Cosenza in mano alla massomafia: “A noi cosentini non manca il coraggio, è la paura che ci frega”

Se chiedessimo, andando di porta in porta, a tutti i cosentini, con la promessa di non rivelare a nessuno la risposta, cosa ne pensa dei politici e della giustizia cosentina, siamo sicuri che i “Ktm” viaggerebbero alla velocità della luce. E se volessimo approfondire il “questionario”, chiedendo anche se a Cosenza esiste la corruzione massomafiosa, anche qui siamo sicuri che la risposta, ovvero il Si, sfiorerebbe la percentuale del 100%. Un risultato che non va considerato, nel nostro caso, come una risposta scontata perché indotta da secoli di luoghi comuni sui politici e sul potere, della serie: “è tutto un magna magna”.

Certo, da che mondo è mondo è sempre esistito “il potente”, e il potente si sa, è quasi sempre, chi più chi meno, un traffichino che si arricchisce sulle spalle dei “sudditi”, lo dice la storia e lo dice il poeta: “non esistono poteri buoni”; uno “stereotipo” diventato luogo comune al quale attingono anche i cosentini quando si tratta di dare un giudizio negativo sui politici e sui potenti, ma a Cosenza, e lo possiamo dire tranquillamente, i “fatti” vanno oltre il classico “piove governo ladro”. Il politico che ruba, a Cosenza, non è un rimando storico o letterario a cui indirizzare ogni sorta di imprecazione così come vuole la “tradizione”, o la figura retorica utilizzata dagli antichi scrittori come espediente narrativo per giustificare un “tema ricorrente nel racconto (una sorta di pezza quando non trovavano i verba appropriati)”, da tirare fuori ogni qualvolta si parla di mala politica e abusi di potere, ma un concreto figlio di p. vivo e vegeto sempre pronto a spolparsi la carcassa pubblica fino all’osso.

Il ladrocinio non avviene per sentito dire, ma realmente… è sotto gli occhi di tutti. E siamo sicuri che i cosentini, nell’esprimere un sicuro giudizio tranciante sulla classe politica cosentina e sulla giustizia a Cosenza, più che “ispirarsi” al “topos letterario”, non troverebbero nessuna difficoltà ad “ispirarsi” a tutte le schifezze massomafiose che hanno visto con i loro occhi. Gli esempi di ruberie, corruzione e ricatti, non mancano certo. Tutti i cosentini sanno bene che dire che i politici rubano, in città, non è solo un “modo di dire”, un intercalare da utilizzare alla bisogna, ma un dato di fatto dal quale non si sfugge. Cosenza è una piccola città, nascondere le illecite ricchezze è difficile. Tutti sanno tutto di tutti. E ciò che è “oro”, alla fine luccica sempre.

E se così è, una considerazione bisogna farla: se i cosentini sanno che i politici rubano, che i giudici vendono la giustizia, che i burocrati fanno mercimonio dei beni comuni, che la corruzione dilaga in ogni dove, che anche per farti una carta d’identità devi conoscere qualcuno, e che “senza guagna un si cantano missi”, perché non si ribellano a tutto questo, come succede in altre parti del mondo?

Le risposte potrebbero essere infinite: c’è chi dice che in tanti ci mangiano con questo sistema e gli sta bene così com’è; chi dice che se le cose stanno così è perché oramai la gente non distingue più il diritto dal piacere, ed è per questo che vota sempre l’amico dell’amico: chi dice, invece, che la gente accetta tutto questo perché ricattata; e chi pensa che se le cose non cambiano è perché la gente ha paura di esporsi, visto lo spessore “criminale dei personaggi” coinvolti negli intrallazzi.

Già, la paura, un sentimento umano con cui tutti dobbiamo fare i conti. Aver paura è naturale, e non c’è niente di cui vergognarsi, guai a non averla, infatti è considerata una emozione primaria di tutti gli esseri viventi. La paura ci avvisa quando ci troviamo di fronte a un pericolo o a una minaccia (reale o immaginaria che sia) ed è preziosissima sin dai primi anni di vita perché mantiene sempre attivo “l’istinto di sopravvivenza”. Ma quella che provano i cosentini non è una paura “istintiva” di fronte ad un pericolo naturale, quella dei cosentini è una paura provocata dalla prepotenza e dalla violenza di altri uomini. I cosentini hanno paura a mettersi contro personaggi come Spagnuolo, Occhiuto, Manna, Patitucci, Aiello, Greco, Morrone, Gentile, Adamo e compari, perché sanno che sono degli impuniti, sanno che sono intoccabili, e i fatti lo provano, ed ogni azione promossa contro di loro si ritorce sistematicamente contro chi l’ha proposta. Per capirci: chi denuncia il malaffare a Cosenza fa una brutta fine, lavorativamente, professionalmente, economicamente e socialmente parlando, che equivale alla morte civile. E di fronte a questo un bel “chi me lo fa fare”, ci sta. Come ci sta, “fatti i fatti tuoi che campi 100 anni”, magari da servo, ma campi.

Ecco, a Cosenza non succede niente perché nessuno ha voglia di mettersi contro, per paura, personaggi di questo spessore criminale capaci di qualsiasi cosa, e gli esempi di cosentini rovinati dalla malapolitica e dalla mala giustizia iazzanu: nessuno vuole fare la loro fine. Meglio far finta di niente, magari dare del pazzo, così da giustificare intimamente la propria pavidità, a chi invece ha deciso di rompere la gabbia della paura. La propria tranquillità viene prima di ogni altra cosa. E a tal proposito c’è un modo di dire che ben si adatta al carattere del cosentino e che ben descrive il nostro sentire comune quando ci troviamo di fronte ad una situazione che non sappiamo affrontare, ma che siamo costretti a farlo per una questione di dignità: a noi cosentini non manca il coraggio, è la paura che ci frega.