Cosenza. Faide nel Pd. Alle origini della prima paranza politica

Per capire il perché il Pd cosentino dalla sua nascita (2007) ai giorni nostri, considerando anche l’esperienza Ds, non è mai diventato un “partito democratico” al proprio interno, ma neanche un “partito di massa”, basta fare solo i nomi dei padri fondatori della “paranza politica” che lo ha gestito, e subito è chiaro il perché. Personaggi che hanno sempre preferito alla democrazia una gestione di tipo verticistico del partito circoscritta a pochi eletti, che garantisce il controllo totale del partito, strumento necessario per far prosperare i propri privati affari.

Anche se si dicono politici, con la politica – l’arte nobile -, non hanno mai avuto niente a che fare, se non per dare vita ad una infinita serie di intrecci e intrallazzi, degni di una soap argentina, pur di raggiungere il potere dei palazzi e la ricchezza. Gli stessi personaggi che per darsi un tono spacciano per consenso la becera coscrizione dei “forzati della tessera”, vittime del bisogno e del clientelismo scientificamente studiato, che di fronte al ricatto non possono fare altro. E tanto basta. La massa e la democrazia possono pure aspettare. La politica è farsi i propri affari, prima ancora degli affari dei cittadini. E il Pd cosentino ha sempre preso tutto ciò seriamente e alla lettera.

In principio fu Franco Ambrogio, anello di congiunzione tra la vecchia classe dirigente del Pci, poi Ds, e gli allora astri nascenti Nicola Adamo e Enza Bruno Bossio, entrambi provenienti dal vivaio della scomparsa FGCI dove da tempo avevano messo su la loro agguerrita paranza politica. Che non era sfuggita all’occhio attento di Franco Ambrogio sempre alla ricerca di nuovi proseliti da affiliare alla sua paranza. In quei giovani, Franco, aveva da subito notato l’ambizione del potere, e il loro “non badare a spese” pur di raggiungerlo. Scalpitavano come dei cavalli ai nastri di partenza in attesa del via per poter raggiungere prima degli altri il traguardo. I cavalli giusti per Franco su cui puntare per tagliare il cordone ombelicale con la vecchia classe dirigente Pci/Margherita, sponsorizzando una nuova classe dirigente di cavalli di razza bene addomesticati, pronti a sostiturli. Con i vecchi capibastone la possibilità di guardare a nuovi e più lucrosi affari si era esaurita. Era necessario riorganizzarsi. L’era Mancini era finita e l’occasione di varcare da padroni le porte di palazzo dei Bruzi diventava concreta. E questo per via di una vicenda privata che tutti conoscono e di cui non ce ne frega niente, tra Nicola e Eva, candidata a sindaco dal vecchio leone. Un endorsement che permise a Nicola e Eva di vincere le elezioni comunali. Per poi lasciare il posto, dopo due anni, al sindaco Perugini, massima espressione della riuscita del piano di Franco Ambrogio.

Nicole e Enza, forti di una corte di lecchini assoggettati al loro volere a cui avevano promesso lauti guadagni e pesanti sistemazioni, non ci misero molto a capire che Franco Ambrogio era la persona giusta da seguire per arrivare dritti al cuore delle istituzioni dove si trova il tesoro. E fu così che nacque l’alleanza tra quelli che diventeranno i padri fondatori della prima paranza politica del Pd del dopo Pci: Franco Ambrogio, Enza, Nicola, e i loro colonelli, Guccione, Covelli, e marmaglia varia. A loro, capito l’andazzo, e capito che conveniva ai suoi affari mollare i vecchi e puntare sui giovani, si aggiunse Mario Oliverio con il suo braccio destro Franco Iacucci, e l’allora fidato Ferdinando Aiello, portando come dote anche Domenico Bevacqua, a quel tempo al servizio di Palla Palla, nonostante la sua provenienza politica. Insieme divennero invincibili, conquistarono saldamente la città e la provincia, instaurando il loro dominio fondato principalmente sul clientelismo politico e affaristico. Stare con loro, in quegli anni, significava poter acceder al pubblico denaro, e gli amici quando il portafoglio è pieno, sono sempre tanti.

A rompere gli equilibri l’avvento di Mario Occhiuto, che non era disposto a spartire il malloppo con tutti, tranne che con Nicola e Enza. Con i quali faceva già affari da tempo. La paranza si divide e gli amici diventano di colpo nemici. Camuffata da lotta politica, Enza e Nicola danno vita ad una vera e propria faida all’interno del Pd. Guccione viene allontanato e forma la sua paranza arruolando un piccolo esercito di mercenari pronti a tradirlo al primo accenno di sconfitta, e così è stato. Palla Palla si arrocca a difesa del suo castello, forte anche della sua candidatura a governatore della Calabria. Ha bisogno di Nicola e Enza per raggiungere l’obiettivo, anche se gli attriti sono evidenti e giornalieri. C’è sempre tempo per schierarsi. Il renzismo avanza e il lanciafiamme annunciato potrebbe risolvere il problema. Ma è l’innesto di Ferdinando Aiello, saggiamente pilotato da Nicola, nel cerchio magico di Renzi a rendere vana ogni promessa di bruciare, con il lanciafiamme, il passato. Enza e Nicola sono salvi. Non saranno rottamati. E la rottura tra Palla Palla, abbandonato al suo destino, e Nicola, diventa insanabile. Ferdinando si schiera con Nicola, anche se mantiene una parvenza di distacco, pure Iacucci molla il suo vecchio boss e costruisce una alleanza con Bevacqua disposto, com’è suo costume, pur di mantenere i suoi privilegi e affari, a servire un nuovo padrone. Nel mentre le inchieste della Dda espongono la vecchia triade, Nicola, Enza e Mario Oliverio, al giudizio dell’opinione pubblica.

Mario Oliverio, candidato in solitaria alle regionali, viene allontanato dal Pd, sorte diversa per Enza e Nicola che anche questa volta riescono a farla franca. Enza rimedia addirittura una candidatura alle politiche insieme a Ferdinando Aiello, ma entrambi non saranno eletti. La parabola politica della paranza primordiale del Pd cosentino sembra giunta alla fine, ma non certo per Nicola che riesce, ancora una volta, grazie alla sua enorme capacità di intrallazzare sottobanco, a mettere a segno un altro colpo. Con la complicità sempre degli Occhiuto riesce a piazzare a palazzo dei Bruzi la sua controfigura Franz Caruso. E in tempi di lucrosi appalti, Agenda Urbana, Pnrr, Cis, è un colpo che vale più di uno scranno in parlamento.

Più che la storia della classe dirigente locale di un partito, sembra il copione di una fiction di mafia, dove all’inizio sono tutti amici e compari, e poi, per mere questioni i denaro, iniziano a scannarsi tra di loro. E se ci fate caso i nomi dei protagonisti delle faide nel Pd, così come avviene nei racconti delle guerre tra clan, da quasi 30 anni, sono sempre gli stessi. Cambiano le combinazioni delle paranze, che il Pd si ostina a chiamare correnti, ma i nomi delle “famiglie” coinvolte, come da tradizione mafiosa, sono sempre gli stessi. Così come gli stessi sono i motivi delle faide: la conquista del potere. Potere che Nicola, veterano di tante guerra tra paranze politiche tutte vinte, detiene saldamente a tal punto che non ha più neanche bisogno delle elezioni per conquistarlo. Se vince o perde il risultato è sempre lo stesso. A Cosenza non si muove foglia che Nicola non voglia. Ecco perché non gli servono le masse e la democrazia. Tanto per fare quello che da sempre fanno, bastano lui e Enza.