Oggi è il 15 marzo. Esattamente nove anni fa, nel 2013, lasciava questa terra a 40 anni Alessandro Bozzo, valente giornalista cosentino che ha avuto la sventura di lavorare dentro ai giornali dell’editore-boss della sanità privata e strozzino conclamato Pierino Citrigno. Per la sua morte ci sono stati anche due processi-barzelletta con alla sbarra l’usuraio prestato alla sanità privata.
Il 21 settembre del 2021 i media di regime ci informavano che era stata confermata anche in Appello (aumentata di 15 giorni…) la condanna nei confronti dell’imprenditore e allora editore Piero Citrigno per violenza privata legata al suicidio del giornalista Alessandro Bozzo, evento tragico avvenuto il 15 marzo 2013. Evento tragico inspiegabile, fino al ritrovamento di un diario segreto da parte della famiglia consegnato ai carabinieri. Dentro quelle pagine, tra tanta sofferenza, le tracce di una violenza privata subita. Da qui il rinvio a giudizio per l’editore, poi la ridicola condanna in primo grado a 4 mesi, contro la quale la procura di Cosenza aveva annunciato ricorso e ora l’Appello. Che non fa altro che aumentare la rabbia ma non certo della procura quanto della famiglia e degli amici di Alessandro. Quattro mesi e 15 giorni di reclusione… È questa la pena inflitta dalla Corte d’Appello di Catanzaro. Di seguito, ricostruiamo gli aspetti portanti di questa vicenda, attraverso i quali ognuno potrà farsi un’opinione.
A COSENZA la vicinanza tra Pino Gentile e le case popolari è storia nota. Del resto, Pino era dipendente dell’Aterp, quando ancora si chiamava Istituto autonomo case popolari.
E’ questo il gancio che lega Pino Gentile alla malavita cosentina. Prima al clan che faceva riferimento a Franco Perna e poi al clan degli zingari, reso evidente a tutti dall’operazione della Dda del 2012 (poi passata alla procura di Cosenza), che aveva delineato un vero e proprio accordo di potere.
Pino e Tonino Gentile vengono dal basso, dal quartiere popolare dello Spirito Santo e sono diventati politici grazie ai voti dei ceti meno abbienti, passando di corrente in corrente quando erano socialisti prima di saltellare qua e là, da sinistra a destra, a seconda delle loro esigenze (chiamiamole così) nel panorama politico regionale.
Edilizia (prima popolare, oggi sociale, ma sempre tanti soldini porta e porterà) e sanità i loro interessi perché bisogna sempre seguire il flusso dei soldi e i denari, da che mondo è mondo, arrivano proprio da lì.
A Pino il mattone, a Tonino l’ospedale, a Pino la Regione, a Tonino Palazzo Madama: questi gli equilibri tra di loro.
Ma in questa sede ci occupiamo delle case popolari e dell’inchiesta della Dda che lambì il regno di compa’ Pinuzzu e che adesso è stancamente finita nel porto delle nebbie (per chi è nuovo di Iacchite’, la procura di Cosenza).
Dominus del “sistema” un funzionario dell’Aterp, Oscar Fuoco, considerato dagli inquirenti “vero e proprio punto di riferimento per i congiunti di noti pregiudicati che a lui si rivolgono per impedire interventi di sgombero da immobili illegittimamente occupati”.
Ma non solo: anche realizzazione di manufatti e interventi edilizi in aperta violazione delle norme urbanistiche. Dodici le strutture che all’epoca furono poste sotto sequestro soprattutto nei quartieri di via Popilia e Serra Spiga. E tra i beneficiati c’erano anche
un figlio di Ettore Lanzino e la sorella di Mario Pranno.
Il pm Domenico Frascino aveva chiesto per Oscar Fuoco la condanna a quattro anni e due mesi di reclusione per i reati di truffa aggravata, abuso d’ufficio, corruzione, falsità materiale ed ideologica. Per i due imprenditori edili Edoardo e Francesco Staffa un anno e quattro mesi di detenzione. Ma ricordate che siamo al porto delle nebbie, dove i pm fanno il solletico e quelli che giudicano sono come le tre scimmiette. Ovviamente quando si tratta di potenti e gente ammanicata con i politici. E così per Fuoco è arrivata una condanna a dir poco clemente (1 anno e 8 mesi!) e i due imprenditori sono stati addirittura assolti… Una sentenza che più farlocca non si può!
Basta ricordare che tra gli indagati dell’epoca (è ottobre 2012) c’è anche Raffaele Gentile, il fratello sindacalista di Pino e Tonino, “padrone” della Uil, recentemente passato a miglior vita, per violazione della legge sulla privacy. Viene assolto a giugno 2013, nel corso del processo che si svolge con la formula del rito abbreviato, “perché il fatto non sussiste”. Come da scontatissimo copione.
Pino Gentile non è stato mai indagato, ma tra gli atti dell’inchiesta c’è l’intercettazione di una conversazione telefonica che all’altro capo del filo vede Fuoco.
Gentile riferisce a Fuoco che è stata fatta la nomina del nuovo commissario dell’Aterp. “Questo durerà due mesi e mezzo – tre, poi dobbiamo decidere il direttore generale chi deve essere (…) È tutto da verificare… va bene… ma noi… facciamo buon viso con questi, hai capito?», dice Gentile. Poche battute più avanti l’assessore regionale ricorda a Fuoco di fare «quella cosa che ti ho detto». Fuoco assicura di averla già avviata, ma che bisogna fare «la procedura di recupero intanto”.
Gentile taglia corto: «Chiamali eh! Che poi aggiustiamo le carte, hai capito?”.
Difficile capire come sia stato possibile non andare avanti in questa storia e addirittura non indagare Pino Gentile ma tant’è.
L’ULTIMO ARTICOLO DI ALESSANDRO BOZZO
Alessandro Bozzo, il compianto giornalista di Provincia e Calabria Ora disegnava così la situazione delle case popolari nell’ultimo vero articolo della sua vita, successivo agli arresti dell’Aterp, come abbiamo visto uno dei “feudi” della famiglia Gentile. 4 ottobre 2012. E’ un articolo “forte”, alla sua maniera, autentico. Nel quale scrive senza paura le intimidazioni che subivano coloro che osavano sfidare il potere.
In un mondo normale se uno fa il proprio dovere nell’interesse dell’azienda per cui lavora e della comunità, fa carriera.
E viene trattato con riguardo, rispettato e stimato. Perché ha un’etica professionale e rispetto della legge o semplicemente perché è onesto e non gli piacciono furbetti e prepotenti. Ma Cosenza non è una città normale. Qui se uno fa il proprio dovere lo assegnano ad altro incarico e se si ribella gli incendiano pure la macchina. Per far carriera a Cosenza bisogna essere vigliacchi senza onore o imbroglioni dall’avidità insaziabile, sempre pronti a inginocchiarsi davanti ai prepotenti. L’ennesima dimostrazione è arrivata dall’inchiesta che ha portato a galla la gestione parallela dell’Aterp a uso e consumo di delinquenti e politici senza scrupoli.
La storia di Manuela Aiello è il paradigma del «mercimonio della pubblica funzione» denunciato dal procuratore aggiunto Domenico Airoma. Dimostra perché una terra più bella della California invece di navigare nell’oro sta in fondo a tutte le classifiche, ostaggio della ’ndrangheta e della corruzione.
La signora Aiello, segretaria generale dell’Aterp di Cosenza, nel settembre del 2011, venne incaricata dai suoi capi di stilare una relazione relativa alla contabilità inquilini e di inoltrarla al direttore generale. La donna fece il suo lavoro diligentemente.
Senza strafare, limitandosi a segnalare le «criticità evidenti» oltre che le «problematiche annose evidenziate in tutte le relazioni ai bilanci sia dai revisori sia dalla Corte dei conti». Troppi inquilini, in pratica, non pagavano il canone. E siccome aveva fatto il proprio dovere la signora Aiello venne ripagata così: «(…) sostituita nell’incarico di responsabile dell’ufficio contabilità da un altro dipendente». Perché non era stata abbastanza furba da capire, evidentemente, che il suo dirigente non voleva che lei facesse quello che lui le aveva chiesto di fare.
All’Aterp di Cosenza funzionava così. E se ti serviva qualcosa, anche se eri l’assessore regionale ai lavori pubblici o il vicesindaco, dovevi rivolgerti a Oscar Fuoco, sedicente «malandrino», il quale sebbene fosse soltanto un umile funzionario della manutenzione aveva voce in capitolo sulle nomine dei vertici aziendali, sulla «linea» che essi avrebbero dovuto tenere, sui sopralluoghi anche al di fuori del suo settore di competenza. Si era autoproclamato re dell’abusivismo edilizio. E se ne vantava, prendendosi gioco dei colleghi onesti.
L’ingegnere Ugo Scarpelli, come la signora Aiello, appartiene a quest’ultima categoria. Lavora all’ufficio pianificazione del Comune di Cosenza e quando si trovò davanti – in qualità di responsabile del procedimento – una richiesta di permesso a costruire avanzata dall’Aterp, controfirmata peraltro dall’ingegnere Pietro Mari, diede il via libera. Poi, però, fece un sopralluogo sul posto. E si accorse del macroscopico falso. Era il giugno del 2010. Oscar Fuoco provò ad avvertirlo. Gli disse chiaramente di far finta di nulla, ché gli abusi edilizi riscontrati «erano stati commessi da persone poco raccomandabili» e che non si poteva demolire. L’ingegnere fece lo stesso il suo dovere e segnalò l’esistenza di abusi edilizi impossibili da sanare. E cosa fece l’architetto Sabina Barresi, allora dirigente dell’ufficio urbanistico del Comune di Cosenza? Concesse il permesso a costruire e il cambio di destinazione d’uso. E fu così che i magazzini al numero 3 di piazza Clausi Schettini (via Popilia), di proprietà dell’Aterp, diventarono un’abitazione privata. A Cosenza funzionava così.
I FRATELLI GENTILE E PIERO CITRIGNO
In poco più di 3500 battute c’è tutto il suo mondo di giornalista scomodo e sfruttato. C’è la denuncia del sistema di potere di una città (“Cosenza non è una città normale”), dove devi fare sempre quello che ti dice il potente, altrimenti la paghi cara e amara.
Il suo editore era Pierino Citrigno, condannato in via definitiva per usura e in primo grado per violenza privata ai danni dello stesso Alessandro Bozzo. Faceva l’editore per interessi, chiamiamoli così, politici e imprenditoriali. Ha fondato la Provincia Cosentina e, dopo il suo primo arresto, Calabria Ora.
Come gestiva le sue creature? Giornalisti trattati come pacchi postali, trasferiti, sottopagati, dimissionati, licenziati, usati solo e soltanto per diffondere le veline e le notizie funzionali ai suoi problemi giudiziari e alla sua caccia di convenzioni dalla politica. Il suo rapporto con i fratelli Gentile, come hanno scritto anche giornalisti di grido, è stato molto intenso. Diciamo che sono cresciuti insieme, hanno fatto affari insieme, probabilmente Citrigno è stato anche il loro prestanome quando si è trattato di trasferire qualcosa da qualche altra parte. O quando si trattava di diventare strozzino. Almeno all’inizio. Citrigno, grazie alle sue mediazioni con i Gentile, ha persino salvato il vecchio leone Giacomo Mancini dagli agguati che gli tendevano gli ex comunisti quando era sospeso dalle sue funzioni di sindaco. Nel 1994 il bilancio passò grazie a una provvidenziale presenza in aula di un consigliere gentiliano, il dottore Gagliardi.
Ma i Gentile, si sa, prima ti usano e poi ti mollano. E Citrigno dev’essersi sentito più o meno così quando è finito in galera (al posto loro?) nella famosa operazione “Twister”, della quale, prima o poi, dovremo parlare. Uscito di galera, nel 2006 Citrigno è tornato a fare l’editore e, di regola, avrebbe dovuto fare fuoco e fiamme contro i Gentile e invece no. Aveva sempre l’impulso di dargli fastidio e di sputtanarli, ma alla fine non ce la faceva.
Sono testimone diretto di un caso perfetto che fotografa questa situazione. Mi aveva dato un bel dossier sulle assunzioni che faceva compà Pinuzzu nella sua struttura alla Regione quando, in extremis, lui e il suo socio Fausto Aquino bloccarono quella pagina, già pronta, che non vide mai la luce. Successivamente (ma io non c’ero più) la linea editoriale è diventata un po’ più aggressiva nei confronti dei Gentile ma mai veramente cattiva come avrebbe dovuto essere.
Nel 2012, quando uscì fuori lo scandalo dell’Aterp, Alessandro Bozzo e gli altri colleghi avevano ottenuto qualche “libertà”. E così era passata l’espressione forte la “cricca” dell’Aterp, era stato dato il via libera alla pubblicazione delle intercettazioni di Gentile e della figlia e a Bozzo era stato commissionato un pezzo cazzuto su chi denunciava e poi veniva intimidito. Alessandro era stato bravissimo. Troppo bravo. Il pezzo aveva passato le forche caudine del controllo citrignano sulle pagine. Forse non lo aveva letto bene, forse gli sarà sfuggito, chi può dirlo? Fatto sta che, da quel giorno in poi, la linea del giornale nei confronti della “cricca” è completamente cambiata. E quello che commentiamo resta il testamento autentico della professionalità di Alessandro Bozzo. Citrigno, dunque, tutelava e sotto certi aspetti tutela ancora il fondoschiena dei Gentile.
E’ vero, lo scontro del 2014 (quello della notizia sul figlio di Tonino bloccata dallo stampatore De Rose) è stato duro, quasi fino alle estreme conseguenze, ma Citrigno non ha ancora incastrato i fratelli Gentile. E mai lo farà. Amen.