Cosenza, il blitz di Gratteri. Patitucci: “Cicero è fuori dalla federazione, ha detto che vuole fare l’imprenditore”

A voler guardare il solo aspetto delinquenziale di stampo ’ndranghetistico descritto dagli investigatori della Dda di Catanzaro che hanno lavorato alla “scrittura” dell’ultimo blitz di Gratteri che consta di quasi 600 pagine, la prima reazione è stata lo “stupore”, e per certi versi anche la “meraviglia”. E non perché pensavamo che Cosenza fosse davvero un’isola felice come fanno finta di pensarlo in tanti in questi giorni solo per camuffare, dietro un peloso quanto strumentale garantismo, la loro appartenenza culturale, parentele, amicale agli arrestati, ma per la drammaticità degli eventi criminali raccontati dagli investigatori che superano di tanto, in brutalità, quello che già sapevamo. Si conosceva la mancanza di umanità di certa malavita, e la sua incapacità di provare sentimenti, ma non si pensava potesse davvero arrivare a cannibalizzare uomini e donne allo stremo delle loro forze, senza provare un minimo di compassione o rimorso. Non c’è gesto più vile di quello di accanirsi su chi è indifeso. Roba da vigliacchi che amano definirsi “cristiani”.

Quello che emerge dalle risultanze investigative, a tratti sembra un racconto dell’orrore che è quello che hanno vissuto le vittime di questa banda di criminali senza pietà: momenti di vero e proprio orrore. L’elenco delle vittime dei clan è lungo quanto spaventoso. C’è di tutto: imprenditori, casalinghe, operai, immobiliaristi, impiegati, professionisti, assessori, poliziotti, commercialisti, dottori, avvocati, e commercianti di ogni tipo: dai venditori di bagni, di materiale edile, elettrico e simili, alle librerie, gioiellerie, abbigliamento, passando per le concessionarie, per i bar, i ristoranti, le pizzerie, fino ad arrivare anche al fruttivendolo con quattro cassette.

La quasi totalità dell’economia legata al territorio di Cosenza e Rende è in mano ai clan. Centinaia di famiglie, attività e imprese finite nella loro morsa. Ognuno con un proprio “motivo”, spesso doloroso, sfruttato con sadico cinismo dai clan: chi perché usurato a causa del declino della propria attività, chi perché dipendente da sostanze, chi per via del vizio del gioco, chi per farsi le vacanze, chi perché non ne poteva davvero fare a meno, chi perché oltre a subire non poteva fare. Tutti insieme disperatamente a rimpinguare, con un giro vorticoso di denaro, la “bacinella” dei clan.

A sostenere i racconti dell’orrore non solo i pentiti storici, ma soprattutto una mole impressionante di intercettazioni, che oltre a fornire gli utili riscontri alle loro dichiarazione, hanno anche permesso ai pm di aggiornare gli affari dei clan ai giorni nostri. È dal 2019 che gli investigatori ascoltano boss, gregari, collusi, corrotti, e colletti bianchi. Molti dei quali confessano a loro insaputa ogni sorta di malefatta. Sono gli stessi malandrini a raccontare, non sapendo di essere intercettati, le brutali vessazioni a cui sottoponevano le loro vittime.

Se è vero che in uno stato di diritto esistono le giuste e sacrosante garanzie costituzionali e che la condanna arriva dopo i tre gradi di giudizio, è anche vero che esistono altre “condanne”, su questa terra, in cui si può incappare: la condanna divina (per chi è credente), e la condanna morale. La prima la emette il Padreterno (per quelli che ci credono), la seconda, che non ha niente a che vedere con la giustizia sommaria a cui si appellano i collusi e i corrotti per difendere i loro amichetti finiti nella rete, la emette la società. A finire in manette, in questa retata, il gotha della ‘ndrangheta cosentina. Personaggi che tutti conoscono per quello che sono, mafiosi, prepotenti (con i deboli), usurai, venditori di morte, e taglieggiatori seriali, a cui nessuno, però, può negare un giusto ed imparziale processo, e tutte le garanzie del caso, e la giustizia farà il suo corso.

Ma per emettere una condanna morale non serve un processo. In città se sei un malandrino lo sanno tutti, non c’è possibilità, nella condanna morale di questi personaggi, di commettere une errore “giudiziario”. Ancora di più oggi che, grazie al certosino lavoro svolto dagli investigatori a cui nessuno ha rivolto un grazie, possiamo ascoltare il racconto della tante malefatte dalla loro viva voce. E nonostante ciò una ferma condanna morale verso chi da anni, sotto gli occhi di tutti, impone le sue regole di prevaricazione e violenza, dalla città non è arrivata. A Cusenza simu tutti sciampagnuni!

Tra le tante intercettazioni spicca quella captata nel salotto di casa di Francesco Patitucci, il “capo dei capi” delle cosche federate, che risulta essere una vera e propria confessione. È il 5 giugno del 2019 quando alla porta di casa Patitucci bussa una vecchia conoscenza della mala cosentina, Sergio Raimondo detto Francesco, in compagnia di un altro compare, tale Cozza. Raimondo in quel periodo era sottoposto agli arresti domiciliari, ma l’urgenza di parlare con il suo compare e boss è tanta che non ha nessun problema ad allontanarsi dalla sua abitazione. Alla chiamata del boss bisogna rispondere, c’è da mettere un po’ di puntini sulle i.

Le rivalità criminali degli anni precedenti si sono attenuate, ma vanno emanate alcune “direttive”, non si può lasciare libero campo al primo che si alza la mattina. L’idea di federare i clan sotto l’egida di Patitucci regge, ma i soldi che circolano non sono mai abbastanza per avvoltoi della loro specie, e qualcuno si arrangia come può fuori dal “giro”. E questo non sta bene a Patitucci che ne discute proprio con i suoi due ospiti. Dopo il primitivo rituale dei saluti in uso alle paranze, i tre iniziano a dialogare. Il primo argomento all’ordine del giorno del summit, sono i conti relativi alle entrate del pizzo e dell’usura. Fanno nomi e cognomi delle vittime e l’entità delle cifre incassate, e programmano nuovi sporchi affari, nel mentre Patitucci, annuncia ai suoi compari di sapere già che a Cosenza ci saranno due retate: una di 100 persone, e un’altra di 250 persone. Tutto “confessato” in diretta.

Ma l’argomento spinoso da affrontare è quello relativo a chi non ha voluto federarsi e continua a fare di testa di propria, spesso invadendo l’altrui territorio. Ed è a questo punto che Patitucci, con tono perentorio, dispone, da capo dei capi qual è, che solo chi è federato può commettere estorsioni, e sul punto chiede spiegazioni, ai due compari, sul comportamento di Gianfranco Sganga che non ha ben chiarito da che parte sta. Citiamo testualmente le parole di Patitucci perché la sua “rivelazione” sotto il profilo della geografia criminale cosentina, e sull’operatività dei clan, ha una certa rilevanza.

Patitucci e Raimondo stanno parlando della “fratellanza” tra loro e Michele (Di Puppo) e delle loro traversie giudiziarie, e dicono:

Raimondo:a me mi hanno arrestato senza c’entrare niente Francè…

Patitucci: Ti sei letto tutto il processo?

Raimondo: adesso me lo leggo bene…

Patitucci: Leggitelo!

Raimondo: ci voglio capire bene… ma tu dici che sa qualcosa di là dentro…

Patitucci: no, so a Michele (Di Puppo) che gli manca e voglio leggere le carte, troppe chiacchiere… adesso dico io, io con te ci parlo Francè (riferendosi sempre a Raimondo conosciuto anche con il nome di Francesco)… Gianfranco Sganga deve spiegare a che titolo fa estorsioni… mi è stato detto che si mette con Cicero, Cicero è sparito dalla faccia della terra, al momento… Cicero ha detto: voglio fare l’imprenditore!

Raimondo: Si, si!

Patitucci: se tu fai l’imprenditore estorsioni non ne puoi fare…

Cozza: è così, sì…

Patitucci: poi Gianfranco Sganga mi manda a questi quattro cani morti… poi voglio vedere a questo…

Raimondo: io avevo capito altre cose… a livello di quello che stai dicendo ci sono cose impressionanti… ha preso questi qua… da tutte le parti

Patitucci:e non si fa!

Raimondo: no

Patitucci: perché se noi… siamo quelli che siamo e lui lo sa… e ci siamo davvero, tu mica puoi fare la voce (grossa) con me sulle estorsioni… perché loro (così) ci fanno la guerra a noi… non è che qua ci devono essere scienziati (per capire questo)…

Raimondo: si..

Patitucci:e quant’altro… qui ci sono ergastolani da tutte le parti… ci sono processi… ce ne arrestano cinque o sei al giorno… (e tu Gianfranco Sganga) a che titolo fai queste (estorsioni)…

Raimondo:va aggiustata tutta la situazione!

Patitucci: E certo!

Raimondo: … cinque anni, sei anni un periodo che avevamo fatto quella cosa…

Patitucci: si…si…

Raimondo: io, lui e noi tutti questi qua per cinque anni…

Patitucci: eh, e questo è il ringraziamento!

Raimondo:che noi abbiamo pagato per il 416 bis… siamo usciti (nemmeno) un paio di scarpe Francè! Un paio di scarpe no! Ma se io ho una difficoltà! Oramai non puoi fare più niente perché io sono un guagliuni serio! Io, se tu… ti succede un problema e siamo come siamo (compari), io non mangio io… e lo sai pure tu!

Patitucci: Francè (sempre rivolto a Raimondo)… una cosa personale è una cosa personale… le cose generali sono generali! Io ti ho detto sulle generali… Francè vedi che io sono sempre con te… sono con voi perché… e sappiamo pure di chi non è presente!

Raimondo: si

Patitucci: … “se tu mi duni spago a chissi di s’arrazzare pirsuni (se tu dai la possibilità a questi di reclutare persone) e di fare estorsioni, stiamo facendo l’errore più grande della nostra vita! Perché… questi ti dicono che possono fare le estorsioni e ti devi prendere la pila e t’arrazzi le persone vicine… (se diventano più forti) dove li prendiamo più Sandrù!

Cozza: no, è così

Patitucci: eh… Francè ora non è che voglio accentuare la cosa. La cosa normale è questa qua: Se uno mi dice a me: “Francè tu stai sbagliando come ragionamento perchè non è così… allora fammi capire com’è giusto!

Raimondo: più giusto su questo ragionamento non c’è, è solo come stai dicendo tu…

Patitucci: eh…

Più chiaro di così non si può, è lui stesso che si dà del mafioso. Ma in città nessuno riesce a dirlo chiaramente, così come non si riesce a dirlo per tutti gli altri pezzotti finiti in manette. Patitucci conferma l’attività criminale svolta dai clan sul territorio, e si pone a unico detentore del “diritto al crimine” in città e provincia. Parla e si comporta da capo di una vera e propria “federazione di paranze” di stampo ‘ndranghetista di cui non fanno parte i Cicero. Che ci sembra l’unica novità di rilievo, sotto il profilo criminale e sociale, di tutta questa storia. Per tutto il resto: sempri i stessi cosi…