Cosenza, la storia racconta: il tifo degli anni Sessanta

1961. Il Cosenza di Biagio Lecce conquista finalmente la serie B perduta nel 1948 dopo anni di sacrifici e l’umiliazione della Quarta serie. Allo stadio Morrone, il tempio del tifo cosentino, ogni domenica sono almeno diecimila i tifosi che incitano la squadra. Ma ce n’è uno in particolare che ha potere carismatico su di tutti.

E’ un giovanotto di 35 anni, bassino, esile, con un gran sorriso e uno splendido paio di baffi da sparviero. Gestisce un chiosco di cravatte a piazza dei Bruzi. Ma non c’è dubbio che la maggior parte del suo tempo la passi a pensare al suo Cosenza e al modo migliore per incitarlo, sia in casa che in trasferta. All’anagrafe è conosciuto come Francesco Giudice, ma per tutti è semplicemente Cicciu u cravattaru, il suo nome di battaglia. Non c’è nessuno che faccia riferimento al suo vero nome… La voce è il suo punto di forza. I suoi assoli all’interno del catino di via Roma sono uno spettacolo. La terna arbitrale e gli avversari sono i suoi bersagli preferiti. I beniamini in rossoblu lo adorano.

Per renderci conto di quanto fosse importante la sua figura siamo riusciti a reperire un documento d’epoca che ne tratteggia un ritratto esilarante. Con tanto di caricatura.

La testata si chiamava  Cosenza Sport…

“… La prima nota che si eleva nel cielo, brillante di sole o umido di pioggia, è quella che parte dalla sua ugola gracidosa. L’arbitro diventa un venduto prima ancora di fischiare l’inizio della partita, i segnalinee diventano catanzaresi dal momento in cui fanno il controllo delle reti e i giocatori ospiti assumono il mestiere di macellaio fin dal loro apparire sul terreno…”. E la partita, com’è facile intuire, non è neanche iniziata… Dicevamo che i calciatori non potevano fare a meno di adorarlo. E la testimonianza di Giorgio Trocini, terzino del Cosenza di Zsengheller promosso in serie B nel 1960-61, è quanto mai opportuna.

«Io giocavo spesso nel ruolo di terzino sinistro, a due metri di distanza dal pubblico. Quando giocavo dalla parte della tribuna A, Cicciu u cravattaru era l’attrazione principale, e non solo per il suo colorito incitamento. Non appena si sviluppava un’azione pericolosa, non necessariamente del Cosenza, lui si sentiva male… Ma dietro a lui c’erano decine di tifosi che, visibilmente sorridenti, erano pronti a non farlo cadere a terra… La scena si ripeteva quasi ogni domenica… Era uno spasso: ditemi voi come facevo, anche se stavo giocando, a non ridere?».

Lo intervistammo nel 2008, quando aveva già quasi 90 anni. Punto di partenza, naturalmente, le cravatte ovvero come è riuscito ad aprire il suo mitico chiosco a piazza dei Bruzi.

«Sono tornato dalla prigionia in guerra dopo tre anni – ricorda -. Visto e considerato che non c’era possibilità di lavorare, mi avevano proposto di arruolarmi nella polizia, ma io ero appena tornato dal fronte e non avevo nessuna intenzione di continuare quel tipo di vita e allora mi sono messo in commercio. Vendevo calze, cravatte eccetera. Poi ho chiesto al sindaco di allora, la buonanima di don Salvatore Perugini,  se era possibile aprire un chiosco…».

Appena si nomina la famiglia Perugini, il buon Ciccio ha subito pronto un aneddoto per l’ex sindaco.«Quando Salvatore era piccolo ed eravamo allo stadio Morrone, dopo una partita andata male, un tifoso ha tentato di rovesciare la macchina del sindaco all’interno della quale c’era il nipotino, che avrà avuto otto-nove anni. E allora don Salvatore mi ha mandato a chiamare. Volete sapere cosa gli ho detto? Don Salvatò, voi dovete sapere che fino a quando non esce l’ultimo giocatore dal campo, io non esco… Però vi chiedo solo un favore, una preghiera, non vi chiedo né posti di lavoro né altro: visto che il mio chiosco a piazza dei Bruzi non ha nessun tipo di copertura, fatemi coprire la testa perché io, quando torno a casa, sono sempre bagnato fradicio… Allora, infatti, avevo solo un ombrellone… E così il sindaco mi ha dato finalmente l’autorizzazione…».Quando gli ricordiamo che era riconosciuto da tutti come capo dei tifosi, u cravattaru si schernisce. «Ma ce n’erano anche altri… Per esempio Elio Principato, che non mi lasciava mai…». E tesse le lodi del pubblico di Cosenza: «Qui da noi non è mai accaduto quanto vediamo in altre parti d’Italia…».

Ma com’era il tifo negli anni Sessanta?

«Eravamo organizzati, altro che chiacchiere… I tifosi gridavano eccome, si facevano sentire. Non erano ultrà, come dicono adesso, ma noi eravamo tosti. E poi la tifoseria di Cosenza era quella che avvicinava tutti i ceti sociali: l’avvocato veniva vicino a me, il dottore vicino a Elio Principato e così via… Ci davamo appuntamento con largo anticipo per prenderci i posti…».

Un capitolo a parte per la rivalità col Catanzaro. E qui Ciccio dà il meglio di sé. «Sono pezzenti e presuntuosi!!! E se non era per i politici che gli hanno fatto avere il capoluogo di regione sarebbero stati una completa nullità… A noi ci hanno dato il contentino dell’università ma adesso ce l’hanno pure loro. Sono pezzenti, presuntuosi e facci tuasti!!! Però avevano una bella squadra…» .Il finale è tutto dedicato a quella scommessa che l’ha costretto al taglio dei suoi amati baffi. Elio Principato ricorda che gli aveva proposto la scommessa alla vigilia di un Catanzaro-Cosenza di serie B. «Se avessimo ottenuto un risultato positivo, Ciccio si sarebbe dovuto sottoporre al taglio dei baffi». U cravattaru ricorda ancora lucidamente: «Abbiamo pareggiato 1-1 e ci siamo preparati per la cerimonia davanti al Comune. Hanno sistemato un palchetto, sono salito, è arrivato mastru Tuturu il barbiere e zac! Quella mattina Cosenza era paralizzata. A piazza dei Bruzi c’erano almeno tremila persone. Hanno fatto festa gli uffici, i bar, i negozi e le scuole: sembrava una festa patronale… C’erano anche i vigili che regolavano il traffico perché avevano chiuso anche corso Mazzini… In quel periodo c’erano le elezioni ed è passata una macchina con all’interno qualche onorevole che doveva andare a parlare. Ha visto che non poteva passare e ha chiesto al vigile quale politico stesse parlando. Si è sentito rispondere “Cicciu u cravattaru»…

Storia e memoria di un pezzo della nostra vita.