Cosenza, chi è Francesco Luigi “Villaggio” Branda: il figlio di papà “killer” numero uno del porto delle nebbie

I "paradisi" della Branda Costruzioni

L’ultima “perla” della collezione l’ha infilata qualche mese fa con la vicenda della piccola Cloe Grano, la bambina di quattro mesi morta a causa di un invaginamento intestinale, conclusa in un primo tempo dopo quattro anni con la “solita” assoluzione dei medici coinvolti (Gaetano Pugliese, Maria Raffaella Aceti e Roberto De Rose) addirittura per non aver commesso il fatto. Ma riaperta proprio qualche giorno fa con le clamorose rivelazioni di una testimone che potrebbero rendere visibili ancora una volta a tutti le condizioni pietose di corruzione e di giustizia negata con le quali ci ritroviamo a combattere nel Tribunale di Cosenza.

Lui si chiama Francesco Luigi Branda ed è il “pezzo da novanta” dell’Ufficio Gip-Gup del porto delle nebbie. Per far capire ai meno pratici, è il “killer” numero uno del palazzaccio, quello che “risolve” i processi più spinosi per i corrotti e i massoni più in vista della città e quello che rigetta prontamente (ove mai ci fosse qualche giudice che non ha capito l’andazzo) ogni richiesta d’arresto o di misura cautelare. Insomma, uno dei capisaldi della deriva etica e morale della Giustizia in città, visto e considerato che ormai detta legge a Cosenza dal lontano 2007.

BRANDA, DA FIGLIO DI PAPA’ A KILLER DEL PORTO DELLE NEBBIE

Nato a Sant’Agata d’Esaro nel 1965, aderente – come il suo mito ovvero il Gattopardo – a Magistratura Democratica, è figlio del ricchissimo costruttore che imperversa sul Tirreno ormai fin dagli anni Settanta e ha dato vita al fantasmagorico “Gruppo Branda”, che dispone e gestisce diverse strutture (molti le chiamano villaggi) divise tra residence ed hotel sulla costa tirrenica tra Diamante e Cittadella del Capo. Strutture delle quali gode la borghesia mafiosa della città quando va a villeggiare (alla faccia della miseria e dell’imparzialità della “Giustizia”) sulla costa: “… camere ed appartamenti con ampi giardini o balconi e dotati di tutti i comfort necessari per rendere unico il soggiorno di chi le sceglie…”. Questo l’habitat nel quale si è cresciuto il giovane Branda, al quale il “paparino” sfondato di soldi ha indicato la strada della magistratura, ché in famiglia (e per gli amici degli amici…) un giudice serve sempre. E Francesco Luigi Branda il suo aiuto agli amici degli amici non l’ha mai fatto mancare dopo essersi fatto le ossa nella procura “affiliata” di Castrovillari.

Noi ci siamo occupati di questo oscuro figlio di papà, diventato a furor di popolo “killer” del porto delle nebbie soprattutto in occasione della vergognosa vicenda di Padre Fedele Bisceglia. Eh sì, perché in quella circostanza ha dato il meglio di se, occultando addirittura i fascicoli della suora bugiarda e beccandosi anche una denuncia del monaco, che ovviamente (e che ve lo diciamo a fare?) è stata archiviata.

Claudio Curreli

Il suo partner in quella storia era stato uno dei giudici più squallidi che mai abbiano frequentato il porto delle nebbie ovvero Claudio Curreli, in tutto e per tutto al servizio della borghesia mafiosa che ancora opprime con la sua cappa tutta la città. Curreli e Branda erano stati denunciati da Padre Fedele dopo che il suo avvocato Eugenio Bisceglia aveva scoperto un fatto gravissimo: avevano occultato un fascicolo nel quale la suora raccontava ancora altre menzogne per rendersi credibile. Meglio farlo “evaporare” per evitare casini… Ma l’avvocato Bisceglia, che ha la testa dura, alla fine quei fascicoli li ha trovati e proprio con quelli ha costruito le basi della sacrosanta assoluzione di Padre Fedele. Quanto a Curreli e Branda, il 12 marzo 2015 il Giudice per le indagini preliminari di Salerno, in ordine alla notizia di reato aperta per indagare l’operato dei due magistrati, pur disponendo l’archiviazione degli atti per infondatezza della notizia di reato, ha comunque espresso significative perplessità sull’operato dei magistrati.

In qualunque parte del mondo, un ministro serio della Giustizia avrebbe dovuto intervenire con i suoi poteri ispettivi e disciplinari nei confronti dei magistrati citati per dare sostanza a quei motivi di perplessità oggettivamente accennati dal Giudice per le indagini preliminari di Salerno nel suo decreto di archiviazione. Ma naturalmente non se n’è fatto niente e Branda è ancora lì, al suo posto, pronto a fare gli interessi degli amici degli amici e a imbracciare la sua pistola fumante di “killer” numero uno del porto delle nebbie.

DODARO, CURRELI E BRANDA: INSIEME PER GETTARE FANGO SU PADRE FEDELE

Per farvi capire meglio questa storia, è più che mai opportuno introdurre anche un altro “compare” di Branda e Curreli ovvero Stefano Dodaro, poliziotto, all’epoca capo della Squadra mobile, ovvero colui che era andato a scovare la suora per “eliminare” Padre Fedele, inviso alla borghesia mafiosa cosentina di cui sopra.

Grazia all’avvocato Bisceglia, siamo riusciti a leggere quei fascicoli che il “killer” Branda aveva occultato con tanto amore ed ecco cosa ne era uscito fuori.

Suor Gianna Giovannangeli, superiora di suor Tania, l’accusatrice di Padre Fedele, aveva avuto modo di dire che le minacce scritte su alcuni fogliettini di carta, stile “pizzini”, sono state trovate nella sede romana delle religiose, dove risiede la suora, due giorni prima di una delle udienze del 2006.

Su questi bigliettini mani anonime hanno scritto alle suore di non presentarsi al processo per deporre contro Padre Fedele. “E’ scaduto il termine – si leggeva in uno dei bigliettini -: se andate al processo vi ammazziamo”. E’ stato l’ultimo di una lunga serie di “pizzini” che sconosciuti hanno messo nella buca delle lettere, sulle finestre e sotto la porta d’ingresso della residenza romana delle suore francescane. Un particolare, quest’ultimo, davvero paradossale: com’è possibile che delle persone siano riuscite ad entrare in un posto descritto come ben protetto e posizionare con tranquillità i loro biglietti di minaccia sulle finestre (tra l’altro molto alte) e sotto le porte?

L’investigatore più attivo è stato – appunto – Stefano Dodaro, all’epoca dirigente della squadra mobile di Cosenza, che è stato ascoltato a più riprese in qualità di teste dell’accusa.

Del resto, in questa storia sembra proprio che parta tutto da lui.

Il solito Dodaro

Cosa ci faceva Dodaro allo Sco di Roma a raccogliere la testimonianza della suora? Chi l’ha informato? E perché è andato proprio lui? Ha ricevuto qualche preciso ordine da parte di una classe politica che vedeva Padre Fedele come il fumo negli occhi perché aveva realizzato una struttura gioiello come l’Oasi con i soldi dei cosentini?

E perché ha consegnato, misteriosamente e fuori da ogni logica, il plico che lo dipingeva come un criminale al magistrato Curreli dopo soli due giorni e contro ogni disposizione del Codice di procedura penale? E dove sta scritto che a un poliziotto, per quanto potente e “politicizzato” come il signor Dodaro, sia consentito di “invitare” un giudice (guarda caso lo stesso che ha indagato sui no global…) a emanare disposizioni restrittive?

Forse perché ha scritto (o forse sarebbe meglio dire gli hanno scritto…) un libro sulla mafia? O forse perché si faceva vedere, con la gentile consorte, la figlia di Ennio Morrone, alle conferenze di qualche cardinale a Roma? Queste cose ancora oggi, e sinceramente non capiamo perché, non si possono sapere.

Dodaro ha dimostrato un accanimento senza precedenti nei confronti di Padre Fedele e, invece di dare risposte sui suoi ispiratori e sulle modalità quantomeno singolari delle sue “capatine” a Roma per trovare suor Tania, ha cercato di pescare nel torbido in tutti i modi.

Dodaro ha detto, non nascondendo il suo stupore (!), che le prime minacce risalivano addirittura a pochi giorni dopo la presentazione, da parte della suora e della sua superiora, della denuncia allo Sco (Servizio centrale operativo) di Roma. Si trattava di due sms. Uno risaliva al 19 ottobre 2005, alle 9.56. Nel messaggio si leggeva: “Stai attenta a quello che fai siamo molto vicini”.In un altro, giunto alle 10.53 del 28 ottobre successivo, si leggeva: “Ritira la denuncia siamo sempre più vicini”. Tali messaggi, ha detto ancora Dodaro, furono inviati da una cabina telefonica. Il primo da una cabina di Anzio, il secondo da una cabina di Roma. In tutti e due i casi l’anonimo sarebbe stato a pochi metri di distanza dalla casa dove in quel momento era ospite la suora (anche le cabine…).

Secondo lo zelante ex vicequestore, dunque, ci sarebbe stata gente che in tempo reale è venuta a conoscenza che la religiosa aveva appena accusato Padre Fedele. Un particolare che Dodaro non è riuscito a spiegarsi, considerato che sin dall’inizio, considerata la delicatezza della vicenda e i suoi protagonisti (un frate e una suora), gli investigatori si mossero con assoluta discrezione.

E’ del tutto evidente che la storia dei “pizzini” è una montatura per dare credito a chi vedeva il “mostro” in Padre Fedele e la “vittima” nella povera suora. Dodaro, d’altra parte, sembrava molto preoccupato della credibilità della sua “creatura” anche nell’immediatezza dell’arresto di Padre Fedele.

VERISSIMO

Parlando ai microfoni di “Verissimo”, giurava sulla sua attendibilità e ricordava (cosa non si fa per il dovere!) di essere stato il primo ad ascoltare le sue denunce.

Dodaro era ingrugnito perché qualcuno aveva osato scrivere che a suor Tania piaceva la lingerie, uscire di notte e frequentare giovani rumeni. E così aveva dato il meglio di se davanti alle telecamere di Canale 5.

“Questo tentativo di screditarla – aveva detto Dodaro – mi ferisce moltissimo. Suor Tania è una persona mite e umile, moralmente ineccepibile. Secondo me anche nella difesa ci dev’essere dell’etica professionale. Certo, ognuno fa il suo lavoro ma parlare di complotto mi pare fuori luogo…”.

Forse sarà stato per questo che qualcuno molto vicino a Dodaro consiglia alla superiora Giovannangeli di riferire in dibattimento ulteriori particolari, secondo lei attestanti l’avvenuta deflorazione. Pare che suor Tania le disse che nel maggio del 2005, proprio a seguito di una violenza, temette di essere rimasta incinta.

Ma gli esami (e che ve lo diciamo a fare?) diedero esito negativo… Quanto basta per fare intervenire il “fido” Branda, che come per incanto fece sparire quei fascicoli compromettenti fino al “ritrovamento” dell’avvocato Bisceglia. Questo è il soggetto di cui parliamo.

Branda, figlio di papà e “killer” del porto delle nebbie, ormai ha assunto lo stesso atteggiamento spregiudicato dei suoi colleghi e in estate non è raro vederlo in barca con i suoi sodali della borghesia mafiosa. Si sente onnipotente ed intoccabile e ne ha tutte le ragioni, visto come funziona la “Giustizia” dalle nostre parti. Ma è mai possibile che un giudice possa rimanere per oltre dieci anni nella stessa città commettendo nefandezze a piene mani? Sì, a Cosenza tutto è possibile.