Cosenza. Claudia Pingitore, un faro di giustizia e umanità nella tempesta

Chi l’avrebbe mai detto che a difendere la civiltà e l’umanità di Cosenza, città da tempo in declino sociale e culturale, sarebbe intervenuta la procura, nella persona del pm Tridico, e soprattutto, il Gip Pingitore? Ce lo chiediamo perché entrambi organici a quello che noi definiamo “il porto delle nebbie” (in riferimento alla procura e al Tribunale di Cosenza), istituzioni che troppo spesso sembrano pensare a tutto tranne che a fare “giustizia”. E quello che, in questa occasione, hanno fatto, non l’avevano mai fatto prima. Eppure, questa volta l’hanno fatto. Non possiamo far finta che non sia accaduto. E dobbiamo dirlo: quando tutto sembrava perduto, quando sembrava che la nostra città, un tempo faro di civiltà, fosse stata completamente sommersa da stupidità, odio gratuito e becero razzismo, senza possibilità di un ritorno a galla, è arrivata lei a ricordarci che possiamo riemergere e tornare a respirare: Claudia Pingitore. Il Gip di Cosenza che ha scarcerato Acqua Moses, il marito nero della rapitrice reo confessa della bimba. Un caso, il rapimento della piccola Sofia dalla clinica “Sacro Cuore”, che da giorni ha completamente monopolizzato l’informazione locale e nazionale.

Quando tutti si aspettavano una conferma, senza se e senza ma, della custodia cautelare in carcere di Acqua Moses, perché per tutti è impossibile che il marito nero non si sia mai accorto della finta gravidanza, il Gip Pingitore, contro ogni aspettativa, decide di credere alla versione di innocenza del nero africano: per lei è estraneo al rapimento della bimba Sofia. Acqua Moses è stato raggirato dalla compagna al pari di tutti gli altri parenti, amici e conoscenti. Un giudizio netto e senza titubanze, emesso dall’alto della conoscenza del Gip del caso, che ha valutato, non solo le testimonianze degli agenti protagonisti del ritrovamento della bimba che hanno asserito sin dal primo momento che lo stupore di Acqua Moses, alla rivelazione della verità, era sincero, ma soprattutto perché ha scandagliato il rapporto tra moglie e marito.

Ed è proprio nel loro rapporto che sta la conferma della sua estraneità: Moses era totalmente succube della moglie. Eseguiva ogni suo ordine, senza mai discutere. Un atteggiamento predominante che Rosa aveva con tutti. E tutti hanno creduto, o sono stati costretti a credere, se preferite, a quello che lei raccontava. Non sarà stato difficile per Rosa imporre al marito un comportamento casto, magari giustificato dalla difficile e complicata gravidanza. Così come aveva imposto a tutti di voler andare da sola alle visite ginecologiche, e poi addirittura a partorire, marito compreso. E così è stato: gli argomenti di volta in volta usati da Rosa erano convincenti. Del resto, perché marito, parenti e amici avrebbero dovuto dubitare di quello che diceva Rosa? Argomenti che ponevano sempre in primo piano la sua salute e quella del bimbo; contravvenire alle sue direttive avrebbe messo a rischio la nascita di Ansel (il bimbo mai nato). E nessuno ha mai osato andare oltre proprio per questo. Tutto ciò, e altro che ancora non sappiamo, ha convinto il Gip Pingitore dell’innocenza di Moses.

E chi se l’aspettava che la Pingitore, in un caso come questo, sotto la lente d’ingrandimento di tutti i media italiani, prendesse una decisione così “rischiosa”, accollandosi il rischio, che c’è tutto, come abbiamo visto, di finire preda di invettive di ogni sorta nel mega tritacarne dei social? Francamente, non c’avremmo scommesso neanche un centesimo. Non fosse altro per la consapevolezza collettiva che Gip e pm, a Cosenza, si muovono sempre per interessi che esulano dalla Giustizia. E andare controcorrente non è certo la loro specialità. Ma questa volta l’hanno fatto. Avrebbero potuto, per comodità, come hanno fatto tante altre volte, consegnare la testa del nero al popolo assetato di sangue e ricevere applausi e complimenti. Invece hanno scelto di fare Giustizia e di agire secondo onore e coscienza.

In una città e in un paese che sembrano annegare in un mare di razzismo, odio e giudizi affrettati, la Pingitore emerge come un faro di umanità e razionalità. Questa considerazione non è affatto scontata, soprattutto per noi di Iacchite’, che non siamo certo noti per la nostra benevolenza nei confronti della procura di Cosenza. Tuttavia, è impossibile ignorare il coraggio e la lucidità dimostrati dalla Pingitore in un contesto che definire delirante è riduttivo. Mentre il resto del paese si abbandonava a facili condanne, la Pingitore ha scelto di applicare la legge con fermezza e umanità, valutando le prove e le circostanze senza lasciarsi influenzare dal rumore di fondo. Il che ha prodotto un paradosso: una decisione che dovrebbe essere accolta come esempio di giustizia equilibrata viene invece additata come scandalosa. Ma solo in questo caso, perché altre scarcerazioni, tipo politici, ‘ndranghetisti e pezzotti vari, non hanno suscitato la stessa indignazione collettiva con annesse invettive, che ha suscitato la decisione della Pingitore.

La decisione della Pingitore non è solo una lezione di diritto, ma anche di civiltà. Visto che non è rimasto altro, almeno aggrappiamoci a lei. La Pingitore, con il suo gesto, ha dimostrato che il ruolo di un giudice non è quello di compiacere l’opinione pubblica o i politici, ma di applicare la legge con equilibrio e coscienza. In un momento storico in cui il populismo e la sete di vendetta sembrano dominare il discorso pubblico, la sua decisione rappresenta un’ancora di salvezza per una giustizia che rischia di essere travolta dall’irrazionalità.

A chi accusa la Pingitore di non aver compreso la gravità del caso, rispondiamo che proprio questa gravità richiede un approccio ponderato e lontano dall’emotività. La vera giustizia non è mai figlia dell’odio o del pregiudizio, ma del rispetto delle regole e della dignità umana.

In una città come Cosenza, oramai destinata sempre più all’abbrutimento sociale, Claudia Pingitore ha compiuto un atto di rara integrità. La sua decisione, per quanto discussa, rappresenta una speranza: che la giustizia possa ancora essere amministrata con umanità e coraggio, anche in tempi di profonde divisioni e incertezza. Un monito per tutti noi a non perdere la fiducia nei valori più autentici della civiltà.