Cosenza. Chi ha fatto trovare i soldi di Porcaro ai carabinieri?

Che qualcosa non torna nel “casuale” ritrovamento di un trolley con dentro 400 mila euro a casa dell’ex cognato di Porcaro, lo si capisce dall’evoluzione della notizia. A darne conto due giorni fa, dopo aver ricevuto la soffiata del ritrovamento per primi, i giornali on line di Maduli. Che così scrivono: “I carabinieri hanno rinvenuto l’ingente quantitativo di denaro all’esito di una perquisizione eseguita in casa di suo cognato. I militari si erano recati lì in cerca di armi o droga, ma hanno finito per mettere le mani su quel piccolo patrimonio, stivato di un trolley e suddiviso in mazzette da diecimila euro ciascuna”. Il cronista, su suggerimento di chi gli ha passato in anteprima la velina, descrive come del tutto casuale il ritrovamento del denaro, perché i carabinieri erano a casa dell’ex cognato di Porcaro alla ricerca di armi e droga. Un colpo di culo che neanche loro si aspettavano.

Il giorno dopo, ovvero ieri, la Gazzetta del Sud, evidentemente per rifarsi, approfondisce la notizia e scrive: “Un appartamento del centro di Cosenza, in piazza Turi Thurium nella zona dello stadio cittadino: dentro vi risiede Salvatore Guido, disoccupato ex cognato del boss Roberto Porcaro. Nell’abitazione i carabinieri trovano un trolley, in un armadio, lo aprono e vi trovano ben sistemati e divisi per taglio di banconote 389.000 euro”. La Gazzetta specifica la cifra ritrovata, e fa il nome dell’ex cognato di Porcaro e l’indirizzo dell’abitazione. E pone una domanda: “come hanno fatto i carabinieri ad arrivare all’abitazione di Salvatore Guido che risulta incensurato?

Nell’arco di 12 ore il ritrovamento casuale del denaro descritto dai giornali di Maduli diventa un intervento mirato dei carabinieri. I carabinieri a casa del Guido sono andati a colpo sicuro, sapevano di trovare il denaro. Ma resta da capire come facevano a saperlo.

Stamattina la notizia è stata ripresa dal Corriere della Calabria che fa l’approfondimento dell’approfondimento, e così scrive: “Sono stati i carabinieri di Cosenza, guidati dal comandante Antonio Quarta a scovare un trolley di colore scuro, nascosto in un armadio nella camera da letto di un appartamento nella zona dello stadio. Il ritrovamento si lega ad una serie di approfondimenti che conducono i militari a Roberto Porcaro, ex reggente del clan degli “Italiani” ed ex collaboratore di giustizia”. Il cronista del Corriere specifica, dopo aver sentito le sue fonti, che il trolley è stato trovato nell’armadio della camera da letto, ma soprattutto tenta di rispondere alla domanda posta dal cronista della Gazzetta scrivendo che i carabinieri sono arrivati a casa di Guido a seguito di approfondimenti investigativi su Roberto Porcaro. Generico ma sufficiente a fermare “gli approfondimenti”.

Quindi: il ritrovamento dei soldi a casa di Guido non è stato casuale, ma frutto del lavoro investigativo dei carabinieri che hanno tanto lavorato per giungere a questo traguardo. Il caso, dopo diverse correzioni del tiro, può dirsi chiuso. Ogni curiosità è stata soddisfatta, e non c’è altro da sapere. La confusione generata dalla fretta di qualcuno a fornire, in anteprima, la notizia al proprio cronista di riferimento, è rientrata. E gli approfondimenti con domande annesse dei giorni successivi, vanno considerati, dai cronisti arrivati secondi, come un “risarcimento”. E tutti vissero felici e contenti. Tutti tranne Porcaro perchè, oltre ad aver perso 400 mila euro in una botta, sa che chi è causa del suo mal deve piangere se stesso. E quella che potrebbe sembrare una deduzione, esaminando i suoi trascorsi, si trasforma nell’elevatissima probabilità che i fatti relativi al ritrovamento del denaro siano andati proprio così: la prima cosa che è venuta in mente a tutti è che i carabinieri hanno ricevuto la solita soffiata del confidente di turno che li avvertiva della presenza del denaro nel trolley a casa del Guido. Ma questo per quanto verosimile, poco ci convince. E’ invece altamente probabile che i carabinieri e la Dda sapessero già da tempo del “tesoretto” di Porcaro, visto che hanno avuto con lui un lungo “colloquio” durato anni.

Un tesoretto che deve essere stato, per forza, oggetto di discussione tra i magistrati e Porcaro durante il suo pentimento. Che il tesoretto ritrovato fosse di proprietà di Porcaro, non ci sono dubbi. Non può essere certo la bacinella dei clan, nessuno dopo il suo pentimento avrebbe affidato una così importante cifra ad un parente di Porcaro. Anche se questo parente è persona seria, e fratello di Silvia Guido arrestata nell’operazione Reset che ha deciso di difendersi dalle accuse rifiutando ogni forma di “pentimento”. Non si tiene la bacinella comune in casa di chi risulta fortemente attenzionato. Il denaro ritrovato è il frutto del lavoro mafioso di Porcaro, che fino a due giorni fa era ancora in suo possesso, perché oggetto del patto tra lui e i magistrati per il suo pentimento. Franco Pino docet. Tutti i pentiti mercanteggiano con i magistrati per mantenere i loro beni. E per quanto possa averlo tenuto nascosto ai magistrati, considerando anche questa probabilità, non sarà stato difficile agli stessi, dopo tutte le indicazioni fornite da Porcaro sui propri movimenti, arrivare alla posizione del tesoretto. Non c’è stato bisogno certo di un sacrificante lavoro investigativo per arrivarci. Sapevano benissimo dove andare. La retromarcia di Porcaro meritava una seria risposta, e levargli il denaro è una punizione che vale più di 20 anni di galera. Che l’avrebbe pagata, Porcaro, lo sapeva, ma quello che forse ancora non sa è che questo è solo l’inizio.

I motivi della retromarcia di Porcaro restano oscuri. E le “giustificazioni” espresse nella lettera in cui spiega il perché della sua decisione di interrompere la collaborazione con la Giustizia, non hanno convinto nessuno. Dice di non essere un boss e di non appartenere a nessun clan. Afferma di non essere un mafioso, e quello che in anni ha detto ai magistrati sono tutte menzogne. Una “mossa”, quella di Porcaro, suicida che non ha altri risvolti se non quello di passare il resto della propria vita in galera. Pensava forse che ai magistrati sarebbe bastato l’accettare supinamente, come punizione alla sua retromarcia, decenni di galera, per salvare le sue ricchezze. Ma così non è stato, il ritrovamento del denaro si inquadra nell’offensiva che i magistrati hanno scatenato nei confronti di Porcaro. Che per chiudere il cerchio ora dovranno dire chiaramente a chi appartiene il tesoretto, perché accertare la proprietà del denaro di cui nessuno sa spiegare la provenienza, è la prova provata della mafiosità di Porcaro. Solo un boss di un certo livello può avere a disposizione cifre simili.

Ma un barlume di dubbio resta sul perché di questo ritrovamento, sollecitato dal fatto che nessuna delle fonti che hanno diffuso in due giorni tre veline dice chiaramente che il denaro appartiene a Porcaro, voglia di sola rivalsa nei confronti di Porcaro da parte dei magistrati, o strumento di pressione per farlo ritornare sui suoi passi? In caso di ripensamento, il non aver specificato la proprietà del denaro, può ritornare utile, un titolare diverso da Porcaro si trova sempre. L’unica cosa che hanno in comune le tre veline è che nessuna era corredata dalla foto del trolley e del denaro in bella vista. Così come fanno sempre i carabinieri quando sequestrano qualcosa: la foto di rito con la merce sequestrata con accanto il cappello dell’arma. Le fanno sempre, anche quando sequestrano 5 grammi di fumo, ma non in questo caso nonostante l’importanza del sequestro meritasse, oltre alla foto, anche una conferenza stampa per chiarire tutti gli aspetti. Che evidentemente, per il momento, devono restare oscuri.