali spesso ci scrivono lamentando vessazioni e soprusi, ma contro tutto quell’apparato masso/mafioso che mal gestisce, per proprio profitto, un settore vitale come la sanità. Senza scrupoli e senza incertezze. E questo lo sappiamo tutti, lavoratori compresi, perciò, prima di correre in aiuto a chi spesso vi sfrutta, passatevi una mano sulla coscienza, specie di questi tempi, dove il nostro futuro, compreso quello dei vostri figli, dipende dall’efficienza e dalla funzionalità, a tutti i livelli, del nostro sistema sanitario.