Coronavirus, Fase 2. Tutto quello che (ancora) ci aspetta

Prima o poi si dovrà ritornare alla normalità. La quarantena che si è già trasformata in una “sessantena” che si avvia verso la “settantena”, prima o poi dovrà finire. Prima o poi la morsa dovrà essere allentata, e quando questo avverrà, ci accorgeremo che quello che abbiamo passato è solo l’inizio dei nostri guai. Capiremo che il virus non si è accontentato delle migliaia di vittime che ha mietuto, e che la sua azione parassitaria ha colpito mortalmente anche quel poco di economia che sosteneva i nostri territori. Ci troveremo di fronte ad una situazione drammatica che nessuno di noi poteva solo immaginare: migliaia e migliaia di famiglie, dalla sera alla mattina, senza più reddito, ed un intero “sistema economico” completamente sparito.

Di questo avremo contezza quando entreremo “nel vivo” della cosiddetta fase due della quarantena: serve una periodo intermedio tra la quarantena e la libertà, che potrebbe durare qualche anno. Anni in cui le nostre libertà individuali saranno sempre sottoposte a restrizioni. La fine di una pandemia non si decreta dalla sera alla mattina. Anche nella fase due, che prima o poi arriverà, continuerà ad esserci il divieto di assembramento, e gli spostamenti dovranno sempre essere “giustificati”: se i tempi della fase due sono quelli annunciati saremo costretti a ripensare la scuola, gli uffici, i luoghi pubblici. Saremo costretti a ripensare l’uomo come animale sociale.

Il ritorno alla consuetudine dovrà avvenire, socialmente ed economicamente, in maniera graduale e in base ai bisogni primari della popolazione. La distanza sociale, a cui inevitabilmente saremo sottoposti, cambierà, di fatto, il nostro modo di intendere la socialità, e le modalità di fruire dei servizi che le città offrono. A cominciare da tutte le attività economiche legate all’accoglienza, alla ristorazione, alla cultura: bar, pizzerie, ristoranti, pub, trattorie, hotel, agriturismi, B&B, tavole calde, gelaterie, discoteche, piscine, palestre, teatri, arene, palasport, cinema, musei, e tutto l’indotto che ruota attorno a queste attività. Tutte attività fondamentali per il nostro territorio, che potrebbero non rivedere mai più la luce. Almeno non nelle forme con cui le conosciamo, se la regola della distanza sociale dovesse durare qualche anno. Anche nella fase due tutte queste attività “resteranno chiuse”.

Così come tante altre attività che occupano uno spazio importante nella nostra economia destinate, anch’esse, all’estinzione: parrucchieri, centri estetici, studi professionali, e tutte quei “commerci” che prevedono il contatto con il pubblico. In generale tutto quello che viene definito “attività commerciale”: negozi di abbigliamento, di giocattoli, di oggettistica.

Una economia già distrutta da quasi 50 giorni di isolamento, figuriamoci che ne sarà di loro tra un anno. O più.

Pensate alla nostra città, Cosenza: una buona parte dell’economia cittadina è costituita proprio da locali dediti alla ristorazione e alla “svago”. Un settore che occupa tante persone, così come occupa tante persone l’attività commerciale in generale cittadina. Che ne sarà di loro? Potrà lo stato garantirgli un reddito per tanti anni? Come faranno ad adeguarsi ai nuovi tempi?

Pensate a Tropea, a Diamante, e alla tante località marine e di montagna che ogni anno aspettano l’estate per recuperare un po’ di spese, con alberghi, negozi e ristoranti chiusi. Pensate ai tanti che quest’anno non faranno gli stagionali, perché non ci sarà la “stagione”. Nessuno verrà in Italia quest’anno in vacanza. Pensate al danno economico del mancato introito dell’affitto stagionale delle case al mare o in montagna. Un danno incalcolabile per un territorio come la Calabria che sul quel poco di turismo che circola d’estate basa la sua “sopravvivenza”. Come affronteremo tutto questo?

Il danno è serio. Ritornare alla normalità sarà dura senza l’aiuto delle istituzioni, e con quelle che ci ritroviamo a livello regionale e nazionale la faccenda si complica. Una cose è certa: tra le tante cose da ripensare, in tutto questo, ci sarebbe da ripensare anche alla “normalità”, al nostro stile di vita prima della quarantena, magari ponendoci una domanda: non è che per caso se ci troviamo in queste condizione è proprio perché il nostro stile di vita di prima tanto “normale” non era?