Coronavirus, “nascosti” 15 mila senza sintomi: letalità più bassa

di Davide Milosa

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Tracciare e isolare tutti i contatti, ovvero coloro che hanno avuto rapporti con persone affette da Covid-19. E farlo subito per arginare la corsa dell’epidemia. Se da un lato il sistema sanitario ormai è al collasso, dall’altro una rigorosa strategia di contenimento è, secondo i ricercatori italiani e diversi studi internazionali, la vera arma contro Sars2Cov. Su un punto ormai tutti concordano: lo tsunami del contagio è rappresentato dagli asintomatici. Tanto più che la curva è destinata a salire con un picco atteso tra non meno di tre settimane e cifre identiche a quelle registrate nella regione cinese di Hubei: a fine febbraio là, a un mese dalla diffusione, i contagiati erano 38 mila.

Per il professor Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano “se al momento i positivi sono circa 15 mila, è probabile che gli asintomatici siano altrettanti se non di più. Queste persone sono contagiose, forse meno dei sintomatici, ma proprio per le loro condizioni possono avere più occasioni di trasmettere il virus”. Il che ci porta già a un cifra di oltre 30 mila contagiati.

Questo, se da un lato preoccupa dall’altro smonta la teoria di un tasso di mortalità anche superiore al 4,5% cinese. Il nostro 6,6% è in realtà gonfiato. Il numero dei decessi, infatti, si calcola solo a partire dai casi sintomatici, arrivati a oltre 17mila. In realtà, come detto, la cifra è almeno doppia e in questo modo il numero dei morti in percentuale si abbassa. Certo i decessi non si fermano, ieri in Lombardia se ne sono registrati 149. Un tale incremento è dovuto però anche a un dato: gli over 80 a oggi rappresentano l’80% dei morti. Il conto dei contagi dunque va almeno raddoppiato arrivando a un numero consono a parlare di epidemia in crescita esponenziale. Allo stato, infatti, alcuni ricercatori basandosi solo sul numero falsato dei sintomatici arrivano a calcoli statistici che parlerebbe di una “normalizzazione” della diffusione.

Purtroppo non è così. In attesa di un vaccino e di farmaci bisogna guardare alle Npi (Nonpharmaceuticals Intervention). Sul tema ieri sono stati pubblicati due studi e un intervento del professor Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri di Milano. In Veneto il governatore Luca Zaia spinge per fare 10mila tamponi al giorno. Obiettivo: scovare gli asintomatici. “Il vero punto – prosegue Galli – però è quanti contatti di persone positive al tampone vengono seguite e messe in quarantena. In questa malattia ogni persona contagiata ne infetta altre due o tre (in realtà 2,5). Se non segui la traccia e non interrompi la catena di contagio, questa non può che andare avanti. Questo è stato fatto all’inizio in certe aree della ex zona rossa e in Veneto. Poi ci si è concentrati solo sui sintomatici. Il distanziamento sociale attuato per decreto può contenere i contagi, ma può non bastare a fermare rapidamente il dilagare dell’infezione”. Uno studio cinese dal titolo “Effetti non farmaceutici sul controllo di Covid-19”, finanziato anche dall’Unione europea, ha analizzato le misure di contenimento attuate nella regione dello Hubei.

“Gli Npi – si legge – includono: quarantena delle persone esposte e tracciabilità dei contatti”. Senza queste misure si calcola che la crescita del virus sarebbe arrivata “fino a 67 volte”. Di contro se in Cina le Npi fossero partite prima “i casi si sarebbero ridotti fino al 95%”. La politica del contenimento non è semplice ed è legata al capire quando una persona può diffondere il contagio. Lo spiega un secondo studio internazionale dal titolo “Fattibilità del controllo” pubblicato ieri sulla rivista scientifica The Lancet. Gli asintomatici sono diffusori come e quanto i sintomatici, ma è difficile intercettarli. Si legge nello studio: “Per controllare la maggior parte dei focolai con un R0 di 2,5 è stato necessario tracciare più del 70% dei contatti e per R0 di 3,5 oltre il 90% dei contatti. Il ritardo tra l’insorgenza dei sintomi e l’isolamento ha avuto il ruolo più importante nel determinare se un focolaio era controllabile”. Se ciò non avviene “la probabilità di controllo diminuisce”. Risultato: “Meno casi accertati dalla traccia del contatto e aumento della trasmissione prima dei sintomi”.

In Italia è successo esattamente questo. Solo nei primi giorni si è andati a caccia anche degli asintomatici, poi a livello centrale si è deciso di concentrarsi su chi mostra sintomi. Sempre su Lancet ieri il professor Giuseppe Remuzzi del Mario Negri di Milano ha pubblicato un intervento dal titolo “Covid-19 Italia: e adesso?”. Per Remuzzi “oggi Covid-19 non è una malattia benigna”. Si muore, e lo si fa anche in una sola settimana. Dal primo marzo l’aumento dei ricoveri in terapia intensiva è stato del 10%. “Se questa tendenza continua – scrive Remuzzi –, ci saranno 30.000 pazienti infetti, entro la metà di aprile saranno necessarie fino a 4000 terapie intensive”. E solo per la Lombardia. L’Italia si avvia ad avere le stesse cifre dello Hubei, 38 mila contagi alla fine di febbraio quando in Cina si è raggiunto quasi il picco dopo un mese di diffusione del virus. “Certo – spiega Remuzzi – è improbabile che gli effetti delle restrizioni all’interno e all’esterno di Wuhan vengano replicate altrove”. Di sicuro “le misure di contenimento dovrebbero essere implementate”. Conclusione: “Nel prossimo futuro i nostri medici dovranno seguire le stesse regole con cui gli operatori sanitari rimangono nelle zone di conflitto e di disastro”.